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domenica 30 marzo 2014

Io voto per l’Europa, perché io sono Europa.

È un periodo strano, in cui parlare bene dell’Europa sembra disdicevole e tutti sono lì a sparare sul fantomatico nemico a Bruxelles, sempre descritto come ‘altro’ da noi, come un’entità aliena, che non dovrebbe criticarci, valutarci, ma solo darci il grano e ringraziarci per l’onore di averci al tavolo. L'Europa siamo noi, sono io.
Pochi hanno l'onestà di dire chiaro che se non fossimo Europa saremmo rovinati, che è garanzia di pace, fonte di opportunità, nutrimento alla nostra cultura, occasione continua di scambio e confronto.

Lo so, molti vorrebbero farne a meno. D'altronde quando molte nostre regioni parlano di separarsi dall'Italia, non può certo essere salvo il desiderio di essere cittadini europei.
E' anche chiaro come la Commissione Europea sia imbambolata e abbia poche idee confuse su come cambiare marcia (la stessa mancanza di idee che abbiamo noi).

Il tema è complesso e andrebbe trattato con cura e spirito costruttivo. Purtroppo i punti di vista che si sentono in giro mi paiono spesso scritti con in mano 'na birretta al bar, tra un rutto e un “so tutto io perché mio cugino è stato in gita scolastica a Bruxelles e mi ha raccontato ogni segreto”.
Parlare di “Europa che comanda in casa” nostra è falso e mistificatorio, costruito ad arte per nascondere la nostra inedia, malafede e incapacità – prima di tutto istituzionale -  di “essere Europei” e di comandare su noi stessi. Cosa che non facciamo perché temo non si abbia ormai idea di come si faccia.
Mi sono abbastanza rotto i neuroni di leggere di responsabilità ‘europee’ che sono essenzialmente nostre. Quando sento che “l’Europa ce lo chiede” per giustificare scelte impopolari sento già il sibilo della fregatura puntare all’obiettivo del mio basso ventre.   
Dicono che il Parlamento Europeo non conta nulla? Allora come la mettiamo col fatto che la maggioranza delle nostre leggi nazionali sono meri recepimenti di quelle prodotte dal Parlamento UE. Qual è dei due parlamenti quello che ruba lo stipendio? Quello che ‘conta’ davvero? Perché mandiamo a Bruxelles prevalentemente politici decotti, col record di assenze in aula, che vivono col trolley sempre in mano e della capitale belga conoscono bene solo i ristoranti italiani? Poi ci meravigliamo che le leggi tengano poco conto delle nostre necessità. Dite che è alto il loro stipendio? Lo è ma sappiate che sono solo i parlamentari europei italiani a guadagnare 16.000 euro al mese, circa quanto quelli che stanno a Roma. Il loro stipendio l’abbiamo fissato noi (non l’Europa), e li paghiamo noi. I tedeschi e gli inglesi guadagnano la metà, altri anche un terzo.
44.000 dipendenti nella Commissione Europea vi sembrano tanti? Non scherziamo: sono circa la metà di quelli del Comune di Roma. Guadagnano troppo, sì, di certo lavorano meglio e sono meno corrotti. Magari sarebbe più utile parlare di come l’Italia sia assente ai tavoli di discussione, di come i legami tra il nostro paese e i funzionari italiani lassù (stimati  e bravi) sia sporadico e senza strategie, di come gli uffici di rappresentanza delle Regioni siano pieni di raccomandati, di stagisti sottopagati, di interessi particolari.

Però poi se vuoi giustizia, ti rivolgi alla Corte di Giustizia Europea. Chissà perché…  

Programmi come l’Erasmus hanno ridisegnato le relazioni, i punti di vista sul mondo, le prospettive per intere generazioni. Chi ha l’opportunità di vivere l’Europa, non può che poi impegnarsi perché funzioni meglio. Più Europa dunque, per tutti, per sconfiggere il pessimismo e spingere di più perché l’unione economica sia anche politica.

Le infrastrutture e i progetti europei di ricerca sono la culla del nostro futuro comune e ci consentono di guardare ai mercati con qualche speranza di competere.

Poi, ammettiamolo una volta per tutte, se non ci fossero i Fondi Strutturali (tipo il Fondo Sociale Europeo) in Italia non avremmo un centesimo su tematiche fondamentali come la formazione professionale, le politiche del lavoro, la tutela ambientale, l'inclusione sociale, la ricerca e l’innovazione. Ho visto centinaia di persone (incluso me stesso ogni mattina allo specchio) a cui un corso del Fondo Sociale ha cambiato la vita. Questo è così vero che l’assalto a questi Fondi è ormai senza ritegno e logica. Siccome rispetto al passato è mediamente più difficile rubarli (infatti da un po’ di tempo vanno piuttosto 'non spesi'), per usarli senza idee e per raccattare quattro voti in più si tenta di buttarli in ammortizzatori sociali o per chiudere i buchi nei marciapiedi, rinunciando a fare quelli che possono essere interventi strutturali per riformare davvero il Paese.

Così, quando mi rinfacciano come Bruxelles ci comandi a bacchetta, ci tenga al guinzaglio, io dico “meno male” anche perché oggi come paese abbiamo la credibilità di Pinocchio e non ci può essere assegnata la piena capacità di intendere e di volere.
L'Italia si salverà solo nell'Unione Europea e non voglio neppure immaginare lo scenario che non ci veda nemmeno comprimari in questo consesso. Dobbiamo contare di più, questo è certo. Dobbiamo portare più Italia e più Mediterraneo a Bruxelles. Dobbiamo esprimere una politica economica e sociale che sia nostra e che viva nelle relazioni e negli scambi con gli altri Paesi. Dobbiamo immaginarci europei per diventarlo e poi per modellare la materia.

Di certo non è cambiando Presidente del Consiglio ogni stagione e guardando solo alle dimensioni del nostro ombelico che otterremo risultati in tal senso. Crediamoci dunque, con coraggio.  

giovedì 20 marzo 2014

Imprenditorialità Civica: un’Agenda per reinventare l’Europa in un mondo rimpicciolito.

È la seconda volta che, con gran piacere, ospito un post di cui non sono l'autore. 
Questo è un post che guarda a fondo nelle nostre vite nel nostro essere cittadini, sognatori, realisti. Aiuta a capire come prima di tutto non possiamo non definirci europei e in tal senso dobbiamo sentire la responsabilità per quello che è stato e per quello che potrebbe essere.

Il pezzo originale, a firma di Filippo Addarii e Indy Johar, lo trovate qui. In accordo con gli autori, mi assumo la responsabilità della sua traduzione e di un parziale accorciamento.
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Il cambiamento climatico, la crisi del credito, la privazione dei diritti politici, la disoccupazione giovanile, l’invecchiamento della società , le migrazioni di massa, sono tutte manifestazioni del cambiamento globale e palesano l'inadeguatezza delle istituzioni nell’affrontare la trasformazione in atto.
È  la crisi del nostro piccolo mondo. È  la crisi dell’Europa.

Alla fine della seconda guerra mondiale, i nostri nonni realizzarono come il mondo fosse cambiato drasticamente e investirono nella creazione di un nuovo sistema di istituzioni politiche, economiche e sociali in grado affrontare le cause strutturali della guerra, della povertà e della disuguaglianza. Le loro scelte coraggiose hanno dato vita a decenni di pace e prosperità in Occidente. L'Unione Europea è conseguenza diretta da quello slancio creativo e sforzo collettivo .
Dobbiamo tornare a quella mentalità creativa e sviluppare una nuova generazione di concetti, regole e strumenti per ri-innovare la nostra infrastruttura istituzionale prima di raggiungere un altro picco di crisi. Il mondo che ha costruito pace e prosperità per l'Occidente è giunto al termine.

Le ‘riforme’ sono solo correttivi che tentano di affrontare sintomi isolati con una visione obsoleta e istituzioni inadatte allo scopo. Applicare singole soluzioni senza reinventare l’infrastruttura istituzionale generale è un’azione destinata al fallimento. Abbiamo bisogno di un nuovo sistema e di istituzioni in grado sia di valorizzare che di rendere sostenibili le opportunità e le sfide poste da una società interconnessa in rapida crescita.
Le persone sono il punto di partenza e l'Unione Europea deve stringere una partnership forte con milioni di micro iniziative civiche che stanno già reinventando comunità da zero. Il futuro è tutto nelle partnership tra il micro e il macro, tra l'impegno, la passione e l'inventiva dei cittadini e la capacità delle istituzioni pubbliche di selezionare, investire e sistematizzare.

L'Unione Europea ha bisogno di inventare una nuova generazione di istituzioni che sposti la prassi amministrativa da quella di ambienti chiusi e autoreferenziali a un'epoca che abbracci la trasparenza, l’apertura e collaborazione peer-to-peer tra i diversi settori e tematiche. C’è la necessità di cogliere e moltiplicare il valore di piccole iniziative quali microaziende di produzioni 3D, supermercati gestiti dei cittadini, spazi di co -working, club di programmatori, car -sharing, comunità digitali per l'apprendimento delle lingue, piattaforme aperte per l'innovazione, progetti di crowdfunding per la valorizzazione e protezione del patrimonio pubblico, produzione distribuita di energia attraverso fonti rinnovabili.
L'innovazione e l'imprenditorialità civica puntano i riflettori su settori emergenti dove il volontariato e la responsabilità sociale d'impresa si incontrano, si incrociano profit e non -profit. Lì si riscopre il carattere universale e il pieno potenziale dell’azione civica per trasformare l'intera società. Si riconosce il valore della collaborazione tra gli individui e la loro capacità di prendere il futuro tra le mani e reinventare le istituzioni politiche, economiche e sociali .
L'UE è la più grande fonte mondiale di finanziamenti pubblici nel settore. L'innovazione e imprenditorialità sociale sono priorità nei Fondi Strutturali e di Coesione (€ 366.8 miliardi), in Horizon 2020 (€ 80 miliardi), e il valore sociale degli interventi è diventato un criterio nella nuova direttiva sugli appalti pubblici. Sono impegni finanziari imponenti, ma la prossima Commissione deve indirizzare i propri investimenti per aprire la governance in tutti i settori, mettere in comune dati e dei processi di apprendimento, e democratizzare la finanza e la produzione.

Crediamo che sei azioni siano necessarie per iniziare e rendere quest’ambito di nuova azione politica realmente in grado di trasformare il futuro di 500 milioni di persone:

lunedì 10 marzo 2014

Quello che non vorremmo e che invece occorre sapere sui Fondi Europei 2014-2020.

Tutti in famiglia hanno una zia o un’amica logorroica che ripete “Io l’avevo detto!” al verificarsi di qualsiasi evento. Bene, oggi mi sento così.
Il quotidiano “La Stampa” venerdì ha anticipato alcuni dei rilievi che la Commissione UE solleverà a giorni sull’Accordo diPartenariato dell’Italia, il Piano che serve a impegnare i circa 80 miliardi di Fondi Strutturali per il periodo 2014-2020 destinati al nostro Paese.
I rilievi sono 351, pesantissimi. Prevedibilissimi e tragici. Lo avevo detto e scritto, sperando di essere solo pessimista e non realista. 
Il giudizio su di noi è stato durissimo: «Il documento è ancora lontano dal livello di maturità richiesta» che pare destinato a un adolescente brufoloso che invece di pensare a crescere gioca alla battaglia navale sotto il banco.
Non sapete quante centinaia di riunioni, consulenti, mediazioni, è costato quel documento. E' stato in toto la conseguenza della prassi italiana di accontentare tutti in un Paese senza il senso del bene collettivo e in cui ciascuno tira al suo mulino (che non macina farina per nutrire i cittadini, valorizzare il territorio, generare benessere). Nessuno ha saputo dire “No” alle richieste di interessi particolari e dunque il “No” roboante e autorevole è stato delegato alla Commissione UE.
L’Accordo andrà in gran parte riscritto.
Fa rabbia perché:
·         Questo rimanderà di almeno 6 mesi la disponibilità dei fondi (i primi bandi non ci saranno prima di inizio 2015) in un momento così difficile per il paese
·         si tratta degli unici fondi ‘veri’ e vincolati per temi quali il lavoro, l’innovazione, la formazione, la lotta alla povertà.
·         Nessuno pagherà per questa dabbenaggine, né politici né tecnici che, anzi, sforneranno nuove ricette e nuovi "tavoli di concertazione"
·         Ci hanno detto di concentrare i fondi su pochi e misurabili obiettivi, abbiamo semplicemente camuffato vecchie logiche di finanziamento a pioggia
·         Occorreva vincolare i pagamenti ai risultati reali, ci siamo tenuti ben lontani da questo (forse neppure abbiamo capito cosa voglia dire)
·         Era d’uopo evitare progetti inutili, cattedrali nel deserto, ma si sa quanto a noi piaccia tagliare nastri e alzare flute al cielo
·         Andava ben chiarito come i soldi ricevuti non servissero a tenere in vita le strutture che li ricevessero ma a creare vero sviluppo strutturale e anche qui non abbiamo nemmeno capito il significato del concetto
·         «manca completamente l’analisi della capacità amministrativa nell’ambito dell’Obiettivo Tematico 11» ci dicono. È l’asse di intervento che serve a aumentare le capacità del sistema di pianificare e agire (in particolare la Pubblica Amministrazione). Il dramma è che a pianificare il prossimo decennio è stato chiamato un sistema che ha fallito in toto nei processi, ideali, comprensione del mondo, capacità.   

Questa bocciatura è doppiamente demoralizzante perché chi ha presentato il Piano ben sapeva che avrebbe generato 351 schiaffoni: era impresentabile anche a una lettura ingenua.
Ho letto molte delle bozze disponibili: vaghe nella strategia, negli obiettivi, nella previsione degli impatti. Non per errore di qualcuno ma esattamente come desiderato dalla politica e accondisceso da molti dei tecnici deputati a tenere dritto il timone.
Da decenni, la nostra concertazione è sinonimo di pura spartizione e non sappiamo fare altrimenti.
Si sapeva tutto da prima. in molti l'avevano detto, ma solo presentandolo così ci siamo guadagnati il ‘rigetto’ da parte della UE, elemento fondamentale per poter dire ora: “E’ la UE a essere cattiva”, “Non ci fanno fare quello che vogliamo con soldi che sono nostri”, “E’ umiliante andare a Bruxelles col cappello in mano”. Antieuropeismi d’accatto alimentati da lobby autoreferenti e incoscienti.
  
Ci massacrano: gli sviluppi degli 11 obiettivi tematici sono «presentati in maniera generale e con deboli riferimenti» alle raccomandazioni dell’UE e all’esperienza del recente passato. La logica è definita «debole nella maggior parte dei casi». Ci chiedono di «chiarire le scelte operate in funzione del grado massimo di valore aggiunto».
La UE aggiunge risulta «impossibile individuare nel documento una chiara strategia di sviluppo» che suona come una pietra tombale sulla retorica a breve respiro dei Jobs Act, Sgravi IRPEF o IRAP, e fanfaronate varie.

Ci dicono insomma che se continuiamo così non ci danno la benzina perché è evidente come non sappiamo dove andare e ci limiteremmo a inquinare ancora di più l’aria.

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Ps. Non mi ero accorto subito di quanto il post sovrastante fosse pessimista finché Michela non mi ha scritto "C'è un modo per cambiare? senza fare di tutta l'erba un fascio?"
Ci sono i bravi, eccome se ci sono, ma nel contesto presente non contano quasi nulla. Anche loro si rinsecchiscono nella solitudine visto che quasi mai sono messi nelle condizioni di lavorare tra di loro.
In questi giorni spero quasi che sotto la spinta della UE la politica realizzi che è il momento delle idee, delle scelte, della programmazione di lungo periodo che vada oltre la durata di un governo e di una poltrona. I tecnici dovrebbero smetterla di compiacere – almeno loro – i bacini elettorali dei capibastone e pensare al bene del Paese e al futuro nostro e dei nostri figli. Tutti dovremmo imparare a osare e capire che per cambiare occorre fare, e facendo si possono fare degli errori, da cui occorre imparare.
Infine, speranze vere di riscossa non ne vedo se non affrontiamo assieme i nodi della criminalità organizzata che tiene sotto scacco un terzo del paese, dei conflitti  di interessi che impediscono concorrenza e meritocrazia, dell’evasione fiscale che affossa i più deboli scavando sempre più profonde disuguaglianze sociali.



martedì 4 marzo 2014

Per favore, qualcuno mi dica perché dovrei andare a vedere Expo Milano 2015.

Sono un italiano come tanti. Ho la fortuna di avere un lavoro, che tuttavia risente della crisi. Ogni tanto mi concedo un weekend con la famiglia in una città d’arte, sono attento alle spese superflue, riesco a fare decorose vacanze estive solo perché usufruisco al massimo del calore di nonni e parenti che ospitano con piacere. Ogni 2-3 anni ci scappa pure un viaggio ‘serio’, di quelli in grado di proiettarti altrove con neuroni e bagagli. Leggo molto, cinema quanto posso, tv poca, sport non ne parliamo.
Siccome mi piacciono le domande impossibili e rifuggo la retorica patriottica, da un po’ di tempo mi chiedo “Perché dovrei andare all’Expo 2015? Magari pure portarci la famiglia?” Sì, forse me lo chiedo perché amo speculare. Lo faccio anche perché lo sviluppo locale e i fenomeni legati all’occupazione sono il mio lavoro e l’evento calato su Milano mi interessa professionalmente come l’alveare per l’entomologo.

Se il mio commercialista conferma che potrei detrarlo dai redditi come “Spese per la formazione professionale” magari ci andrò pure...
Nessuno ha annunciato la presenza di idee particolari, tutti invece porteranno effetti speciali. Ci saranno millanta applicazioni IT, smart, funny, fuzzy, virtual, sharing, touch da far impazzire il vocabolario; start up come se piovesse; tante cose poi per feticisti dell'ologramma-ultimo-modello.
Decine di paesi mostreranno quanto l’hanno grosso (il budget) quanto l’hanno preziosa (l’acqua, la ricerca, l’agricoltura), quanto sono ingegnosi.
Tutti saranno politically correct e già le anticipazioni hanno chiarito come è meglio parlar poco di fame nel mondo, povertà, contadini.

Quindi, in poche parole, perché andare all’Expo 2015?

Un giorno di Expo2015 per una famiglia (2+2) costerà al minimo: 100 euro di biglietti, 80 di cibo, 20 di parcheggi, 100 di souvenir e acquisti, 150 Euro per 1 pernotto a Milano o in zona, 50 di benzina/autostrada se abiti vicino. Diciamo 500 euro come niente.
Una sola giornata mi pare poi superficiale e defatigante (oltre 160 padiglioni), tre giornate sono forse necessarie per capirci qualcosa ma molto costose.

Capire cosa?

Se il tema “Nutrire il pianeta, Energia per la vita” è molto affascinante, mi trovo in imbarazzo a non sentire nessun richiamo per quella landa alla periferia di Milano.
Riesco a emozionarmi nel portare i turisti e gli amici al Mercato Orientale di Genova, alla Vucciria di Palermo o a Piazza Vittorio di Roma. Così come adoro andare per produttori quando giro le campagne o a mungere con i malgari. Il mio massimo è poi conoscere cibi e coltivazioni di ogni Paese che visito.

Non so se è confortante o preoccupante ma nessuno dei miei molti amici stranieri sa che a Milano ci sarà l’Expo e dubito che se mai in quel periodo venisse in Italia spenderebbe due o tre giorni a Milano per il budget di una settimana al mare.
Non so se gli organizzatori abbiano presente perchè le persone oggi viaggino, come inseguono i loro interessi, seguano 'turismi di scopo' che raramente includono i parchi tematici. Pure Disneyland è in profonda crisi, per non parlare del profondo rosso dei parchi nostrani.

Sono stato a Lisbona per l’Expo, ho visto le aree di Siviglia e Saragoza, ricordo bene Genova nel '92. In tutti i casi sono state fallimentari esperienze con molti visitatori meno del previsto, costi esorbitanti e spesso sono rimasti deserti di cemento.

Quello a Shangai è stato un successo, dicono a ragione, ma lì il pubblico era composto da miliardi di cinesi e da cittadini di economie emergenti per cui viaggiare è ancora un miraggio e per vedere Venezia e Parigi devono ricostruirseli in grandezza naturale alle foci del Fiume Giallo.
Qui, chi ha 500 euro da spendere in un giorno può ragionevolmente pensare di andare a vedersi l’eccellenza tedesca direttamente a Berlino e le crepes sul lungomare di Nizza, il riso nelle risaie di Bali.
Vedere lì tutto assieme, impacchettato allo scopo, è caos e non un percorso di apprendimento.
Se poi l'obiettivo è il divertimento proprio non riesco a figurare me stesso tra i 20 milioni di paganti attesi.

Poi, se il successo dell’Expo va misurato sui 20 milioni di visitatori attesi mi chiedo come ciò potrebbe davvero succedere. Insomma, 20 milioni su 6 mesi (diciamo 180 giorni) vuol dire una media di 110.000 al giorno, lunedì di pioggia compresi, con punte forse di 250.000.
Evito facili ironie e ricordo che a Genova, nel 1992, avevano previsto 3.000.000 di visitatori, ne dichiararono 1.700.000 e poi contarono i biglietti reali in 800.000; ci fu un bello scandalo e si dimise il Sindaco per colpa dei biglietti "fantasma". Ma, si sa, sono cose del passato e queste cose in Italia non possono mica succedere di nuovo (ovviamente parlo delle dimissioni del Sindaco :-)

(Un anno dopo questo post - il 4 marzo 2015 - sono tornato sul tema per comprendere se il quadro fosse cambiato... eccolo per voi