Non serve leggere le statistiche per capire la sofferenza di
un intero Paese. Saracinesche chiuse come palpebre di cadaveri sono alla base
di ogni palazzo. Reggono solo le sale gioco e i negozi di sigarette
elettroniche, per soddisfare le dipendenze ma non le necessità.
In queste ore la politica sta impastando ancora sulla pelle dei lavoratori. Dagli scranni e dai meetup tutti in coro fanno una gran confusione mischiando il “Reddito minimo garantito” col “Salario di cittadinanza”, i diritti con i doveri, l’elemosina con la dignità. Strombazzano l’annuncio dell’ennesimo ammortizzatore sociale che nasconde la loro cronica mancanza di idee capaci di far superare la differenza tra dare il pesce all'affamato o dargli l’opportunità di pescarselo da solo. Anche perché i servizi per l’impiego che dovrebbero spiegarti tutto di canne, ami, zone di pesca, uso della mosca e posizione del verme, sono spesso inutili alibi alla resa delle istituzioni.
La politica dovrebbe invece favorire senza incertezze l’occupazione facilitando la nascita delle imprese nelle mille possibili forme e settori. E in Italia vuol dire parlare di servizi, artigianato, turismo, industria culturale, audiovisivo, green economy, e-government, agroalimentare, chimica verde ...
È tre anni che invece sprechiamo molti dei miliardi della
Cassa Integrazione in Deroga facendo finta che migliaia di persone possano un giorno rientrare in un mercato del lavoro che non esiste più. E non esiste perché noi siamo
cambiati, perché siamo diversi e consumiamo diversamente e pensiamo
diversamente. Ora andremo a bruciare risorse in nuovi sussidi a fondo perduto
capaci di prosciugare la dignità dei giovani bruciando invece le risorse utili a delineare il futuro del paese.
Cammino stasera per Roma, mi muovo nella bellezza, tra monumenti,
turisti, il palco del concertone, gente che mangia e ride, e tutto mi parla di
lavoro. E di amore per il lavoro. Generazioni
di architetti, ingegneri, cuochi, muratori, artisti, insegnanti, cocchieri, sognatori
sono gli autori di tutto questo e mi pare paradossale che sulle stesse basi –
aggiornate ai tempi e alla tecnologia - non si possa puntare alla transizione a
un mondo del lavoro che parta dalle nostre peculiarità, dalla nostra diversità,
per una realtà in cui il giusto guadagno (non il minimo sussidio) sia garantito.
Come? L’Italia non è il paese più bello del mondo, non ha davvero
il 70% delle opere d’arte, non ha neppure il cibo migliore del mondo. Non può essere così
perché la bellezza, l’arte, la cucina, sono concetti soggettivi, che cambiano, che dipendono dall'esperienza. Smettiamola di
raccontarcela o faremo davvero la fine del triste ‘campionato di calcio più
bello del mondo’. Di certo il nostro è
un paese “diverso” da qualsiasi altro ed è proprio questa diversità che accende
la curiosità, stimola occhi e papille, determina le scelte. Si viene in
Italia, si compra italiano, si può anche investire in Italia, e lo si farà se l’ambiente, la
cultura e l’economia sapranno andare a braccetto come è stato per molti secoli.
Ma rispetto all'età del Rinascimento la novità sono i Diritti dell'Uomo e oggi dire ‘non lasciamo
indietro nessuno’ può diventare sinonimo di ‘facciamo tutti un passo avanti’.
Lavoreremo di nuovo solo se sapremo essere noi stessi, credendo nel talento e nella forza della diversità. E sapremo darci obiettivi
comuni da raggiungere, collaborando e competendo. Il torto più grande che possiamo fare a noi stessi è provare a
assomigliare agli altri.
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