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martedì 30 luglio 2013

Sarà l’estate del ‘Fare’.

Questa è a detta di tutti l’estate del ‘Fare’. Diventa più problematico definire del ‘Fare’ cosa.
A me il ‘Fare’ affascina più di tanti altri verbi fumosi. Provo allora a mettere in fila cosa questo significhi, e a darne una lettura che trasmetta il valore di questi tempi.
Innanzi tutto non riesco a non pensare ai 3.200.000 disoccupati che hanno poco da ‘Fare’. Sono flessibili, si sa, e possono magari Fare melina, Fare tardi la sera (tanto la mattina possono dormire), Fare la coda all’ambasciata americana per ottenere la Carta Verde, Fare quello che possono per tirare avanti, Fare corsi di formazione senza sbocco, Fare finta che tutto vada bene, Fare quello che gli dicono, Fare il contrario di quello che vorrebbero, Fare ombra ai propri desideri.
Intanto Papa Francesco ha deciso di ‘Fare’ una bella gita fuori porta a Lampedusa e ha ribadito la linea del Vangelo su accoglienza e solidarietà. Ci ha messo tanta forza che metà della politica cattolica si è arrampicata sulle pissidi per non ammettere di aver usato quelle pagine della Bibbia per accendere il camino. Poi è andato a ‘Fare’ la scampagnata in Brasile, tenendosi ben stretta la borsa, sollevando più di un “Ohhh!” stupito tra chi pensava che favelas e povertà fossero fuori moda nel 2013. Francesco, vuole anche Fare chiarezza sullo IOR ma chissà se glielo faranno Fare.
A Londra due giovinastri incoronabili hanno deciso di ‘Fare’ un bambino a lungo innominato che ha generato una ola che dalla sala parto è arrivata alle bianche scogliere di Dover. Stampa, tv, media, hanno già provato a Fare santo subito il pupetto reale, probabile sovrano nel 2060 con delega su Kingdom Centauri ai confini della galassia.
Il nostro governo poi ha chiamato un provvedimento Decreto del ‘Fare’. Semiotica e Scienze della Complessità stanno cercando di capirne le ragioni. Poi si è lanciato nel Fare il lifting alle Provincie, prova a Fare molto fumo sulle sigarette elettroniche, decide di Fare fuori il cinema italiano, dimentica di Fare qualcosa (di sinistra, destra, sopra o anche di sotto) per i 3.200.000 di cui sopra oltre che aprirgli il wi-fi gratis.
Agli evasori e alle mafie invece si concede di continuare a Fare quello che vogliono. E' a loro che lasciamo Fare il miglior Made in Italy.
Gli editori quest’anno però non sono riusciti a Fare uscire il libro dell’estate. Sì, provano a Fare cassetta con titoli labirintici come ‘La cattedrale del profeta misterioso’, ‘ I papiri stropicciati del Mar Morto’, ‘Scusa se ti sogno al mare’, ‘Un sogno buio come il latte’, ‘Vi ho visto Fare un nano in marzapane’. Ma gli italiani leggono sempre meno, e non perché devono Fare tutti l’esame della vista. Già... i sospiri goduti che l’anno scorso ci hanno fatto Fare le ‘50 Sfumature’ stavolta non tracimano più da sotto gli ombrelloni dove si nota invece una ripresa del Fare le parole crociate: 2 Euro di certezze e grande catalizzatrici nel Fare gruppo. “3 verticale: Produrre, Costruire, Dar vita a qualcosa”. “Fare!” appunto. Anche se non siamo molto capaci.

La logica della complessità, ci dice che dopo l’estate del ‘Fare’ dovrebbe arrivare l’autunno del ‘Baciare’, di ‘Lettera’ a Babbo Natale per l’inverno poi, e ‘Testamento’ finale col logo della BCE in primavera, dove poi dal letame nasceranno i fior e il ciclo ripartirà dal ‘Dire’ che è sempre un piacere. 

martedì 16 luglio 2013

Ho incontrato una Snowden all'amatriciana.

Aveva delle tette così esplosive che avrebbero da sole meritato un posto al Louvre degno delle 'O' di Giotto ma presto le dimenticai, travolto dall’interesse per il suo lavoro, per me, ai limiti dell’incredibile e della legalità.
La chiamerò Laura. L’ho conosciuta in un pub qualche anno fa. Quella calda sera d’estate la mia attenzione oscillò per un po’ tra le sue tette e quello che diceva, e ero incredulo per entrambe. Per inquadrare simpaticamente il suo lavoro usò dapprima parole vuote ma suggestive tipo “Mi occupo di business intelligence”, “Cose da web semantico”, “Analizzo big data” poi incalzata, e forse lusingata, dalla mia conoscenza del ramo – e da qualche birra di troppo - svelò via via maggiori dettagli.
“Ad esempio”, mi disse. “Lavoriamo molto in periodo elettorale, nelle zone in cui il risultato è incerto, dove magari 1000 o 100 voti fanno la differenza per un seggio.” Si prese una seconda birra bianca, “Noi sappiamo tutto  di ogni elettore.”
“Di chi?” dissi, ingenuo.
“Anche di te”, rise. “Sappiamo che auto hai, se l’hai pagata e come, che ristoranti frequenti, gli hotel. Ogni cosa sulla tua casa, le tue multe, i tuoi debiti. Seguiamo e incrociamo le informazioni dei tuoi conti, del tuo gps, della carta di credito, il bancomat, gli acquisti on line, le donazioni a Emergency, musica scaricata, ebook letti.”
“Ma è legale?” balbettai.
Laura oscillò tutta sullo sgabellino del bancone prima di parlare. “Le singole basi di dati sono acquisite in modo abbastanza legale. Sono in vendita e noi li usiamo. Niente lo vieta, a oggi. La qualità dei risultati dipende solo dalla capacità dell’analista nell’incrociare i numeri. La potenza di calcolo non è più un problema.” Lo sguardo di Laura scintillava: quello era il suo campo.
“Sono un matematico” le dissi per farle capire che potevo apprezzare le sue confidenze per il valore che avevano. Lei sorrise.
“E cosa potete fare con questi dati?”
“Tutto”, era molto sicura di sé. “Prevedere comportamenti di acquisto o di voto, che poi sono la stessa cosa, e simulare gli effetti di azioni di condizionamento. Possiamo sapere se sei interessato a un corso di inglese, un massaggio, un viaggio a Bali con sessioni di yoga.”
“Quindi più uno e poveraccio e più voi siete disinteressati a lui?” provai a sdrammatizzare.
“Non noi. I nostri clienti. Comunque anche i poveracci votano…” e la sua anima sociale, si vedeva, non era legata alla difesa delle garanzie democratiche ma alla forza del mercato. “E poi”, aggiunse Laura illuminando gli occhi color miele, “i poveracci sono quelli che interessano di più alle polizie. Sono quelli che fanno casino e disturbano i mercati. Sono utilissimi anche loro.”

È come del porco: dei dati personali non si butta via niente. 

mercoledì 10 luglio 2013

Un cuore di panna per meeeeeeeeeeeeeeeeee!

Ho uno spirito critico corazzato da una patina di cinismo. Non si accontenta di essere distaccato dai fatti e pignolo nelle valutazioni ma ama mettere un po’ di cattiveria nei giudizi.
Questa serena freddezza mi ha sempre difeso dalle suggestioni facili e dalle infatuazioni di una sera. Per impressionarmi occorre forare strati di scetticismo. Ovviamente, bucata la corazza mi lascio completamente andare e la deriva della ragione diventa totale.
Nonostante molti altri amori mi abbiano accarezzato il cuore, sono stato soggiogato in tenera età dalla seduzione del Cornetto Algida.
Lei era la ragazzina che pubblicizzava il cuore di panna che il Cornetto raccoglie. Capelli castani, occhi neri. La conobbi in un spot e ciò mi bastò. Per trenta secondi fummo io e lei, lei e me, io sul divano e lei nel monoscopio, e furono i tormenti, le gioie e la passione.
Era sdraiata sulla spiaggia. Morbida, con indosso un costume scuro. Improvvisamente qualcosa attirava la sua attenzione. La ricordo voltarsi, con la canzone di sottofondo che sussurrava: «Se quello che cerchi, è un cuore da amare» (Sì, sì, lo cerco. Oh, come lo cerco!). I suoi occhioni scuri e le lentiggini. «Un piccolo cuore per farti sognare» (Che piccolo cuore e che belle piccole tette, e all’uso neanche troppo piccole!). Veniva poi lo sguardo stupito e innamorato di lei verso di lui (uno sfigato qualsiasi che avrei potuto essere io). La musica in crescendo «un sogno d’estate. Un cuore di panna troveraiiiiiii».

E i due correvano uno verso l’altro e poi si abbracciavano (e io sorridevo ogni volta come uno scemo). Finiva sempre che mangiavano il Cornetto e io in quel trionfo di gelato non riuscivo più a distinguere quali fossero i preliminari, quale il climax, quale il messaggio. Allora, appena potevo, lo compravo e lo mordevo: era strabuono, più imitato della Settimana Enigmistica e del ciuffo di Elvis Presley.
Ancora oggi, quando la corona di cioccolato e nocciole o quel culo appuntito ripieno di fondente mi scrocchiano tra i denti, mi chiedo come possa ogni volta ripetersi quell’emozione. Allora chiudo gli occhi, penso alla moretta con le lentiggini, e mi sazio della certezza che l’esistenza del Cornetto sia la sua prova di fedeltà eterna.