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giovedì 27 dicembre 2012

E se il 2013 fosse l'anno della svolta...

Mi piacerebbe chiudere il 2012 con un messaggio di ottimismo perché sento, vedo, che dalla crisi si uscirà, in qualche modo. E i segnali cominceranno a manifestarsi presto.
Fuori dal tunnel ci scopriremo  però molto diversi. Questi anni stanno cambiando gli atteggiamenti e le abitudini, il modo di vivere ma anche di sognare, come mangiamo, viaggiamo, immaginiamo. C’è chi ne è travolto, giace attonito e va aiutato a rimettersi in piedi. C’è chi si è aggrappato a quello che ha incattivendosi. C’è chi sta imparando molto su di sé e il nuovo mondo e sta già ripartendo verso direzioni sconosciuto per definizione. Io forse non sono abbastanza giovane per considerare a crisi del tutto una opportunità ma neppure così arreso da vederne solo le conseguenze tragiche.

Ogni volta che leggo di qualche migliaio di lavoratori messi in cassa integrazione perché si vendono meno automobili (o camicie, o cucine, o filetto di Angus) da una parte sono in pena per loro, ne conosco le difficoltà a reinventarsi per guardare il futuro a testa alto e pagare il mutuo, so bene che le crisi lavorative travolgono i matrimoni e le famiglie, azzerano la stima e l’autostima; dall’altra sono affascinato dalla prospettiva di un mondo con meno auto, o camice inutili, o fornelli supermoderni dove nessuno cucina mai.
I segnali del cambiamento arrivano dalle piccole cose  di ogni giorno. Mi sono trovato a discutere di banalità come schiuma per radersi e dopobarba e i presenti concordavano come siano entrambe cose del tutto inutili (“Basta un po’ di normale sapone messo sul viso, e alla fine sei pure profumato”); ho diversi amici che sono passati con grande soddisfazione al car sharing e non torneranno di certo indietro; c’è chi realizza scaffali e mobili per gli amici in cambio di una cena, quattro sorrisi o sei ore di babysitting; chi fa lo stesso coi siti internet; la disposizione a far circolare i vestiti usati dei bambini supera i confini delle famiglie; ho conosciuto un gruppo di ragazze che si vede per fare la maglia assieme (vabbè, lo chiamano crowdknitting, ma il succo è quello); le vacanze si fanno sempre più in casa di qualcuno e con qualcuno, rinunciando ai lussi degli hotel per riscoprire il piacere delle amicizie coltivate anche lavando i piatti assieme.

In molti di noi sta nascendo un gran bisogno di vedersi e parlare, riflettere sugli errori, chiedere consigli, scambiarsi soluzioni, ecco, forse questa è la vera rivoluzione. Perché è chiaro che da soli si perde, non si comprende il presente e non si può affrontare il futuro. Il percorso è lungo e la meta resta in movimento: se perdiamo tempo a sgambettarci a vicenda ci sarà sempre qualcuno che ci supera. Collaborare è la parola chiave. Lo so, suona un po’ da Alcolisti Anonimi, ma sta cominciando a funzionare. In questo quadro la tecnologia aiuta anche, e quello che sembrava fino a poco fa un mondo rintanato nel virtuale, è grazie al virtuale che sta nascendo un nuovo valore alle attorno alle amicizie che fa anche aumentare il valore reale di ciascuna.
Questa voglia di fare/stare assieme trova un corrispettivo anche nel mondo del lavoro. Le comunità professionali sono ormai solo delle gabbie e 10 ingegneri (o architetti, barman, giornalisti, web designer, psicologi, insegnanti…) messi assieme da soli fanno danni (a se stessi e agli altri). Le chiavi di lettura di realtà e necessità sono talmente complesse che solo unendo diverse competenze, ansie, motivazioni e talenti si può immaginare anche il lavoro che verrà. Capita sempre più spesso che allo stesso tavolo ragionino tecnici, filosofi, artisti e redattori per definire le caratteristiche dei prodotti e delle esperienze che essi dovranno trasmettere. Direi che questa cosa buona è.

Sono da sempre un ottimista, lo so, continuo a esserlo anche quando mi sfugge il perché.
L’anno che sta arrivando tra poco passerà, lo so, ma ci si sta preparando assieme è questa la vera novità.

martedì 25 dicembre 2012

La Mia Austria - Christmas Version

L’Austria non è un paese per diabetici e se questo è vero tutto l’anno lo è maggiormente nel periodo natalizio quando la potenza espressa da burro e zuccheri raggiunge il suo massimo. Un abbondante decennio di frequentazioni mi ha permesso di sperimentare e analizzare gran parte degli usi e costumi del periodo legato alle feste natalizie e di poterne qui esprimere un compendio a uso di vacanzieri curiosi e apprendisti antropologi:

·         In Austria i biscotti di Natale non sono un semplice complemento al caffè ma le loro ricette fanno parte del patrimonio familiare come e più delle stufe di maiolica ottocentesche. Quando Frau X incontra Frau Y per farle gli auguri, le porta una scatoletta con i 5 tipi più diffusi nel Paese, i 5 regionali, le 5 creazioni tipiche della sua famiglia. Frau Y risponde al colpo con altrettanto vigore e sfodera ricette millenarie e qualche pezzo più introvabile del Gronchi Rosa. Io che a Natale sembro il passerotto caduto dal nido apro infinite volte il becco per le decine di Frau che conoscono questo mio punto debole (a danno del punto-vita che rimane insaccato in comodi maglioni extralarge).

·         In Austria a Natale i negozi sono chiusi. E anche a Santo Stefano. E il sabato, tutti i sabati, chiudono alle 18; e la domenica, ogni domenica, sono sprangati. Pochi si lamentano, i più se la godono. Se la godono soprattutto le famiglie che possono stare assieme e gli amici che possono programmare escursioni sulle loro belle montagne. Siccome qui le case hanno tutte il frigo e gli scaffali, i loro negozi possono anche stare chiusi un giorno la settimana, da noi no, chissà perché.

·         In Austria ci sono i mercatini di Natale: sfilate di casette in legno che vengono benissimo nelle foto e danno un alibi perfetto alla spesa compulsiva. Sono gestite da esseri selezionati la cui resistenza al freddo è oggetto di studio. Camminare nelle piazze e nelle vie che sembrano presepi diventa un piacere, spesso accompagnato da musichette natalizie. Vendono prevalentemente oggetti inutili, piuttosto cari e di facile rottura. I più interessanti sono quelli che spacciano pinte di Gluwein (il nostro vin brulé) e mantengono calde le anime.

·         In Austria amano la forma: i pacchetti dei loro regali sono spesso più elaborati e interessanti del contenuto. I biglietti sono fatti a mano con evidente spremuta di neuroni e uso del tempo. Quando ricevi qualcosa hai la sensazione che non sia il prodotto di una carta di credito usata all’ultimo momento e di un pacchetto fatto da un commesso sottopagato che vorrebbe invece fare il lavoro per il quale ha studiato.

·         In Austria non strappano la carta dei pacchetti: è normale riciclarla millanta volte. Il pacchetto viene aperto con cura, staccando lo scotch, poi il foglio viene piegato e stirato con attenzione. Vi assicuro che si può fare.

·         In Austria non vale la pena passare Capodanno: mangiano poco e bevono tanto, questo riassume lo spirito della festa. Alle nove il cibo è finito, l’alcool è invece infinito e aiuta assai a arrivare a mezzanotte. Di memorabile posso segnalare solo il valzer di Strauss trasmesso in diretta nazionale dal primo canale radio e che, allo scoccare del nuovo anno, fa ballare e baciare tutto il paese.
Se vi interessa l’Austria, sia per godervi i panorami che altro, per capire cosa fare e non fare, vi suggerisco la lettura di:
1)      La Mia Austria – Cosa mi piace.
2)      La mia Austria – Cosa non mi piace.

mercoledì 19 dicembre 2012

Quando i matrimoni diventano una questione privata.


Istat ci dice oggi che quest’anno il numero dei matrimoni civili ha superato il numero di quelli religiosi.
A ruota c’è l’economista che sottolinea come ci si sposi meno in chiesa perché c’è la crisi economica e manchino i soldi per festoni di dubbio gusto; il prete dice invece che la società si secolarizza; l’opinionista richiama ai bamboccioni e dei choosy che non se ne vogliono andare di casa. Presto ci sarà chi darà la colpa alle allergie ai pollini dei bouquet, qualcuno porrà il problema dell’estinzione dei wedding planner, o sosterrà che per impennare la religiosità basterebbe non far pagare l’IMU alla chiesa cattolica.
Secondo me il succo sta più nel fatto che una volta ci si sposava in chiesa per tradizione e consuetudine e che oggi, vivaddio, chi lo fa magari ci crede un po’ di più, nonostante la Chiesa stessa. Forse questa si chiama ‘secolarizzazione’.
Non posso trattenermi però dal commentare la “barriera all’ingresso” rappresentata dai corsi prematrimoniali obbligatori, che è anche specchio di molte delle ragioni per cui si esita a sposarsi in chiesa.
Oggi le coppie di promessi sposi si consigliano a vicenda i preti che “ti mettono un timbro e via”, a cui basta una chiacchierata distratta per darti l’autorizzazione o fanno i corsi-weekend negli eremi umbrotoscani con wellness centre incluso.
Io, nell’entusiasmo della decisione matrimoniale, ho preferito invece seguire un corso in 14 puntate obbligatorie nella parrocchia vicino a casa. L’ho fatto un po’ per capire se io o la Chiesa fossimo cambiati dall’ultima volta da cui me ne ero allontanato, e un po’ per “conoscere gente del quartiere, della nostra età, con interessi simili”. 
  • A tenere il corso era un prete coadiuvato da quattro coppie di diverse fasce di età. La loro saggezza e comprensione della realtà cresceva cogli anni e se la coppia più giovane era di integralisti talebani e irresponsabili, la coppia settantenne aveva la lucidità per porsi delle domande e, talvolta, di ascoltare anche le nostre opinioni.
  • Infatti, la regola era che siccome eravamo 12 coppie non avevamo diritto di parola perché “Se qui ognuno dice la sua non svolgiamo il programma e il tempo (14 fantozziani incontri 14) non basta”.
  • Il programma, appunto, tutto incentrato sulla metafora evergreen del ‘cammino’ che aveva in Abramo il camminatore modello. Per 6 incontri su 14 ci hanno parlato solo di Abramo e delle sue camminate, tralasciando del tutto temi ritenuti ovvi o secondari come l’educazione dei figli, la responsabilità dei coniugi, il rapporto coi suoceri, le difficoltà della vita a due.
  • Ci sembrò di essere tornati alla realtà una sera quando, esausti dopo le camminate di Abramo, c’era in agenda ‘Quale è il regime dei beni più idoneo al matrimonio?’. Senza indugi, con le certezze tipiche e razionali del kamikaze nipponico, ci è stato romanticamente consigliata la ‘comunione’ dei beni perché “la parola stessa suona meglio”. Ma a qual punto eravamo a metà del percorso e andarsene metteva a rischio la possibilità stessa di sposarsi.
  • Esilarante fu l’incontro sulla procreazione responsabile in cui delle diapositive raffiguranti le mirabolanti evoluzioni elastiche del muco vaginale, vennero usate per raccontare quella dell’ape e del fiore a un gruppo di coppie 30-40 enni che nella maggior parte convivevano da anni, un paio avevano già matrimoni alle spalle, figli sparsi, e una allattava direttamente durante gli incontri.
  • Surreale l’incontro sulla sessualità in cui il solo fatto che molti di noi praticassero da decenni la materia con slancio, soddisfazione, rispetto, fantasia e scarsa attitudine alla procreazione irresponsabile ci ha rubricato tra i materialisti e i peccatori. Solo la necessità di avere ‘il pezzo di carta’ ci ha a quel punto impedito di mandare la sacra truppa evangelizzatrice a svolgere attività in luoghi più oscuri e maleodoranti..
In quel cammino penitenziale di avvicinamento al matrimonio l’atteggiamento ‘didattico’ è forse stato quello che maggiormente ha urtato molti di noi. Lo stesso che poi ci ritroviamo tutti i giorni, di chi ti tratta come un bambino non vedendo il trave nel proprio occhio, e parla ponendosi su un piedistallo immaginario noto solo lui (e sembra più un fissato che nega le evidenze della vita che un profeta (poi magari sono la stessa cosa)).

lunedì 17 dicembre 2012

La festa di compleanno: Complementi di educazione per genitori adulti (caso 4).


Sono partecipe a questi riti da abbastanza anni da poterne scrivere con una certa competenza.
Se avete figli piccoli, che non sono ancora in grado di gestirsi da soli le feste degli amici vi tocca sovrintendere alle incombenze che si celano dietro la partecipazione a una festa di compleanno.
Per me, ignavo e di memoria autoreferenziale, una festa di compleanno per bambini si riassume in “Invita i tuoi amichetti del cuore a casa, che giocate un po’, i loro genitori si godono un pomeriggio libero, e poi ti faccio una torta con le candeline”. Essenziale, logico direi. Datato, eversivo, destabilizzante, secondo i moderni canoni della socialità minorile che prevede innanzi tutto la logica dell’Evento Memorabile, condizionata da volontà emulative della casa reale, rinforzata da sensi di colpa genitoriali che acconsentono la cessione del fondoschiena già alla richiesta del dito.
Si tratta ormai di format veri e propri di cui si possono esaminare gli elementi fondamentali con una certa facilità:
  • Gli invitati: devono essere tutti quelli a cui si deve rendere conto (definiamoli pure gli azionisti di riferimento). Si intende come minimo tutta la classe, incluso quei 3 o 4 di cui il pupo neppure ricorda il nome, dei 5 che non sopporta, più i fratellini e le sorelline degli invitati, più le maestre. Poi non sia mai che l'esclusione di un teppistello egocentrico oggi comporti minori opportunità lavorative tra venti anni quando il teppista di cui sopra sarà senz'altro consigliere provinciale o dirigente di municipalizzata.
  • La location: il business delle location per le feste dei bambini è in continua espansione. Ludoteche, paninoteche, altroteche, associazioni, sale parrocchiali multifunzione, tutto è buono e tutto va quotato dai 200Euro in su a secondo degli optional richiesti. Siccome parecchi di questi spazi sono anonimi e al piano strada, è escluso che un genitore responsabile lasci il suo pupo lì per andare a fare qualcosa di più adatto alla propria età e gli spazi stessi devono dunque prevedere luoghi e intrattenimenti per papà e mamme,
  • L’animazione: un obbligo masochista. Un esercito di professionisti precari  opera  rigorosamente in nero per animare l’accozzaglia di minorenni coinvolti in questi eventi. Sono necessari, anche perché metà degli invitati non ha relazioni reali col festeggiato e l’altra metà si annoia perché da lì sono stati banditi i videogiochi. Gli animatori sono giovani e meno giovani con nozioni di teatro e giocolieria. I più bravi fanno bolle di sapone del diametro di Giuliano Ferrara o sanno a memoria i nomi di tutti i 27 bambini al quinto minuto di festa. I migliori se li consigliano tra le mamme come si fa con le diete e le gelaterie. Li guardi e hai la sensazione ti faranno anche da badanti precari tra una ventina d’anni.
  • I regali: in media si risolvono in un’accozzaglia di banalità viste in spot televisivi o acquistati per autodefinire lo status del regalante. Da un po’ di anni si è instaurata la tradizione di aprire i regali tutti assieme, in pubblico, in un rito tribale di cattivo gusto in cui tutti ripetono all’unisono  “Scarta la carta!”. Di ogni pacco è annunciato il donante e l’apertura è seguita da commento dell’animatore che cerca così di distrarre il festeggiato dalla insulsaggine del dono. Tale pratica crudele oltre a mettere in concorrenza diretta chi fa i regali, evidenzia a tutti le 3 identiche bamboline ricevute e il libro riciclato dal regalo di natale ricevuto da uno dei presenti. Una nuova piccola follia che sta prendendo piede è quella di regalare agli invitati qualcosa, un ricordo, una specie di bomboniera (che da sé dimostra come tali feste siano da inquadrare nella logica dell’evento familiare e non della festa tra bimbi).
  • Il cibo: è progettato per degli esseri ritenuti incapaci di intendere e volere, condizionati dalla tv e vogliosi di affetto non corrisposto. C’è normalmente tutto ciò che in condizioni normali vieteresti ai tuoi figli: patatine, pizzette gommate, popcorn, coca, fanta, e caramelle colorate di evidenza inquinante. Non c’è altro di commestibile e la torta il più delle volte è la proiezione ipertrofica dei sogni infantili di una madre lasciata sola nell'impresa di organizzare l'evento e a cui solo gli zuccheri fanno ormai svolazzare gli ormoni.
  • I genitori: non potendo eclissarsi, approfittano della presenza degli educatori per dimenticarsi all’istante del  figlio, negarne la paternità se il frugolo spacca lo zigomo alla festeggiata, chattare su What’s Up con l’amica che si è appena rifatta naso e fianchi, sparlare delle maestre, strafogarsi di pizzette di gomma come antidoto alla depressione, guardare nel vuoto sapendo che fuori di lì è possibile un mondo migliore.

In casa mia, a ogni compleanno, c’è la conta tra me e mia moglie per chi debba accompagnare i pupi sul luogo del fattaccio. Si sprecano i “Vai tu, stavolta?” e gli occhi da cane bagnato, si millantano le più improbabili scadenze lavorative, il tutto per arrivare a qualche compromesso. Si lo so, alla fine va un po’ più spesso lei, ne prendo atto. So che la vita la premierà perché, come ha dimostrato Darwin, si salveranno solo coloro che hanno maggiori capacità di adattamento.


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giovedì 13 dicembre 2012

Da oggi in un mondo senza Maria Assunta.


Quel momento doveva arrivare. Lo aspettavo, con qualche brivido. Talvolta provavo anche a immaginarmelo. E ora: eccoci. Poteva essere lei, o lui, o io; in questi conteggi l’ordine è solo la natura del caso. La prima è stata Maria Assunta.
È la prima anima del mio gruppo di amici ‘storico’ che viene a mancare, e per me oggi qualcosa cambia. E' stravolta la vita dei suoi figli, dei suoi fratelli, dei suoi cari che dovranno crescere in un mondo improvvisamente diverso, crudo, meno affettuoso e per molti aspetti incomprensibile.
E mentre, piangendo, scrivo, realizzo che per me finisce quell’invincibilità che in verità non ci appartiene ma che ci cuciamo addosso in gioventù nell’illusione che il futuro non sia che un presente ripetuto all’infinito, con le stesse regole e le stesse certezze.
Maria aveva la mia età. Siamo stati compagni di scuola e di lì in poi abbiamo condiviso molti momenti e molte attività fino a oltre i vent’anni. Feste, campi estivi, scherzi, incontri più seriosi.
Poi le nostre vite si sono dipanate in direzioni autonome andando ulteriormente a arricchirsi di altri incontri, di amori, di figli. Non la sentivo da un po’ ma sapevo che era lì, come lì è tutto quello che gli anni hanno messo da parte per farci adulti. Rivedendoci, a distanza di anni, a noi bastava un sorriso e la vecchia consuetudine risintonizzava i nostri gesti e le nostre domande.
Credo che sia una ricchezza  senza pari quella di poter guardare a un certo gruppo di amici usando naturalmente il ‘noi’ per raggrupparli nello spazio e nel tempo.
No, non sono quelli 'più amici degli altri' (di quelli venuti dopo, incontrati sul lavoro, conosciuti nei viaggi o al corso di ballo) ma sono diversi perché hanno avuto parte di quel momento irripetibile che è la scoperta di noi stessi e della vita.
Per me Maria era in quel ‘noi’. Era una ragazza, pardon, una donna intelligente e autonoma. Sebbene tutti si sia ‘diversi’ per definizione, per me lei era più ‘diversa’ delle altre. La ricordo fiera e decisa anche quando le sue scelte di testa o di cuore facevano scalpore nel perbenismo che smorzava ogni acuto del nostro microcosmo di allora. Grazie a lei e a altri facenti parti di quel ‘noi’ così importante ho fissato i miei valori, definito i miei punti di vista, capito cosa avesse davvero senso e cosa fosse solo conformismo, cosa meritasse la mia rabbia e cosa solo una distratta alzata di spalle.
Da oggi c’è il primo vuoto in quel ‘noi’, uno spazio incolmabile e allo stesso tempo per sempre inviolabile. Perché se il senso del sacro ha qualche ragione di esistere, per me è proprio quella di farci riconoscere l’unicità e il valore perenne di ciascuno.
Maria mi manchi.