Le cose succedono, e bisogna esserci mentre succedono. Perché per me San Tommaso non era uno scettico ma un tipo piuttosto realista.
Da un paio d’anni partecipo a un progetto di innovazione nella
città di Roma. Si chiama The Hub, e mette
assieme alcune centinaia di persone che nella vita ‘fanno’. Fanno
impresa, fanno arte, fanno rete, fanno volontariato, e si sono rese conto che il fare assieme è la chiave del successo di ogni iniziativa, direi quasi
che ne è il prerequisito per avere chance di realizzare qualcosa che
funzioni e abbia impatto sul territorio, sull’economia, sull’ambiente.
Quello che vedo nelle persone che frequentano the Hub è il talento. Non sono un cattolico
praticante ma delle tante ore di religione della mia infanzia ho trattenuto la
sensazione che il peggiore peccato (forse contro Dio, di certo contro l’uomo)
sia il peccato di omissione. Di
quando potresti fare ma non fai, potresti illuminare ma non ti accendi,
potresti risolvere ma non ci credi neppure tu.
Ebbene, c’è una generazione, e anche di più, che non è messa
in condizione di esercitare i propri talenti, spreca sogni e passioni in
lavoretti senza futuro. In Hub, questi talenti vengono alla luce, e intorno a
loro nascono i progetti. Ingegneri, antropologi, giornalisti, scenografi, grafici, filosofi, tutti abituati a dialogare, a avere un approccio laterale ai problemi, a guardare a oltre confine. Il "cosa" dipende sempre dai talenti a disposizione. C’è chi realizza piattaforme per il commercio equo,
chi per l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro, chi vuole riprogettare il
mercato dell’arte, chi fotografa per testimoniare il disagio sociale,
chi sostiene la creazione di impresa, chi fa video a sfondo educativo, chi sviluppa
la coscienza ecologica delle aziende, chi realizza piattaforme di
e-democracy, chi progetta esperienze di gioco o di consumo, chi educa la coscienza
civile dei bambini, chi sviluppa mappe concettuali, chi costruisce una finanza davvero creativa e utile.
L’Hub è social
per definizione, anche perché aderisce a un network
mondiale di oltre 6000 persone che operano con gli stessi obiettivi e
dinamiche. Sì, sono tutti un po’ innamorati della tecnologia ma – allo stesso
tempo – non ci sarebbe Hub senza un bellissimo spazio fisico dove la dimensione
social diventa quella dello stare assieme davvero. A Roma è a San Lorenzo,
vicino a Termini. Uno spazio che ogni settimana è più vissuto: con piante, divani,
wi-fi, arte, e soprattutto persone che lì lavorano e creano.
Io sono il vecchietto del gruppo dei fondatori. Dapprincipio
pensavo che fosse un caso poi ho realizzato che per ‘lasciarsi andare’ alla
collaborazione, alla fiducia tra professionisti, alla condivisione di agende,
idee e relazioni, occorra un’idea di mondo ‘leggera’ e inevitabilmente fluida non così tipica nella mia generazione.
Diciamo pure cinicamente che l'essere cresciuti in una precarietà congenita e non subita diventa fattore
di continua motivazione e di innovazione necessaria.
Dove si andrà a parare?
Non lo so. So che vedo tantissima attenzione al modello e
alle dinamiche che si sviluppano. Il numero dei membri cresce in qualità e
quantità e molte organizzazioni vogliono venire proprio in Hub a fare le loro
attività. Comincia anche l’attenzione della politica, di quella che cerca idee e non
si fa problemi a dire ‘dialoghiamo: quali sono le vostre proposte?’
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