Mi fa un
certo effetto leggere nelle colonne dei principali quotidiani fini opinioni che
mettono in bella copia le sensazioni che mi porto dietro da quando ho lasciato
Genova, la mia città, ormai 16 anni fa.
Le
intercettazioni volgari e meschine del sacco alla CARIGE a cura di Berneschi e i suoi Elderly
Boys, la grettezza di Bertone, la doppiezza consumata di Scajola, quel peccare sottovoce,
quel timore di fare, l’alibi del “chi va piano va sano e va lontano”, la paura
delle idee, l’inutile contegno del condannato all’oblio, l’attesa delle Grandi
Opere per mascherare l’incapacità a progettare il futuro, la distanza esibita
dalla ragione protetta con la tradizione, una dirigenza spaesata e spesso aliena alla modernità, parti sociali che guardano al passato, una classe politica arroccata, una cittadinanza spesso inerme. Tutto questo paralizza una
città, svariate generazioni, energie uniche e irripetibili.
La
contrapposizione tra voglia di spazio e libertà e amore per vicoli e tramonti
sul mare me la porterò dietro per tutta la vita. In sere così mi sento lì, a
Genova, e anche mille miglia lontano, in una proiezione sghemba di “Ma se ghe
pensu” che suona ricordandomi il giorno che tutto questo mi fu chiaro e decisi
di partire.
Avevo
lavorato un anno alla progettazione di una nuova struttura pubblica che per l’epoca
era molto innovativa e di eccellenza, un salto di qualità. Ricordo un tavolo
con assessore e dirigenti, soddisfatti e sorridenti che mi proposero di esserne
il direttore “col ruolo del direttore, le responsabilità e lo stipendio di un
direttore. Sarai però inquadrato come impiegato direttivo, non come dirigente:
hai solo 30 anni e se ti facciamo dirigente adesso dove sarai a 50?”
In quel
momento il soffitto di cristallo mi si spiaccicò sul naso, mi tornarono su
dallo stomaco gli anni dell’università quando, più che ventenne, mi veniva
ancora chiesto quale fosse il mio quartiere, che lavoro facesse mio padre e
amenità simili, prima di decidere se invitarmi a certe feste dove ci si misurava il pedigree a vicenda per clonare le nuove generazioni di vertice.
Da allora comprendo
bene la metafora del ‘soffitto di cristallo’ usata per indicare il blocco invisibile ma concreto che hanno molte donne nell'accesso a posizioni apicali nelle organizzazioni. Già, perché a
Genova non entri nel salotto buono se non hai caratteristiche
genetiche compatibili con quella dell’oligarchia che governa la città.
Quel
giorno, rifiutando l’offerta, smisi di giocare nell’orticello di casa, mandai
il mio CV a Milano e Roma e lì, emeriti sconosciuti mi proposero subito un
contratto da dirigente.
Ora abito
a Roma, città animalesca e quasi aggressiva, luogo non facile ma vivo, in cui
succedono cose, si accavallano idee, si celebra l’ineluttabilità della morte
con superficialità e con progettualità spesso sprecate ma talvolta risolutive.
Dentro
di me, credo che il verminaio genovese che viene e verrà alla luce possa diventare un’opportunità
unica. Vedere come quegli uomini spenti e impeccabili nei loro completi british
siano nei fatti nudi e inadatti al futuro può aiutare la città a ripensarsi.
Certo,
catturato un caimano molti altri saranno pronti a prenderne il posto ma può
essere il momento del colpo di scena, di politiche e modelli nuovi per lo sviluppo, il
turismo, l’internazionalità, la mobilità, l’integrazione degli immigrati, i
servizi agli anziani e ai bambini, l’uso dei beni comuni.
C’è forse il
rischio di una città che esaurisce le forze, che non crede più in se stessa, in
cui i frequenti disastri ambientali rappresentino bene un territorio che può
franare in ogni sua parte materiale, morale e relazionale.
Esistono
persone, forze, progetti, idee, relazioni dentro e fuori la città che possono contrastare questa deriva. Molte le conosco, alcune si chiamano Marco, Laura, Giovanni, Isabella, Paola, Stefano,
Cristiano, Anna, ...
Se solo ai caimani legassimo i denti per un po’, sarebbe bello avessero loro la
possibilità di stare al timone, proporre e vedere realizzati progetti
utili e – perché no – visionari, almeno quel tanto che serve a ridare fiducia al
sistema. Se solo si mettessero assieme, se cambiassero aria a quelle stanze...
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