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domenica 28 ottobre 2012

Autopsia di un invito a Genova.


So che desiderate tutti conoscere di più su questo popolo schivo che vive rintanato tra il mare e i monti, che del mugugno fa un’arte e degli avanzi a tavola un tesoro di famiglia. Di cui mi onoro di far parte. 
Il caso ha voluto che mi trovassi al Santuario di Ns. Signora del Monte, un posto che a raggiungerlo si paga il pegno di una frizione andata, uno specchietto divelto e una riga di improperi che da soli giustificano la confessione.
Lì, in quel nido d’aquila con vista mondo, ho trovato il poster casareccio che vedete qui accanto, invito a un evento esclusivo e imperdibile, e che – a mio avviso – esprime molte genovesità possibili.

Dunque procedo per voi alla sua autopsia:
FINALMENTE!!! – è il classico incipit ruffiano che a Genova prelude solo all’arrivo di un circo, di una meteorite, di qualcosa di esotico, perché non si è mai visto che un umano di razza genovese aspetti l’arrivo di qualcosa con l’emozione manifestata dei tre punti esclamativi, neppure la tredicesima.
LUNEDI’ 5 NOVEMBRE ORE 12.30 –  non sopportiamo i turisti, gli scocciatori, anche gran parte dei consanguinei. Fare una festa di lunedì a mezzogiorno è fine e crudele allo stesso tempo. Serve a organizzare un pranzo tra pochi facendo finta che siano in molti gli invitati. Siccome agli aspetti formali noi ci teniamo, si  sprecheranno i “Non sono potuto venire, mi spiace” di quelli che non ci sarebbero mai andati e i “Mi spiace tanto che non sei potuto venire” di quelli che hanno fissato di lunedì a mezzogiorno.
STOCCHEFISCIATA – FAVOLOSA DEGUSTAZIONE DI STOCCHE, BACCALA’ FRITTO, POLENTA E VINO BIANCO!! – è il cuore dell’avviso e racchiude un mix che sa di nuovo e medievale assieme. Il neologismo d’apertura litiga con la lingua e rimanda a giovanilismi anni ’80 che u coppiraiter deve aver preso a riferimento culturale. Il termine ‘degustazione’  è più una minaccia che un sostantivo e implica che è sempre meglio poco ma buono se nel piatto finiscono porzioni di dimensioni ospedaliere si possa sempre giustificare col fatto che è una degustazione e non un pranzo.
OFFERTA MINIMA 20 EURO – è il capolavoro del poster, ha retrogusti che vanno dalla selezione dei partecipanti all’alea di evasione fiscale passando per  e non credo abbia bisogno di ulteriori spiegazioni tranne quella di ribadire la localizzazione geografica;
E’ GRADITA LA PRENOTAZIONE – scritto lì, senza un numero di telefono, un indirizzo o una mail implica che non rompa il belino chi non è del posto e vuole capire come si mangia in una confraternita o se indossano le gonnelline come i massoni o abiti da supereroi.
ORE 17 SANTA MESSA IN MEMORIA DEI CONFRATELLI DEFUNTI – nel suo bel riquadro questo addendum ricorda di certo a tutti che i momenti di festa si pagano, ben più di 20 euro, ma anche la barzelletta in cui il povero Beppe andava al Secolo XIX per far scrivere un necrologio in memoria della moglie Marta, appena defunta. Scoperto che si pagava a parole, Beppe chiese venisse scritto “Marta morta”, nient’altro. Ma lì, l’addetta gli chiarì che fino a 5 parole il prezzo era fisso e lui rettificò in “Marta morta – Vendo Panda bianca”.

mercoledì 17 ottobre 2012

Li avete visti i negozi automatici? Inquietanti, respingenti e ipnotici.

Li avete visti i negozi automatici? Sono quegli sgabuzzini riempiti di distributori di ogni cosa che paiono ibridazioni manga tra un armadio e un flipper. Nelle città se ne trovano sempre di più. Di solito rimpiazzano i negozietti dove si riparavano gli orologi, si vendevano i fumetti o si facevano panini melanzane e pancetta. Sono nei punti di maggior passaggio: vicino alle fermate dei mezzi pubblici, in prossimità di scuole, ospedali, impianti sportivi, monumenti.
Mi danno tanta tristezza e mi respingono come emanassero raggi gamma.
Premetto che tutti gli sgabuzzini mi fanno tristezza, incluso il mio e il vostro, se lo avete, ma almeno quelli nelle case richiamano frattaglie di vita e, accostando la conserva di nonna alla trielina e alle scarpe buone per le occasioni che non vengono mai, hanno storie da raccontare.
Nei negozi automatici storie non ce ne sono. Le cose lì non sono di nessuno finché il consumatore non se ne appropria, le adotta direi. Il ronzio dei frigo e dei sistemi di sicurezza evoca un allegro obitorio dove le lucine non riescono comunque a convincere della bontà di alcuna salma. In un impeto di ottimismo lo potrei definire un distributore di storie da embrioni congelati.
I momenti più interessanti da cittadino, impiegato, turista, sono sempre stati quelli in cui entri in un negozio, misuri la distanza tra i tuoi desideri dalla possibilità che ti offre, cerchi la complicità del commesso, e poi tenti di esaudire il tuo desiderio di quel momento. A volte ci riesci, a volte no, ma sempre hai incartato l'oggetto del suo acquisto di ciò che gli da il gusto vero: il fattore umano.
Non fatevi ingannare se evocano le macchinette del caffè presenti negli uffici: per questo davanti a loro ti senti 'quasi' a tuo agio.  Le macchinette negli uffici sono dispenser di buoni consigli prima ancora di acqua sporca aromatizzata al caffè, sono totem antistress, fari per impiegati disorientati. Queste stanzette al piano strada sono invece set impersonali per consumi istintivi e solitari, ideali solo per chi ne ha abbastanza del genere umano, pericolosi per tutti gli altri.
I primi negozi automatici puntavano solo su bevande e cibo, i secondi hanno aggiunto cose di utilità come fazzolettini, preservativi e creme solari. Ora non ci si deve stupire nel trovare scarpe, libri, souvenir, e cianfrusaglie varie. Verranno consulti psichiatrici con assistenti virtuali, simulazioni di colloqui di lavoro o tecniche di seduzione, erogatori di strette di mano, analizzatori del cuoio capelluto e della vista.  
Non li sopporto ma ogni volta che gli passo vicino butto dentro un’occhiata nella speranza di vedere l’uomo che li rifornisce, la presenza umana che li alimenta. È bello quell’uomo, fa un lavoro vero, magari gli piace pure e non comprerebbe mai un sandwich al pangasio in un posto così. Ed è felice almeno finché non decideranno che un omino meccanico possa fare lo stesso lavoro in meno tempo, senza ferie e pause, e al massimo un cambio d’olio ogni sei mesi.

lunedì 15 ottobre 2012

Io e Walter Veltroni

Mi sono trasferito a Roma nel ’98, ci sono venuto per lavorare e nulla mi aspettavo oltre a una bellissima città un po’ decadente abitata da persone indaffarate, rumorose e gaudenti. Come infatti trovai. Nel 2001 venne eletto Veltroni e per otto anni circa fu il mio sindaco.
In queste ore in cui ha deciso di non ricandidarsi in Parlamento in molti ne parlano, sbeffeggiandone i tic, il mal d'Africa, la messianicità, il buonismo. Io vorrei invece ringraziarlo di cuore.
Gli anni con Veltroni sindaco di Roma sono stati anni importanti per questa città. È cambiata molto, in meglio. E forse a causa di questo anche io sono cambiato in meglio.
Veltroni sindaco era l’impersonificazione del sogno possibile di una Roma diversa. Come infatti è stato il larga parte. Non era buono o buonista, era rigoroso e responsabile. Credeva nel primato della politica e come nessun altro politico aveva le idee chiare su quali fossero i punti di forza e di debolezza della città, e di come le opportunità andassero create e colte. Dialogava e molto spesso portava a casa i risultati che desiderava. 
Nonostante la sistematica opera di smantellamento fatta a arte, ancora oggi salta all’occhio salta l’impressionante mole di iniziative che lui e la sua squadra hanno voluto e sviluppato che, ancor prima che portare in città milioni di turisti, e centinaia di imprese, hanno ridato ai romani l’orgoglio di vivere in questo posto benedetto dagli dei.
La sua risaputa attenzione maniacale per il consenso era per me la parte migliore di una tensione continua volta a realizzare un’idea di città in cui tutti fossero soddisfatti e felici. Bambinesco? Naive? No, eroico secondo me.
Ho avuto modo di constatare direttamente il suo amore per Roma e i romani. L’ho sentito più volte parlare a braccio davanti a scolaresche, imprenditori e premi nobel con lo stesso entusiasmo e con la stessa rara capacità di stimolarne domande e azzardare risposte.    
Di certo ha anche dovuto accettare e ricercare alcuni compromessi  (specie con la razza vorace dei palazzinari e con quell’anima nera di Roma che parte dall’Olimpico, passa per gli attici e finisce in Vaticano) ma, negli anni, ha avuto la forza per portare dalla sua molti scettici e distratti anche di sponda avversa.
A Roma si è vissuto per anni in un clima di apertura, di tolleranza, di accoglienza, di curiosità culturale che nessuno in buona fede può disconoscere e che ora ci manca assai. In quegli anni non avevamo davvero nulla da invidiare a Parigi, Barcellona o New York.  La sua politica di sviluppo e riqualificazione dei quartieri sopravvive ancora, così come sono amate le sue intuizioni come il Viaggio della Memoria a Auschwitz, la rinnovata Estate Romana, l’Auditorium, le timide pedonalizzazioni, gli eventi, il Gay Village, la Metro e i tram, il Festival del Cinema. 
Non si può accostare il progetto di Veltroni – inclusi i suoi errori - con l’inedia, la debolezza e l’opacità del sindaco attuale che vive con l’incubo della propria incapacità di essere anche solo confrontabile col predecessore e, come Nerone, preferirebbe bruciare questa città piuttosto che continuare a specchiarvi la propria inettitudine.
L’unica cosa che non ho mai del tutto perdonato a Veltroni è stata la sua candidatura del 2008 alle politiche, da sognatore stavolta un po’ ingenuo dove, come un Don Chisciotte contro i mulini a vento, pur portando il suo partito ai massimi storici si è fatto martirizzare da un avversario di tale spessore affaristico e criminale che per essere battuto avrebbe avuto bisogno di scontrarsi con un Paese dotato di ben altri attributi e anticorpi.
Ora che avrà di certo un’agenda più libera mi piacerebbe invitarlo per cena, presentarlo ai  miei figli, magari cucinargli qualcosa di etnico o di genovese, parlare con lui di musica ma anche di futuro, di progetti, di innovazione, di globalizzazione. Sento che sarebbe utile e bello. Forse non avrebbe lo scanzonato accento di un giovane toscano in cerca di autore ma di certo avrebbe sempre qualcosa di sensato da dire.

sabato 6 ottobre 2012

Se gli studenti leggessero di più quello che scrivono…


Ieri sono scesi inpiazza gli studenti in varie città d’Italia. È una novità di cui si èsentito poco parlare perché non è ancora stata catalogata.
Si è trattato di numerose e frammentate manifestazioni, forse limitate nella partecipazione, confuse negli obiettivi, piuttosto aspre, senza un piattaforma o richieste di confronto, senza grande collante tra loro forse escluso quello dei cellulari e dei social network (“A Torino hanno sfondato il cordone di Polizia, facciamolo anche noi!”).
A me è sembrato il warm up prima di una prova vera e propria che potrebbe venire ereditata da chiunque vinca le elezioni in primavera, se non avverarsi prima.
Nonostante fosse strategicamente messa di venerdì (giorno  prediletto dagli scioperi dei padri) questa galassia di manifestazioni non riesco a catalogarla come la classica giornata di svago on the road. Si sta forse facendo largo una voglia di aprire gli occhi sul mondo che non appartiene di certo ai loro genitori?
Lo spettacolo indegno a cui sono spettatori, fatto di cuori culi anime comprati e venduti in cambio di brevi attimi di notorietà o ricchezza forse finalmente cozza contro il sogno adolescenziale - e tutt’altro che ingenuo - di un mondo migliore e giusto.
È in questo senso sempre istruttiva la lettura di manifesti e volantini: destra e sinistra usano le stesse parole, scrivono fin nello stesso modo. Magari una parte usa i caratteri gotici e l’altra il curier ma il resto è identico: “Non vogliamo pagare noi la crisi che avete generato voi”, “Vogliamo un futuro”, “Scuola e università di qualità e per tutti”, “Via i politici ladri e porci”.
Ok, non volano alti (devono ancora capire cosa voglia dire) ma questa identità generazionale mette nell’angolo tutti i partiti e, se qualche ragazzo perdesse tempo a leggere le rivendicazioni degli 'avversari', finirebbe pure per accorgersi di quanto siano vicini su questi argomenti pre-politici, e di quanto potrebbero essere efficaci se ragionassero assieme e non divisi dai modelli degli stessi padri che vogliono contestare.
Qualcosa comunque sta per succedere. Ma sì, beato il popolo che ha ancora giovani in cui specchiarsi.
E beati coloro che vorranno volare alti. Nonostante.

lunedì 1 ottobre 2012

Da Roma in Romania e mi ritrovo a parlare di Rom.


Ho passato alcuni giorni a Bucarest. Una missione interessante in una città vivace e piena di spunti. Lì, salta agli occhi l’abisso tra chi ha tanto e chi non ha niente: tante Porsche, Bentley e simili; tanti nullafacenti a guardare i cerchi nell’acqua al parco. A differenza di molti altri paesi dell’area, la qualità del cibo raggiunge la sufficienza, i musei sono bellissimi, e il centro storico restaurato e tirato a nuovo la rende migliore di tante città italiane molto celebrate dagli assessori.
Una questione mi è rimasta in testa e molte domande a essa collegate: i Rom.
Se stai un po’ a Bucarest il tema in qualche modo salta fuori. Sono i rumeni a stimolarti perché sono ubriacati da campagne anti-rom ai limiti del lavaggio del cervello. La discussione si è svolta alcune volte così, sempre identica:
Rumeno: “Cosa pensi dei rumeni in Italia?”
Io: “Niente di particolare. Sono persone che sono dovute emigrare per lavoro. Normalmente molto preparati.”
Rumeno: “Non pensi che siamo tutti dei criminali?”
Io: “Onestamente no. Forse c’era un po’ di diffidenza all’inizio, 10 anni fa, ora non la vedo più. Perché me lo chiedi”.
Rumeno: “I nostri telegiornali dicono ogni giorno che i sentimenti degli italiani verso i rumeni sono sempre peggiori, che non ci sopportate per colpa dei Rom”.
Io (che ho capito dove si vuole andare a parare): “Bhè, è diverso. Non ti nego l’esistenza di parecchi pregiudizi verso i Rom, tensioni talvolta, ma per me i Rom non sono rumeni”.
Rumeno: (sbigottito)  
Io: “Ti assicuro, nessuno lega direttamente Rom e rumeni. Sono italiani, sono quasi tutti nati in Italia”.
Rumeno: “… ma i giornali dicono che ci odiate per colpa dei Rom”.
… e da qui in poi ho provato a smontare i pretesti che  il governo usa per giustificare le peggio cose che  fa ai rom in patria, di come si sia inventato l’ostilità generalizzata ai rumeni all’estero per colpa del popolo Rom. Perversi e diabolici questi professionisti della propaganda, all'altezza dei creatori di certe nostre storie metropolitane quali "Gli zingari rubano i bambini" o "I comunisti mangiano bambini", cose mai nei fatti verificate ma che con la scomparsa dei comunisti ha lasciato i Rom soli contro il pregiudizio.
E qui mi fermo. 
Da tempo ho bisogno di capire meglio la 'Questione Rom'. Sono spesso indignato per come viene gestita dai governi e dalla politica, e dai comitati, e dalle mafie ma mi trovo in un vicolo cieco se penso a cosa farei io se mi venisse dato il potere di intervenire. 
Per ragionare mi servirebbe anche molto conoscere il punto di vista dei Rom su  di me, su di noi, per capire e capirmi. Persone, libri, siti, qualcosa di utile. Ci sono suggerimenti?