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sabato 25 gennaio 2020

"La società signorile di massa", di Luca Ricolfi - recensione e qualche dubbio.


La società signorile di massa” di Luca Ricolfi è il libro del momento. Lo leggono è discutono amici e colleghi. Molti di loro me ne hanno parlato con punte inedite di ammirazione per le riflessioni che presenta sull’Italia. Per tutti, me compreso, si tratta di un punto di vista originale sull'economia e sui comportamenti che da essa discendono.
Tutto questo ha giustificato in me la scelta di investire i 18 euro del prezzo di copertina.
Letto e masticato per bene. Appunti, post-it, scritte a margine per fissare le idee.  

L’assunto del libro è che: siamo in una società dove la maggioranza non lavora; tra quelli che lavorano c’è una bella fetta di para-schiavi che consentono agli altri (la maggioranza) di fare i signori vivendo poco di lavoro e molto di rendita; l’accesso a consumi opulenti e non necessari è diventato di massa. E la cosa non può durare più di una generazione o due, poi ci sarà il tracollo.

I giovani fotografati da Ricolfi – spesso figli unici - sono destinatari del patrimonio delle famiglie e se scelgono di non fare niente di produttivo è perché si sono fatti bene i loro conti: "fino a trent'anni traccheggio e poi eredito il bottino."
L’alluvione di dati del libro si sposa spesso con opinioni personali da nonno davanti al caminetto. Che diventa autoindulgente verso la ‘vera’ elite, la società signorile e non di massa, che lui vede (senza portare dati) come quasi ascetica e fuori dal coro e non cafona e sbulaccona come appare davanti al mio caminetto.

Il fondamento che in Italia lavori meno del 50% delle persone abili è un po' buttato lì (e contraddice il 58% di molte statistiche, comunque basso) e dimentica la stima che il lavoro nero pesi tra i 2 e i 3 milioni di teste (tra 7 e 10 %).
L'analisi su come stiamo messi male di Ricolfi tralascia del tutto che la condizione italiana ci porta ad avere un livello di aspettativa di vita tra i più alti del mondo e un tasso di suicidi tra i più bassi; che tutti i reati solo in calo da molto tempo; sussurra solo che abbiamo una bilancia commerciale in forte attivo.

Ricolfi considera la velocità di cambiamento del contesto una questione accessoria, non una concausa. Molti altri ritengono sia una delle variabili che maggiormente condizionano la crisi della scuola, dell’università, del sindacato e del mondo del lavoro in genere.
Lui elude ogni considerazione sulle piattaforme digitali che hanno stravolto dinamiche di relazione, di reputazione, di partenariato, di organizzazione. 
Arriva fin a criticare duramente la scelta di alcuni farsi un ‘anno sabatico’ dopo le superiori per capire il mondo e scegliere con più criterio la propria via (consuetudine anglosassone che lui ignora pur esaltando le doti pragmatiche e protestanti).
  
Imbarazzante la sua leggerezza e lontananza dal reale quando afferma, chissà con quali dati che “Ieri si leggevano i libri, oggi si va alle fiere per veder parlare l’autore. Assai più gratificante che stare a casa da soli, a leggere”.  

Mi trova sul pezzo quando si incaponisce sulla follia che le spese in gioco d’azzardo valgano quanto la spesa sanitaria (circa 110 miliardi annui), è però un po' colpevole di leggerezza quando non dice che oltre 80 miliardi rientrano in vincite ai giocatori stessi. 

Forse il passaggio dove manifesta maggiore pigrizia intellettuale è dove arriva a criticare la recente propensione all’uso piuttosto che al possesso quasi essa sia un limite e non una risorsa, sia in termini di reddito che di relazione. Quasi non sia un modello di crescita culturale responsabile e auspicabile. La variabile ambientale la evita e canzona alquanto chi magari sceglie il bio, la riduzione del superfluo, la sostenibilità. 

Non sopporta proprio che molti italiani facciano movimento, vadano in palestra e simili, vedendo ciò solo come spesa superflua e non come un vantaggio per il corpo, per lo spirito e per le casse della sanità pubblica.

L’impressione generale è che il Ricolfi sia partito da una sua teoria sull’Italia e abbia scelto con cura dati e percorsi utili a dimostrarne la validità. Questa manipolazione è ben fatta e spesso contiene anche guizzi originali. Non ci sono tuttavia elementi sufficienti a confermare che quello che afferma sia vero, inquadri il reale, soprattutto vada in profondità nel cogliere i bisogni su cui progettare soluzioni.

Riprende molti dei concetti già trattati da Bauman con ben altro spessore, e riconduce la vita senza progetti, l’immediatezza del vivere a questo suo concetto di società signorile di massa, senza nulla concedere a temi più profondi come l’incertezza, la paura.
Tocca, ma sempre di striscio, quasi non voglia sporcarsi la penna, il tema del cattolicesimo come limite all’ambizione personale, alla meritocrazia, come la confessione e l’assoluzione siano una bella comodità in caso di evasione fiscale o altre cosette del genere.
Non si pone la questione di un paese per un terzo in mano alla criminalità e del suo impatto reale sul sistema complessivo e sulla politica. La sua analisi delle relazioni Nord – Sud del paese è ipersemplicistica e datata: sud fannullone e dove si regalano i voti a scuola, nord operoso. 'ndrangheta e mafie non pervenute.  

L’impressione forte è che i 70 anni dell’autore lo portino già in una dimensione nostalgica di chi guarda al passato autoassolvedo la propria  generazione. Un passato dove studiavano in pochissimi, si viveva meno e male, le donne e le minoranza stavano al palo della vita, l'elite passeggiava in alpeggio, la fame spigeva all'azione e il ricordo della guerra determinava le decisioni. Mi ricorda in molti passaggi l’abbaglio di un altro libro discutibile, “Gli sdraiati” di Michele Serra di qualche anno fa, che ufficialmente raccontava di un giovane  demotivato e quasi alieno, nel concreto, parlava di un padre che aveva fallito in pieno la sua missione genitoriale.

Insomma, Ricolfi dice che siamo una società signorile di massa e la prima cosa che mi viene in mente alla fine della lettura è : “Mbè? Dimmi qualcosa di utile o ridammi i miei 18 euro.”

1 commento:

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