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martedì 30 aprile 2013

Beati i lavoratori perché festeggeranno il Primo Maggio.

Il Primo Maggio, la festa dei lavoratori, una giornata che dovrebbe appunto essere di festa. Magari anche di riflessione, analisi ma soprattutto di festa. Attrezzi da lavoro messi nello stipetto e allegra scampagnata con gli amici. Quest’anno però c’è poco da festeggiare.
Non serve leggere le statistiche per capire la sofferenza di un intero Paese. Saracinesche chiuse come palpebre di cadaveri sono alla base di ogni palazzo. Reggono solo le sale gioco e i negozi di sigarette elettroniche, per soddisfare le dipendenze ma non le necessità.

In queste ore la politica sta impastando ancora sulla pelle dei lavoratori. Dagli scranni e dai meetup tutti in coro fanno una gran confusione mischiando il “Reddito minimo garantito” col “Salario di cittadinanza”, i diritti con i doveri, l’elemosina con la dignità. Strombazzano l’annuncio dell’ennesimo ammortizzatore sociale che nasconde la loro cronica mancanza di idee capaci di far superare la differenza tra dare il pesce all'affamato o dargli l’opportunità di pescarselo da solo. Anche perché i servizi per l’impiego che dovrebbero spiegarti tutto di canne, ami, zone di pesca, uso della mosca e posizione del verme, sono spesso inutili alibi alla resa delle istituzioni.
La politica dovrebbe invece favorire senza incertezze l’occupazione facilitando la nascita delle imprese nelle mille possibili forme e settori. E in Italia vuol dire parlare di servizi, artigianato, turismo, industria culturale, audiovisivo, green economy, e-government, agroalimentare, chimica verde ...
È tre anni che invece sprechiamo molti dei miliardi della Cassa Integrazione in Deroga facendo finta che migliaia di persone possano un giorno rientrare in un mercato del lavoro che non esiste più. E non esiste perché noi siamo cambiati, perché siamo diversi e consumiamo diversamente e pensiamo diversamente. Ora andremo a bruciare risorse in nuovi sussidi a fondo perduto capaci di prosciugare la dignità dei giovani bruciando invece le risorse utili a delineare il futuro del paese.

Cammino stasera per Roma, mi muovo nella bellezza, tra monumenti, turisti, il palco del concertone, gente che mangia e ride, e tutto mi parla di lavoro. E di amore per il lavoro.  Generazioni di architetti, ingegneri, cuochi, muratori, artisti, insegnanti, cocchieri, sognatori sono gli autori di tutto questo e mi pare paradossale che sulle stesse basi – aggiornate ai tempi e alla tecnologia - non si possa puntare alla transizione a un mondo del lavoro che parta dalle nostre peculiarità, dalla nostra diversità, per una realtà in cui il giusto guadagno (non il minimo sussidio) sia garantito.

Come? L’Italia non è il paese più bello del mondo, non ha davvero il 70% delle opere d’arte, non ha neppure il cibo migliore del mondo. Non può essere così perché la bellezza, l’arte, la cucina, sono concetti soggettivi, che cambiano, che dipendono dall'esperienza. Smettiamola di raccontarcela o faremo davvero la fine del triste ‘campionato di calcio più bello del mondo’. Di certo il nostro è un paese “diverso” da qualsiasi altro ed è proprio questa diversità che accende la curiosità, stimola occhi e papille, determina le scelte. Si viene in Italia, si compra italiano, si può anche investire in Italia, e lo si farà se l’ambiente, la cultura e l’economia sapranno andare a braccetto come è stato per molti secoli. Ma rispetto all'età del Rinascimento la novità sono i Diritti dell'Uomo e oggi dire ‘non lasciamo indietro nessuno’ può diventare sinonimo di ‘facciamo tutti un passo avanti’.  

Lavoreremo di nuovo solo se sapremo essere noi stessi, credendo nel talento e nella forza della diversità. E sapremo darci obiettivi comuni da raggiungere, collaborando e competendo. Il torto più grande che possiamo fare a noi stessi è provare a assomigliare agli altri.  

giovedì 18 aprile 2013

Appuntamento al buio a Matera: cronache da un'innovazione annunciata

Una settimana di co-living con degli sconosciuti? Non mi era mai capitato. Soprattutto ho raramente incontrato un gruppo di persone così talentuose e determinate nel perseguire il sogno di sviluppare lavoro e imprenditoria per dare benessere a se stessi, ai territori e alle comunità in cui operano. Tutto fatto in maniera sostenibile per l’ambiente, per l’economia e per le relazioni sociali. (Tra noi tecnici più  noiosi, questo slancio verso uno sviluppo post-crisi virtuoso e radicalmente differente è definito Social Innovation).
Ve lo narro dal principio: ho partecipato a un contest internazionale e sono stato invitato a vivere una settimana a Matera immerso per 24 ore al giorno con una comunità di innovatori che per qualche motivo mi ha identificato come interessante e utile alla propria crescita.
A questo cenacolo siamo stati ammessi in 10 di tutto il mondo, ospitati in 10 diverse settimane, ciascuno con un’area di competenza differente. Io ero lì per portare la mia esperienza in materia di interventi e progetti di sviluppo dell’economia e dell’occupazione, con un focus particolare sulla nuova Programmazione Europea per il periodo 2014-2020. (Vi sembra noioso? Malfidati, vi sbagliate).

In uno sfavillante inizio di primavera che sapeva già di estate, mi hanno accolto negli spazi di Casa Netural, che ha sede accanto alla Cattedrale di Matera. Da lì domina i Sassi e si fa dipingere ogni sera da straordinari tramonti. Questa associazione esiste da solo 5 mesi, ha già decine di associati e molti più partecipanti agli eventi. La conoscono tutti a Matera, nonostante sia stata fondata da due alieni: Andrea Paoletti – esperto mondiale di progettazione di spazi di coworking arrivato lì da Biella – e Mariella Stella materana, esperta in facilitazione dei processi e rientrata da pochi mesi in città dopo molti anni di vita a Roma. Casa Netural è così conosciuta e osservata da tutti  perché è essa stessa aliena alle logiche che governano il nostro Paese: persegue la qualità, misura l’impatto degli interventi, rifiuta l’assistenzialismo, è aperta a tutti coloro che vogliono scambiare idee, tempo, contatti, visoni.