La vicenda delle due volontarie italiane rapite in Siria e
poi rilasciate dopo mesi mi porta naturalmente a pensare cosa avrei fatto/
detto/ pensato nei panni dei genitori delle ragazze prima, durante e dopo la
prigionia. La stessa riflessione la farei come ipotetico padre di chi a vent’anni
parte per andare a aiutare la ricostruzione in Palestina, a assistere i malati
in Guinea, a costruire socialità a Rosarno, a educare bambini in Pakistan.
Mi chiedo cosa farei
come genitore messo di fronte a decisioni così importanti e radicali da parte di figli appena maggiorenni.
Prevarrebbe in me il “Te lo proibisco!”, meccanismo di difesa della famiglia patriarcale?
Oppure direi “Decidi tu, la vita ormai è tutta tua”? Tenterei il ricatto affettivo? Sfodererei
la logica cinica del “E’ una cazzata, pensa al tuo futuro, non ne vale la pena”? O insinuerei l’opportunista
“Li puoi aiutare di più stando a casa e impegnandoti nel tuo quotidiano a migliorare il mondo”?
Quel giorno spero di poter avere
davanti una persona capace di esercitare spirito critico e prendersi
responsabilità. Sul resto non credo di aver diritti né poteri.
Questo mi deve bastare, a questo voglio lavorare finché lei è ancora piccola.
Perché a vent’anni sono degli adulti, devono essere degli adulti, altrimenti saranno già fottuti dalla vita. Magari sono degli Adulti Inesperti, ma questo – vista la velocità del cambiamento - in qualche misura è vero per tutti sino alla fine della vita.
Questo mi deve bastare, a questo voglio lavorare finché lei è ancora piccola.
Perché a vent’anni sono degli adulti, devono essere degli adulti, altrimenti saranno già fottuti dalla vita. Magari sono degli Adulti Inesperti, ma questo – vista la velocità del cambiamento - in qualche misura è vero per tutti sino alla fine della vita.
Perché poi alla domanda “Serve qualcuno che si impegni in
Palestina, a Rosarno, nelle favelas?”, la mia risposta è sì.
Impedire che ci vada una
persona cara diventa allora solo ipocrisia.
Io non ci
andrò mai lo so bene; chi lo fa, lo fa anche in mio nome, anche quando sbaglia, perché io non lo saprei fare meglio.
Allora il minimo che devo accettare, direi quasi pretendere, è che le tasse che pago
contribuiscano ai loro progetti, di certo più sensati che quelli militareschi (e ingenui) della Guerra tra
Civiltà che serve a distrarci dalla
Guerra tra Ricchi e Poveri che poi è l’unica davvero in atto. E – se mai
davvero servisse – le mie tasse voglio che servano anche a pagare i loro riscatti per
riportarli a casa.
Per ragioni lavorative incontro
molti giovani cittadini che non si pongono alcuna prospettiva che vada
oltre alla sala Scommesse, allo shopping sul Corso, che protraggono la loro
condizione di post adolescenti fino a età imbarazzanti, anche oltre i 30 anni.
Stanno lì, già delusi dalla vita, demotivati, giustificati da alibi che la
famiglia e i media forniscono a buon mercato, parcheggiati in un eterno presente dal quale pretendono benessere senza
dare nulla, del quale si lamentano senza proporre alcunché. Poi ne incontro
altri, più tormentati, consci della trappola in cui si sono cacciati, che si
muovono in molte direzioni alla ricerca di quella linea d’ombra che li separa
dall’età adulta e che nel ‘fare qualcosa per gli altri’ trovano le ragioni per
cui occorre ripensare se stessi, studiare, sperimentare.
Come padre credo che il
mio mandato sia quello di fare sì che mia figlia a vent’anni non sia
parcheggiata nel presente. Che prima di partire per qualsiasi avventura di vita sia preparata, motivata e vocata. Una volta attivata in lei questa forma di impegno e libertà toccherà sempre a lei decidere.
Io potrò
dialogare con lei in modo credibile se io per primo sarò impegnato anche a 60
anni di incidere sulla realtà che mi circonda, altrimenti sarà meglio tacere e limitarsi a pagare le tasse.