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giovedì 9 maggio 2013

Aldo Moro e il 9 Maggio (e il mio 16 marzo 1978).

Mi ricordo bene il giorno del rapimento di Aldo Moro, il 16 Marzo del ‘78. Frequentavo le scuole medie Novaro, a Genova, e quella mattina all'improvviso il mondo irruppe nella nostra classe. Una frattura silenziosa frantumò il mio cielo azzurro di bambino.  Era successo qualcosa di importante ma nessuno ci diceva cosa. I grandi erano nervosi e il preside aveva fatto il giro delle classi sussurrando decisioni ai professori. La professoressa dalla cattedra ci aveva assegnato qualche esercizio insulso e ci guardava con preoccupazione. Poi, piano ma con affanno, arrivarono i genitori, uno dopo l’altro. Apparivano sull'uscio. Inaspettati. Cercavano l'assenso della professoressa, quasi chiedendo scusa, e poi guardavano uno di noi che, senza parlare, e con solo un cenno della testa salutava e si accodava verso l'uscita. Quel giorno non serviva compilare la giustificazione, ci prendevano e ci portavano al sicuro. Non c’erano i cellulari, non si erano messi d’accordo: tutti i genitori avevano la stessa identica urgenza di avere i bambini sotto controllo, a casa.
Fummo subito fuori. Mia mamma mi guidava in avanti con la mano sulla cartella, quasi a dirigermi, per non perdere il contatto. Superammo  velocemente il vicoletto buio che costeggia la scuola. Lei si guardava intorno, tesa. “Cosa è successo?” riuscii alla fine a chiederle. “Hanno rapito il Presidente e ucciso gli uomini della sua scorta”. Il cielo era grigio, stropicciato dal vento, era strano essere lì in una giornata feriale a quell'ora, e a me la cosa successa sembrava una enormità. Pistole, morti, il Presidente sempre serio e in bianco e nero visto in televisione. Le fui subito grato della verità. Ma di cosa aveva paura la mamma? Di cosa avevano paura tutti? Perché avevano paura i grandi? Del colpo di stato, questo però lo capii col tempo. Stava succedendo una cosa talmente enorme che nessuno in Italia sapeva cosa sarebbe successo dopo. Neppure chi lo aveva rapito. Neppure chi lo avrebbe cercato. Né chi non lo avrebbe cercato. Forse solo lui sapeva da subito che poi, il 9 maggio sarebbe arrivato. Lui che era intelligente, forse uno dei pochi politici della nostra storia guidato da una strategia e non dalla tattica meschina del potere quotidiano. 
L’anno dopo, facevo la terza, mentre camminavo verso la stessa scuola, sentii le raffiche dei mitra. Accelerai il passo. Sparavano nel bar a cinquanta metri da me e i due carabinieri Battaglini e Tosa venivano massacrati dalla stessa furia inutile e cieca mentre facevano colazione. Nello stesso periodo, l’ingegner Bonzani, papà simpatico di miei carissimi amici fu gambizzato a cinquecento metri da lì. All’inizio del ’79 fu ucciso Guido Rossa, un militante del Pci convinto fino in fondo della decisa opposizione del partito alle BR e alla loro linea,  che denunciò un attivista che faceva volantinaggio a cinque punte in fabbrica e diede così una lezione di coraggio e eroismo all'Italia intera.  

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