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lunedì 10 dicembre 2018

Sullo scrivere e sul leggere ai tempi dell’emoticon


Caso 1) Un amico funzionario  in Commissione Europea mi racconta che in un comitato impegnato a trasferire norme di sicurezza e igiene ai parrucchieri di tutta Europa si è sentito dire: “No, non possiamo presentare questi contenuti con una brochure perché i parrucchieri non leggono mai!” Era chiaro come il problema non fosse ‘quella’ brochure ma l’uso di testi in generale.

Caso 2) In uno dei miei corsi di storytelling applicato ai beni culturali abbiamo visitato diversi musei. Abbiamo provato a ragionare sulle didascalie alle opere. Mi sono subito reso conto come l’esercizio non destasse entusiasmo. Il perché mi si è chiarito quando, con schiettezza, un partecipante è sbottato: “Vabbè, Andrea, il fatto è che io non leggo mai le didascalie, per me si potrebbero proprio togliere. Dobbiamo inventarci altro…” In molti annuivano.

Caso 3) Non c’è bisogno di un semiologo per notare come lo spostamento verso Instagram dell’uso dei social non coincida affatto con la capacità di fare belle foto quanto piuttosto con la voglia di senso immediato dato dall'imagine ritoccata, fasulla, patinata. Traspare il totale disinteresse per l’approfondimento, e si nasconde una scarsa capacità di approfondire, quasi che la consapevolezza di non avere gli istrumenti per comprendere la complessità travasi l’attenzione e la dedizione dove non c’è nulla da capire.

Caso 4) Il diluvio di whatsapp vocali e la loro illogica serialità che trasforma ogni affermazione in provvisoria. Svuotato dal contesto di un processo di apprendimento, parlare a Siri, Alexa e Hal9000 diventa più dannoso che spiegare l’Iliade a un cane o conversare con gli alberi (perlomeno questi non danno problemi di privacy). L'Intelligenza Artificiale avrà in futuro decine di fantastiche applicazione ma il suo distaccarci dalla parola scritta ci allontanerà anche dalla necessità di capire concetti complessi e al gusto di considerare alternative meno efficienti ma più costruttive alla soluzione dei problemi.

Vivo scrivendo, scrivo per vivere. Mi ricarico leggendo.
Parte delle mie parole esce in forma di libro edito; quando scrivo biografie personali queste diventano un libro privato in edizione limitata; le mie sceneggiature diventano spot o plot; progetto esperienze che fanno ridere, imparare, piangere, scoprire, in musei, negozi, spazi; poi c’è il blog, il sito, i post, le lettere a chi amo, gli appunti lasciati a macerare nei notes per anni che al momento giusto sanno prendere vita.
Nello scrivere trovo manifesto il coraggio di affermare la propria esistenza, è un continuo mettersi in discussione, affrontare la vita adulta, serve a mediare e a comprendere, lascia inermi, muove energie.

Per quello che scrivo vengo anche contestato, talvolta in modo acceso. E sono tra i momenti migliori, quelli che ti fanno capire come scrivere serva, come io di strada ne debba fare ancora tanta, quanto debba imparare, e di nuovi compagni di strada incontrarne molti.
Spesso chi mi contesta non è in grado di argomentare le sue ragioni e la butta in caciara, in quei casi mi spiace. Vorrei sapesse argomentare meglio, contestarmi meglio, usare delle fonti, separare fatti da opinioni. Perché altrimenti il nostro incontro non serve a nessuno dei due.
Perchè scriversi e leggersi è la migliore via conosciuta per moltiplicare le vite che ci sono concesse.




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