L’ultimo a finire sui giornali è stato un italiano, un
carabiniere che ha preso la pistola, ha sparato alla moglie, ucciso le figlie e
si è suicidato. Un omicidio premeditato fin nei più piccoli particolari.
Nei prossimi giorni ci sarà la sentenza per l’omicidio ugualmente premeditato di Michela, una nostra amica, da parte del suo partner, un manager bancario. Michela era una donna radiosa, un’insegnante molto impegnata
nell’educare studenti e studentesse al rispetto e alla giustizia tra i
sessi.
La stragrande maggioranza di questi reati avviene per mano
delle persone più vicine e fidate. Quasi sempre uomini incapaci di affrontare
la realtà e la vita. Inermi di fronte alle difficoltà proprie e a quelle della
coppia. Alcuni in cerca di una madre nella partner, tutti inabili alla
costruzione del futuro assieme. Uomini convinti del possesso,non abituati alla sconfitta, così come all’uso
della ragione.
Come ben si sa, non sono né il reddito né il livello
scolastico a inquadrare il fenomeno, né a darci spunti per combatterlo.
Gli uomini coinvolti in atti di violenza ragionano male,
vivono male, pensano male. Qualcosa dentro di loro non funziona, o ha smesso di
funzionare negli anni o non si è mai acceso. Parliamo di adulti, e dunque la colpa è loro. Trattano le donne come oggetti di proprietà, o nel mito incatramato della
coppia perfetta hanno annegato proprie imperfezioni con cui non hanno mai fatto
i conti.
In questi fatti, i rotocalchi cercano la causa scatenante,
l’alibi, i fantasmi del passato, gli amanti misteriosi. I media fanno il
possibile per razionalizzare i ‘fatti’ o scaricano tutto sul ‘raptus’ e la
‘follia’. Non puntano mai il dito alla Colpa. Vi è un chiaro rifiuto a portare
la riflessione su milioni di persone, perlopiù uomini, che dovrebbero fare i
conti col proprio essere adulti per darsi un modo diverso di vivere le
relazioni affettive.
Sul tema, nella nostra cultura è diffusa una superficialità giustificabile
col non voler porre mai le domande che contano. Perché succede? Ci si arrende
davanti a risposte troppo complesse e – soprattutto - scomode.
Per quel poco che ho vissuto e conosciuto, ho contezza che per
quanto il panorama delle relazioni appaia a volte desolante le donne di oggi stiano
in Italia molto meglio delle nostre nonne, ed è da questo che vorrei partire
per smantellare la tesi del raptus.
È il caso di ricordare come le nostre nonne (se avete 50
anni) o bisnonne (se ne avere 20-30) hanno in genere avuto delle vite di coppia
di merda. Sia lette con i nostri parametri che con i loro: zero affetto, zero
complicità, tante legnate e tante corna. Non amano parlarne, non vogliono; siccome
era inevitabile, le hanno educate a non parlarne mai: occhi bassi e mente a Dio.
Se vi capita, fate loro domande perché spesso la loro
intelligenza aspetta solo di dimostrare quanto non fossero fesse ma piuttosto
tenute al giogo.
Dall’alba dei tempi fino al dopoguerra – pochi anni fa - gran
parte dei matrimoni erano combinati dalla famiglia, un’altra bella fetta erano riparatori,
altri ancora casuali nati grazie al parroco, alle inserzioni sui giornali e
simili. Qualcuno d’amore, lo concedo, vere perle rare. Anche quelli d’amore avevano
quasi sempre uno schema chiaro nei ruoli di forza e nelle regole che segnavano
la distanza del maschile dal femminile. Le nostre nonne erano considerate donne
degne dallo Stato e dalla Chiesa solo se si riproducevano parecchio. Questi
parti numerosi rispondevano a necessità socio-economiche e ottenevano anche il
risultato di tenerle impegnate e con la testa bassa, lontano da libri e civiltà.
Oltre a quello dovevano gestire casa, cucinare, educare i figli, etc.
Gli uomini dovevano lavorare e portare a casa soldi, fecondare
le mogli e quando ‘serviva’ sfogarsi con le prostitute. Questi criteri li
rendevano bravi padri di famiglia.
Era così, punto. Un ordine millenario sancito da necessità
ed equilibri di forza. Poco da dire e recriminare. Chi ci provava finiva all’indice
se non schiacciata dagli schiaffoni. Era la regola in tutti i matrimoni. Non
bello da raccontare. Un po’ come il fatto che in quegli anni quasi tutti erano fascisti e
antisemiti, parlo sempre dei nostri nonni e nonne, e oggi che riabbiamo i
fascismo alle porte si ritiene ancora indecoroso parlarne, per rispettare la
memoria posticcia fissata nelle foto in bianco e nero in bugiardi album di
famiglia.
Le cose cambiano. Credo che dopo l’invenzione della ruota,
nulla abbia trasformato il mondo come la pillola anticoncezionale. L’appropriazione
da parte delle donne del controllo delle loro funzioni riproduttive è il grande
punto di svolta, il primo passo per porsi in una relazione nuova con se stesse,
l’economia, la famiglia, la coppia.
L’altro elemento centrale è stata la Pace. Le donne sono il
motore e la forza maggiore di un periodo di pace, quale quello che per fortuna
stiamo vivendo in Europa da almeno 60 anni. Se non occorre prendersi a mazzate
la donna sa bene come manifestare la propria intelligenza, ricchezza e il
proprio ruolo. L’uomo del '900 non era programmato per la pace.
L’accelerazione fu forte e la miccia del ’68 servì a contarsi,
a scoprirsi una forza, a uscire dalla solitudine a rivendicare quello che è
dovuto non solo come donne ma come esseri viventi.
Gli uomini? Eccoci.
Per uscire dalla cultura della clava e del conflitto, dopo
millenni dobbiamo cambiare i modelli di riferimento. Di certo abbandonare
quello dei nonni e in larga parte dei padri. Possiamo funzionare anche
disarmati solo se gli uomini che ci hanno cresciuto riusciamo a amarli e
rispettarli, consapevoli che ci sono aspetti per i quali non possono essere dei
modelli, e che la nostra felicità passa anche nell’essere diversi da loro. Non
può essere altrimenti anche perché le donne che incontriamo sono contemporanee e in
tutto diverse dalle nostre madri (meno male, aggiungo).
Il mondo che voglio è un altro, la pace è troppo importante,
le donne sono immensamente interessanti per non coglierne il valore.
Dobbiamo anche imparare a litigare con loro. Perché è umano,
serve, capita. Ce ne sono pure di stronze, prevaricatrici, crudeli. ‘Come un
uomo’ verrebbe da dire. A questi conflitti va applicata la ragione e la
giustizia e, se ci vedono perdenti, devono essere un insegnamento, come ogni
altro fallimento nella vita.
Chi non ci riesce, chi questo non l’ha capito, si ammala di rancori
e rabbia. Diventa vittima di sé stesso e genera vittime attorno a sé.
Dunque. Non parlate più di follia, raptus, pazzia, non ci
credo. Basta scuse! La violenza è l’arma dei perdenti. Come faceva ogni giorno Michela,
insegniamo alle donne e agli uomini – fin da ragazzi e ragazze – a cogliere la
forza negli altri, a valorizzarne la differenza e a identificare i
comportamenti deviati rifiutando anche le piccole violenze che, se accettate,
autorizzano implicitamente questi criminali a atti sempre più distruttivi e
umilianti.