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venerdì 13 giugno 2014

Quando Genova non è un’idea come un’altra.

Mi fa un certo effetto leggere nelle colonne dei principali quotidiani fini opinioni che mettono in bella copia le sensazioni che mi porto dietro da quando ho lasciato Genova, la mia città, ormai 16 anni fa.

Le intercettazioni volgari e meschine del sacco alla CARIGE a cura di Berneschi e i suoi Elderly Boys, la grettezza di Bertone, la doppiezza consumata di Scajola, quel peccare sottovoce, quel timore di fare, l’alibi del “chi va piano va sano e va lontano”, la paura delle idee, l’inutile contegno del condannato all’oblio, l’attesa delle Grandi Opere per mascherare l’incapacità a progettare il futuro, la distanza esibita dalla ragione protetta con la tradizione, una dirigenza spaesata e spesso aliena alla modernità, parti sociali che guardano al passato, una classe politica arroccata, una cittadinanza spesso inerme. Tutto questo paralizza una città, svariate generazioni, energie uniche e irripetibili.
La contrapposizione tra voglia di spazio e libertà e amore per vicoli e tramonti sul mare me la porterò dietro per tutta la vita. In sere così mi sento lì, a Genova, e anche mille miglia lontano, in una proiezione sghemba di “Ma se ghe pensu” che suona ricordandomi il giorno che tutto questo mi fu chiaro e decisi di partire.

Avevo lavorato un anno alla progettazione di una nuova struttura pubblica che per l’epoca era molto innovativa e di eccellenza, un salto di qualità. Ricordo un tavolo con assessore e dirigenti, soddisfatti e sorridenti che mi proposero di esserne il direttore “col ruolo del direttore, le responsabilità e lo stipendio di un direttore. Sarai però inquadrato come impiegato direttivo, non come dirigente: hai solo 30 anni e se ti facciamo dirigente adesso dove sarai a 50?”
In quel momento il soffitto di cristallo mi si spiaccicò sul naso, mi tornarono su dallo stomaco gli anni dell’università quando, più che ventenne, mi veniva ancora chiesto quale fosse il mio quartiere, che lavoro facesse mio padre e amenità simili, prima di decidere se invitarmi a certe feste dove ci si misurava il pedigree a vicenda per clonare le nuove generazioni di vertice.
Da allora comprendo bene la metafora del ‘soffitto di cristallo’ usata per indicare il blocco invisibile ma concreto che hanno molte donne nell'accesso a posizioni apicali nelle organizzazioni. Già, perché a Genova non entri nel salotto buono se non hai caratteristiche genetiche compatibili con quella dell’oligarchia che governa la città.
Quel giorno, rifiutando l’offerta, smisi di giocare nell’orticello di casa, mandai il mio CV a Milano e Roma e lì, emeriti sconosciuti mi proposero subito un contratto da dirigente.

Ora abito a Roma, città animalesca e quasi aggressiva, luogo non facile ma vivo, in cui succedono cose, si accavallano idee, si celebra l’ineluttabilità della morte con superficialità e con  progettualità spesso sprecate ma talvolta risolutive.
Dentro di me, credo che il verminaio genovese che viene e verrà alla luce possa diventare un’opportunità unica. Vedere come quegli uomini spenti e impeccabili nei loro completi british siano nei fatti nudi e inadatti al futuro può aiutare la città a ripensarsi. 
Certo, catturato un caimano molti altri saranno pronti a prenderne il posto ma può essere il momento del colpo di scena, di politiche e modelli nuovi per lo sviluppo, il turismo, l’internazionalità, la mobilità, l’integrazione degli immigrati, i servizi agli anziani e ai bambini, l’uso dei beni comuni.

C’è forse il rischio di una città che esaurisce le forze, che non crede più in se stessa, in cui i frequenti disastri ambientali rappresentino bene un territorio che può franare in ogni sua parte materiale, morale e relazionale.
Esistono persone, forze, progetti, idee, relazioni dentro e fuori la città che possono  contrastare questa deriva. Molte le conosco, alcune si chiamano Marco, Laura, Giovanni, Isabella, Paola, Stefano, Cristiano, Anna, ...
Se solo ai caimani legassimo i denti per un po’, sarebbe bello avessero loro la possibilità di stare al timone, proporre e vedere realizzati progetti utili e – perché no – visionari, almeno quel tanto che serve a ridare fiducia al sistema. Se solo si mettessero assieme, se cambiassero aria a quelle stanze...

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