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lunedì 28 novembre 2016

Referendum: La Filastrocca del Sì e del No.

Sì, domenica voterò.
No, non vi dico cosa.
Sì, mi vergogno della scelta.
No, non sarebbe diverso votassi altrimenti.
Sì, è un quesito pasticciato.
No, non dovremmo essere chiamati a votare su cose così.
Sì, sarebbe stato un po’ meglio l’avessero spacchettato in più domande.
No, non ho capito l’impatto di un voto o dell’altro.
Sì, ho letto tanto, ho studiato, ho fatto domande.
No, non mi influenzano le conseguenze per il governo.
Sì, vedo impresentabili in ogni schieramento, e anche brave persone.
No, non ho seguito alcun dibattito televisivo.
Sì, ho trovato utile leggere le opinioni dei costituzionalisti.
No, non mi filo cuochi, sportivi, cantanti e amici su Facebook.
Sì, penso ogni giorno al futuro dei miei figli, al mio, al nostro.
No, non lego il futuro a questo referendum, e nemmeno a questo Paese.
Sì, mi sento truffato.
No, il voto non si spreca mai.
Sì, ho paura.
No, non abbastanza da spegnere il cervello.

mercoledì 9 novembre 2016

L’elefante nella stanza, in Italia come in USA: l’ignoranza.

Ci sono pensieri che possono essere articolati solo in post politicamente scorretti. Quello che percepisco nell’aria, unito al tifone dell’elezione di Trump in USA, mi spingono a buttare giù queste righe sperando di non perdere lucidità di analisi e, forse, concedendomi un po’ di cinismo.

Per lavoro, da tempo mi occupo dei temi del cosiddetto Audience Development inteso come il processo di allargamento e diversificazione del pubblico nella cultura e di miglioramento delle condizioni complessive di fruizione della lettura, dei musei, dell’ arte.
Sì, è bello, stimolante. Si tratta di fidelizzare, trovare nuove occasioni di interesse, attrarre le persone con mezzi e messaggi, saper ascoltare, coinvolgere e creare partecipazione, specie di nuovo pubblico.
Sì, è una gran sfida. Si fanno in merito parecchi progetti. Per riuscire nell’intento si usa molto il gioco (la gamification della cultura), si aprono i Musei la notte, si inventano gli ingressi gratuiti, si mette ovunque Realtà Aumentata, si convincono archeologi sbigottiti a ‘svecchiare’ forma e linguaggio del loro lavoro, si stravolgono le esibizioni mettendo le ninfee di Monet davanti ai video di una gita al lago, si inventano mostre tipo “Da Tutankhamon alla Lamborghini” che dovrebbero allargare il pubblico interessato.
Soprattutto si tenta di affrontare quelle che a detta di molti sono le cause prime della disaffezione del pubblico per l’arte, la cultura, la lettura, l’approfondimento: il costo, il tempo a disposizione, programmi poco interessanti, ubicazioni scomode.

Si fa tutto con l’idea che modificando i mezzi si possano trovare nuovi pubblici a cui diffondere i messaggi.
Osservando i risultati e gli impatti (ad es. l’ebook non ha cambiato di una virgola il mercato del libro è anzi esso stesso in diminuzione di vendite), mi convinco sempre di più che la missione non è compiuta perché le cause identificate sono quelle sbagliate. E i messaggi (di ogni tenore) non arrivano perché troppe persone non sono in grado di capirli.

Provo a vedere le cose da un altro punto di vista.
Circa il 30% degli italiani soffre di analfabetismo funzionale (dati OCSE, alcune fonti arrivano a oltre il 40%), cioè pur avendo a disposizione tutti gli strumenti culturali di base per leggere e scrivere, non è in grado di interpretare dati che siano aggregati in una forma complessa. Non è, ad esempio, in grado di comprendere la posologia di un farmaco, una polizza assicurativa, un libretto di istruzioni, e non riesce a capire un articolo di giornale, o a elaborare ragionamenti su grafici e tabelle. Infine non è in grado di prendere una decisione ascoltando diversi punti di vista ma è legato solo ai propri convincimenti e alla propria esperienza soggettiva. E' questa - secondo me - la principale ragione per cui solo il 42% degli italiani legge almeno 1 libro all’anno, non legge i giornali, si informa poco tramite il web (35%) o va al cinema (solo 48%).
Questo analfabetismo strisciante è l’elefante nella stanza, altro che costo della cultura o mancanza di tempo. Se non lo mettiamo a fuoco, tutto il resto diventa solo un esercizio intellettuale bellissimo riservato a chi ne ha meno bisogno.
Come?
Non se se serva un "Maestro Manzi 2.0". 
Di certo l’educazione gioca un ruolo importante (ricordo che spendiamo in educazione la metà dei paesi del nord Europa). Tuttavia credo anche non bastino scuole migliori. Da analfabeti funzionali si vive benino, si pensa poco, si è in buona compagnia.
Se non mettiamo sul tavolo un'alternativa complessiva che trasmetta la voglia di libertà dai gioghi, il rispetto del prossimo, la forza del libero arbitrio, la spinta alla comprensione della complessità, quale chiavi per l’autonomia e per l’autoaffermazione adulta, non scolleremo nessuna dalla sua poltrona comoda.
Forse si chiama Politica per il futuro, ma non sono le definzioni che mi interessano.

Intanto continuo a progettare capendo che la cultura serve, con la cultura si mangia, la cultura libera. Non sono slogan ma sentimenti che vanno trasmessi. Qualcosa è arte, è cultura, se genera verso di esso una relazione capace di scatenare una reazione in grado di produrre trasformazione. Tutto il resto è marketing.

Come un prodotto del marketing è stato Berlusconi, come è Trump, come sono molti personaggi sulla mediocre scena politica e imprenditoriale italiana. Lo so, a loro ci piace credere; con loro non si cerca né si pretende verità perché la verità piace a pochi, specie quella su se stessi.
In fondo, se neppure loro si sforzano di comprendere la realtà, e ne modellano una a loro piacimento fino a essere eletti, possiamo tranquillamente assolverci anche noi.

martedì 1 novembre 2016

Alternanza Scuola Lavoro: vantaggio per McDonald’s o per gli studenti?

Tra i punti qualificanti la Buona Scuola vi è l’introduzione estensiva delle esperienze di Alternanza Scuola Lavoro (ASL). Si tratta di far un’esperienza in ambiente lavorativo nel secondo biennio e nell’ultimo anno della scuola secondaria di secondo grado, con una differente durata complessiva di almeno 400 ore negli istituti tecnici e professionali e almeno 200 ore nei licei.
Niente di nuovo per i professionali, un salto nel buio per tutti gli altri, specie per i licei.

L’intento pedagogico è nobile: consentire al ragazzo di aprire gli occhi sul mercato del lavoro, verificare le proprie attitudini, dargli elementi per fare scelte per il prosieguo degli studi.
Lo spaesamento della scuola è comprensibile: si ritrova a gestire un obbligo alieno alla missione percepita, per il quale non vi è preparazione né sincero interesse. A essere stati presi in contropiede sono stati tutti: scuole che non hanno mai avuto relazioni col mercato del lavoro, famiglie disorientate, aziende sommerse da richieste di 16enni ai quali non si ha idea di cosa far fare.
Il fatto che una cosa simile funzioni in Germania ha convinto il legislatore che possa funzionare anche qui. La differenza non sta però nella lingua e nei capelli biondi: lì hanno molte aziende grosse e strutturate, in grado di gestire i ragazzi, con tempo/ragioni/contesti in cui la cosa può funzionare. Le nostre microaziende non sono idonee e un’attività del genere non ha chance per essere accolta come dovrebbe.
In breve: in Italia non può funzionare sui grandi numeri.  
Siccome però è stato piazzato lì, occorre affrontare il tema in qualche modo che non sia l'eterna 'sperimentazione' all'italiana.

Pochi giorni fa ero presente a un convegno dove un'importante Università esprimeva questo concetto: a) noi prendiamo Soldi dallo stato in base agli iscritti; b) noi facciamo 2800 esperienze di ASL l’anno con ragazzi delle superiori che vengono a lavorare dentro l'Università… c) lo facciamo per farli iscrivere da noi. d) Ai nostri iscritti invece non facciamo fare nessuna esperienza di lavoro perché non abbiamo rapporti col mondo del lavoro e non ce ne viene niente.
Intanto due giorni fa il Ministero del Lavoro ha annunciato la firma di un accordo con McDonald’s e altre aziende per garantire circa 28.000 posti l’anno in ASL. Indignate reazioni sindacali e del  MOIGE si sono sprecate denunciando quelle che sono a mio avviso posizioni preconcette e ignoranza di fondo sugli obiettivi dell’ASL e sul ruolo educativo che tali attività possono avere.

C’è chi invoca ‘coerenza’ tra il percorso di studi e l’esperienza. Come se fosse facile, come se qualcuno sapesse che lavoro i ragazzi andranno a fare dopo i licei. Come se a uno che frequenta il classico non facesse bene pulire un bancone, socializzare con ragazzi precari, trovarsi dalla parte di chi produce invece che tra chi compra.
Qui si tratta di acquisire le cosiddette life skills: essere puntuali, ordinati, proattivi, saper interagire al momento giusto, essere consapevoli delle regole scritte e non. Serve a comprendere se si è portati a lavorare all’aperto, con le persone, le cose, i numeri, gli animali. 
Penso che un po’ di McDonald’s ai liceali potrebbe servire molto a avere universitari più motivati a non fare quel lavoro, invece delle frotte di giovani spiaggiati negli atenei che attraversano gli anni dell’accademia senza un minimo progetto di vita che non sia quello di allontanare il più possibile l’ingresso nel confuso mercato del lavoro.

In questo quadro confuso, nelle Scuole la parola d’ordine dei professori agli studenti è: “Sbattetevi con le vostre famiglie per trovarvi un posto dove fare ASL. Contattate zii, amici di famiglia, chiunque abbia buon cuore”. Per molti genitori sta diventando: trovare un’azienda a cui dare 500 euro sottobanco perché prendano il figlio per fargli fare cose di una certa qualità. 
Dopo il florido mercato delle ripetizioni, un altro nuovo mercato del nero. Sì perché per un’azienda che non sa che farsene del ragazzo l’ASL è un peso e un costo. Certo, poi ci sono le eccezioni, le aziende che lo usano per avere il polso del mercato, selezionare tirocinanti, respirare Millennials, creare relazioni, ma sono mosche bianche che nessuno interessa  mettere a sistema.

Ben venga McDonald’s e i suoi amichetti allora e – per favore – che l’Università rinunci a offrire esperienze farlocche utili solo aumentar gli iscritti. Ben vengano anche esperienze in Fab Lab, spazi di Coworking, artigiani, agriturismi.   

Non sono contro l’idea di fondo dell’ASL, anzi all’opposto mi fa rabbia che sia un obbligo per molti senza effetti pratici se non la discontinuità didattica e la perdita di ore. Si dovrebbe piuttosto supportare progetti scolastici che prevedano una relazione col mercato dentro la scuola, portando testimonianze dall’esterno, sviluppando project work volti a fare ricerca e risolvere problemi reali, dando un senso alle materie studiate incluse filosofia e musica.

Infine, come in tutti i paesi del primo mondo, è arrivato i momento di far capire a famiglie e ragazzi come chi non prova nemmeno a dare un senso alle sterminate 3 mensilità di ferie estive con lavori/tirocini/volontariato di almeno un mese sarà sempre più svantaggiato nel mercato del lavoro. Questa è l’Alternanza che serve al curriculum, il resto sono giochi di ruolo.