Come forse parecchi di voi, sfrutto le vacanze anche per
ragionare su cosa stia succedendo in Italia. Cerco di fare chiarezza delle
condizioni di fondo della nostra società. Sapete, odio vivere ‘a mia insaputa’.
Dall’estero sono subissato da domande di stranieri che vedono il nostro
Paese molto più nudo di quello che ci immaginiamo. L’incredulità che li faceva sorridere dal 1994, la grassa ironia sul presidente scopaiolo, sono ormai superate
da un misto tra la pietà e la preoccupazione.
Ritengono indegno che in un
momento di crisi così profonda gli abitanti di un paese
civile (che loro amano
spesso più di noi) siano ancora ostaggi del ventesimo secolo e scoprono come i tumori nella nostra democrazia siano profondi.
“
Io non so”, potrei parafrasare
Pasolini. Io non conosco i
mandanti delle stragi né chi sta dietro alle riforme volutamente mai
riformiste. Nel mio piccolo, colgo però molte evidenze che messe una vicina
all’altra disegnano un quadro possibile forse non lontano dalla realtà.
In un paese normale (non virtuoso
né di particolare moralità) gente come Verdini, Formigoni, Polverini non
siederebbe in Parlamento ma su una panchina al parco, se non su uno sgabello di
qualche carcere sovrappopolato. Personaggi come Calderoli e Bossi sarebbero
cacciati dai locali pubblici. Tristi
figuri come D’Alema, Santanché o Rutelli verrebbero avviati a lavori
socialmente utili. Teorici della fuffa come Di Pietro, Cacciari o Grillo
sarebbero eclissati sul nascere dall’ombra di chi le idee le ha davvero. Ma
così invece non è.
In un paese normale,
specie se con l’acqua alla gola come il nostro, le cose da fare sembrerebbero
ovvia conseguenza di quelle che andrebbero anche dette con maggiore frequenza
(e non solo nello spazio opportunista di un comunicato stampa).
- Dire che le riforme del mercato del lavoro sono puri
esercizi di stile se non si ha il coraggio di definire politiche di sviluppo
parrebbe logico ma purtroppo abbiamo più giuslavoristi disoccupati e aspiranti
stregoni che fiducia per chi ha idee su cosa fare di questo Bel Paese. A forza di fantasticare su chimere come il reddito minimo dimentichiamo di costruire il nesso tra reddito e lavoro.
- Dire come occorra investire sul Made in Italy, sulla
cultura, sul turismo, sull’enogastronomia, sulla meccanica di precisione, sulle
energie alternative sembrerebbe pleonastico ma rimane nel libro dei sogni. Dire
come occorra dare un taglio all’acciaio, alle lavorazioni inquinanti, alle opere
inutili, alla costruzione di autostrade maremmane, all’edilizia indiscriminata,
sarebbe già un passo, poi occorrerebbe agire di conseguenza.
- Dire che occorre introdurre meritocrazia, trasparenza e
qualità nella Pubblica Amministrazione ha
l’ovvietà della sciocchezza, eppure non si sente da nessuna campana. Dire che ai
pochi bravi e motivati vadano riconosciuti i meriti e resi i pilastri di un rinnovamento
che non deve neanche per forza passare per il taglio di teste, è solo parte del
buonsenso che nessuno frequenta.
- Dire che occorre che tutti paghino le tasse (anche per
pagarne meno tutti), e fare in modo che ciò sia possibile, usando il buon senso
e qualche banale sistema di intelligence
è nell’abc del bilancio della massaia ma purtroppo le massaie non diventano mai
ministri.
- Dire come occorra abolire ogni incentivo alle imprese per
passare invece a rendergli la vita più facile diminuendo la pressione fiscale, i
bizantinismi normativi, e snellendo burocrazia e procedure, è talmente banale
che lo dice pure Confindustria, forse però solo per schiarirsi la voce.
- Dire che l’avere svariati corpi di polizia, con innumerevoli
livelli di comando, deleghe sovrapposte, uffici, distretti e sistemi
ottocenteschi impedisce agli stessi di funzionare e di rendere conto alla
collettività. Una follia questa dispendiosa e pure pericolosa. Semplificare parrebbe solo un’applicazione del
buon senso ma, si sa, i diritti sono di chi li ha è può difenderli anche con le
armi.
- Dire che la scuola e l’università debbano assumere un ruolo
e un’importanza degna alle sole istituzioni capaci di plasmare il nostro futuro
collettivo è il minimo per un paese che si definisca ‘civile’ e se immagina il domani guardi ai nipoti e non ai Gratta e Vinci.
- Dire che la nostra incapacità di programmazione e spesa dei
Fondi Europei è seconda solo all’assenza di un progetto per il futuro e all’incapacità
di decidere spingerebbe a rivedere
logiche e organigrammi. Significherebbe ascoltare per decidere, magari scontentando qualcuno. Ma ciò è impensabile senza coraggio.
- Dire che i diritti di tutti vanno tutelati fa sempre figo ma
poi occorrerebbe smetterla con i distinguo quando tra questi ‘tutti’ si vogliono mettere anche i carcerati,
i profughi, gli omosessuali, i rom, giusto per citare alcuni.
- Dire che l’assenza di coraggio, di capacità, di idee, sia da
addebitarsi a fattori esterni come ‘la crisi’ è riduttivo e fuorviante.
Sappiamo fare poco ma dedichiamo molto del tempo disponibile a costruirci alibi che ci assolvano dalle responsabilità
politiche e da quelle storiche.
Quello che ho scritto fin qui non è parte di alcuna fine analisi
di cui non sarei all’altezza. È semplicemente ovvio.
Ma allora, perché non si agisce di conseguenza?
Qui vale la pena ragionare con più calma. Vedo tre questioni
prepolitiche che ci pongono tra i paesi a ritardo di sviluppo democratico
- Il punto
di equilibrio su cui fanno perno tutte le attività di quella che definiamo “politica”
è il ricatto. Da quello morale a quello economico, da quello professionale
a quello sessuale. Nel Pdl quasi tutti ricattano B., ciascuno per la parte di
esperienza avuta con lui, e dunque lui non può prescinderne per galleggiare anche
se evidentemente li schifa e preferirebbe farne pasto per le proprie piante
carnivore. D’altronde si è scelto lui dei complici che sono diventati
ricattatori o degli incapaci da ricattare a sua volta con l’incubo di farli
tornare nell’anonimato che gli è proprio. A sinistra il ricatto è forse meno
grossolano, più bizantino, passa per le belle parole e schiva idee e posizioni
ferme, al massimo dispensa ‘opinioni’, merce in perenne trasformazione e ottima
per galleggiare in assenza di proposte.
- L’incompetenza
è considerata un valore. A destra la competenza non è richiesta tranne che agli
avvocati che devono difendere il capo, accusando il Paese di essere causa e
mandante dei suoi reati, e costruire i dossier di cui ai ricatti precedenti. A
sinistra la competenza è vista con sospetto da chi ha letto qualche libro una
ventina di anni fa, quando ancora sembrava utile che un politico ne capisse di qualcosa,
e ritiene ancora che quello che ha letto rappresenti la realtà. Il fatto poi che
la competenza sia talvolta prerequisito per l’autonomia di pensiero mette in
crisi tutti gli schieramenti. Quando l’incompetenza è unita a una certa
flessibilità sui valori morali, ecco che il candidato è ideale per essere
clonato ai posti di responsabilità. Sono ovunque banditi gli intellettuali, che spingendo il ragionamento nella complessità del reale possono mettere in discussione obiettivi e strategie; si preferiscono i
consulenti, robot prezzolati al servizio di disegni di piccolo cabotaggio, e
gli opinionisti, megafoni a intensità variabile di chi li arruola.
- Sono
altri a governare. È il punto di arrivo. Perché non è vero che il paese è
ingovernato, anzi. Più passano i mesi più il disegno di chi ci governa diventa
evidente. Non sono un complottista, solo un osservatore. In un’Italia debole e
immobile che affama fasce sempre più ampie di popolazione tutto è in vendita. Il
prezzo è giusto per chi ha i soldi per acquistarla. Per le mafie, tutte, a
prescindere dal nome. Con la loro smisurata disponibilità di denaro si prendono
bar, musei, ristoranti, isole, palazzi, sanità, università, panifici, grandi
marchi, supermercati, aeroporti, anime. Lo fanno in centro e in periferia, sotto casa
mia e vostra. Tutto è alla portata se hai disponibilità cash infinita per comprare, magari in nero
da qualcuno con l’acqua alla gola, volente o nolente. L’opinione pubblica, depravata
anche per necessità e alienazione, è fin contenta di sapere che nelle sale degli
Uffizi si potranno organizzare matrimoni o che parte dei suoi magazzini si potranno
svuotare per far spazio a un casinò. I reperti vanno così all’asta e i sogni sono messi in vendita col gioco d’azzardo. Magari vi è sfuggito, ma sappiate che nel 2012 il
giro legale del gioco in Italia è stato di oltre 80 Miliardi, oltre 1.300 euro
a testa, infanti compresi. Direi che il compromesso Pd-Pdl con la benedizione
di Monti e Grillo sia dunque l’ideale per non disturbare il timoniere.
Conosco almeno cinquanta persone che potrebbero fare il
ministro meglio di chi è oggi investito del farlo. Alcuni si chiamano Stefano,
Paola, Giorgio, Angelo, Silvia, Roberta, Michele, Giovanni, Paolo, Massimo,
Francesca, Mariella, Andrea, Valter, Ines, Guido, Isabella, Alessandro, Barbara,
Diego, Luana. Filippo, Ferruccio, Silvia, Alessia. Hanno cognomi che non conoscete e non conoscerete mai.
Non sono ricattabili,
sono competenti, hanno visto il mondo, conoscono l’Italia, sanno gestire e dialogare e dunque non hanno nessuna
delle caratteristiche adatte a evitare la ripresa, a lasciare il paese in mano alle mafie. Molti di
loro sono nel pieno della loro capacità intellettuali e professionali, hanno idee, pensano in grande,
saprebbero cosa fare. Nel frattempo lo fanno per se stessi e molti, quando li
incontro, li vedo sempre più distanti dal Palazzo e più vicini ai confini. A
loro insaputa, inclusi nel solo grande progetto governativo che funziona fin
dai tempi del vate Licio Gelli, quello di eliminazione morbida dei cervelli non
allineati, quello che a Berlusconi diede la tessera P2 numero 1816.