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domenica 22 gennaio 2017

Da Roma la gente se ne va, è questa la novità

Il 23 dicembre risalivo l’Italia da Roma a Bologna. Nel mio senso di marcia il traffico filava liscio. Nel senso opposto era un ininterrotto serpentone di lunghi tratti di coda: 20 km da Orte, 15 sotto Firenze, poi tutta la Bologna-Firenze intasata. Tutti a casa, a tagliare panettoni o strufoli.

Sono arrivato a Roma nel 1998 per lavoro come molti altri in quegli anni, In quel periodo la migrazione verso la capitale riguardava intere tribù professionali. Da Genova si andava a Milano o a Roma. Il mio criterio di scelta più rilevante fu che da Milano si scappava nei weekend, a Roma si aspettava il weekend per goderselo con quelli che arrivavano da ovunque,

Mi accolse una città che credeva in se stessa e il faccione sorridente di Rutelli con la sua frenesia nell’inaugurare ogni cosa in fascia tricolore. Sì, di certo rozza e facilona, corrotta e rumorosa ma viva, e bellissima, piena di opportunità, dove il successivo arrivo di Veltroni la innalzò a un livello che per molti aspetti competeva con Parigi, Londra o Barcellona, con un incredibile ventaglio di attività che pompavano l’economia e ti facevano respirare un’aria internazionale.
Anche Veltroni ha perso slancio e sono poi venuti gli anni bui e restauratori di Alemanno dove l’incompetenza era scienza e i partiti come sanguisughe hanno prosciugato la vena dell’economia, del voler fare, della creatività e sul cadavere della città sono calati gli avvoltoi sempre in agguato della mafia, dei palazzinari e della rendita. E tanta mediocrità nella noia di riti stantii, la derisione del rischio in un contesto che davvero non fa una piega neppure se l’alieno gli atterra in giardino.
Della giunta attuale non vale la pena spendere parole, vista la sua irrilevanza.
Adesso la gente se ne va, è questa la novità.

Sono alcuni anni che ha preso il via un percepibile flusso d’uscita di professionisti, manager, creativi, operai, programmatori.
Persone in larga parte benestanti, in carriera, convinte che altrove si possa stare meglio, i servizi funzionino, il mercato del lavoro dia più opportunità.
Un flusso silenzioso ma  continuo, è facile coglierlo sia nelle borgate che nei quartieri borghesi.
A Roma c’è poco da fare se non vivi di rendita o di un posto nella Pubblica Amministrazione. 

Nella classe di mio figlio, una popolarissima elementare semicentrale, 5 bambini si sono trasferiti in 3 anni, solo una bimba  è arrivata, dalla Cina.
Il mio amico S. che ha accettato a Bologna un tempo determinato di 18 mesi  lasciando un indeterminato a Roma, quando mi ha visto preoccupato perché trasferiva tutta la famiglia mi ha detto "Stai tranquillo: è meglio essere disoccupati a Bologna che occupati a Roma."

Quando molti miei amici hanno realizzato di fatturare il 90% altrove, e di avere un conto aperto col Frecciarossa che valeva un affitto mensile, sono partiti con armi e bagagli, verso mete in Italia e all’estero.
Il flusso verso la città si è prima fermato e poi invertito.
In fondo il panorama dei sogni di un paio di generazioni non è più legato al territorio di residenza, specie nelle metropoli. Sì, vogliamo cambiare il mondo e sanarne ingiustizie e perversioni. Di certo è più facile farlo da una posizione comoda, in una città che funziona, con luoghi stimolanti per i nostri figli, dove la politica è attiva nella sua accezione positiva e i cassonetti vengono svuotati spesso.

Camminare per Milano e la sua dinamicità ricca di creatività allora diventa uno shock culturale; Torino e Bologna mete di molte ditte di traslochi con i loro carichi di libri, mobili e destini provenienti da Roma.

"Mbè? 'Sticazzi,"potreste giustamente obiettare, "Dal sud emigrano a milioni". 
Sì, è vero, sono altri i problemi, però percepisco qualcosa in questo fenomeno così poco raccontato che mi spinge a pensare alle cause, e poi agli effetti per me, la mia famiglia e per una città meravigliosa che in questo periodo getta nelle buche della sua anima i sogni di chi credeva in lei, che diventano occasioni mancate per tutti noi.      

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