Sono circa 1,5 i miliardi di Euro che si stanno bruciando in
questi mesi in una inutile iniziativa denominata Garanzia Giovani. È un
intervento di sostegno ai giovani senza lavoro deciso nel 2013, su cui
Istituzioni, Enti di Formazione e Agenzie varie si sono accapigliate per
oltre un anno a definire i criteri con cui dividere il bottino e l’alibi con
cui farlo. A due anni dalle decisioni europee molte regioni stanno ancora
definendo le regole del gioco (qui
qualche dato).
Le azioni proposte seguono percorsi che si chiamano
Orientamento, Tirocinio, Apprendistato, Formazione, Autoimprenditoria (che
associata alla parola Giovane NEET suona come un ossimoro). Tutte parole create nella forma e nella sostanza
negli anni ’90, quando il ministro di riferimento era Treu, il tempo
indeterminato era per molti ancora un obiettivo realistico e Internet lo usava solo la NASA. In breve, un
piano destinato al fallimento in culla e i suoi progettisti destinati al girone degli ignavi.
Inoltre, la Garanzia Giovani e il Job Act stesso si calano
in un contesto in cui i Servizi per l’Impiego
pubblici sono evirati di testa e braccia con l’abolizione delle Provincie e revisione della conseguente
delega in materia, e la fantomatica costituzione di una Agenzia Nazionale per l’Impiego
da edificare in 2-3 anni sulle carcasse di ISFOL,
ItaliaLavoro e (buon senso direbbe) la parte di INPS che eroga gli
ammortizzatori sociali.
In generale, credo che il mercato del lavoro possa vivere solo se è funzionale a una strategia di sviluppo e investimento sui settori economici ai quali l’Italia è vocata e, in parallelo, rendendo più facile la vita di chi tenta di creare lavoro in termini burocratici, di accesso al credito, di legalità, di giustizia fiscale.
Ho più volte scritto su questo blog come a
mancare non siano i soldi ma le idee e il rimpallo tra le istituzioni e le
parti sociali sia il segno della diffusa incapacità a confrontarsi col
presente.
Per lavoro e come cittadino, assisto allo sviluppo di molti
servizi per l’impiego che, nell’assenza istituzionale, portano risposte e
efficacia. Vedo anche il pericoloso distacco crescente tra pubblico e privato e la progressiva inutilità del
pubblico rispetto a un privato che si auto aiuta senza considerarlo e neppure
chiedendogli più soldi.
Nei servizi attuali non si vedono azioni di senso in relazione alle nuove forme di lavoro, allo sviluppo delle competenze legate lavoro
autonomo che riguarda almeno il 70% dei nuovi assunti. La cosa più innovativa è
forse il Contratto di Collocazione in troppo timida sperimentazione, che riprende
prassi che in UK hanno ormai 15 anni e che già vengono ripensate perché superate
dai tempi.
Quello che invece vedo è:
- il nascere di veri e propri pezzi di servizi attivi del lavoro fuori dal sistema, in luoghi come i fab lab, gli spazi di coworking, gli spazi per makers, non nella logica modaiola delle start up (chimere sopravvalutate per pochissimi) ma come luoghi dove avviene l’apprendistato alla libera professione, non sancito da alcuna legge ma destino che riguarda la stragrande maggioranza dei giovani.
- la fine sul campo della retorica delle relazioni intergenerazionale di molti progetti-fuffa in cui “gli anziani passano competenze e relazioni ai giovani” o del "salviamo i mestieri che non ci sono più". Gli over 50 sono spesso espulsi perché a disagio nelle richieste del mercato del lavoro e sono loro le fasce deboli che i giovani possono sostenere e attualizzare. I mestieri non ci sono più quasi sempre perchè non hanno più senso. Gli stessi over 50 si sforzano di adattarsi a un mondo dove le relazioni (come tutte le informazioni) non sono potere se tenute strette ma solo se scambiate.
- Grazie alle piattaforme online, è possibile la disintermediazione di ogni servizio e la nuova centralità di concetti come la reputation del candidato e il branding dell’azienda. Se parliamo di lavoro, è già la fine dei modelli on line dell’incrocio domanda offerta pubblici e privati (peraltro in Italia irrilevanti dal punto di vista statistico) per un modello su cui trionfano modelli di selezione in cui l’evidenza pubblica della vacancy c’è se genera anche branding all’azienda, altrimenti i canali di ricerca rimangono ‘informali’.
- La necessità del bastone e della carota. Nessun servizio può essere standardizzato se non risponde alla regola per cui gli ammortizzatori sociali vengono erogati solo se il lavoratore si attiva davvero per cercare lavoro. La retorica del reddito di cittadinanza è dunque spazzata via dalla logica del reddito minimo garantito, garantito solo “se”. Oggi questo non succede, mai, neppure quando la legge in qualche modo lo imporrebbe come nella CIGS e nella Mobilità. (Voi lo immaginate in Italia un impiegato del centro per l'impiego che ‘tiene famiglia’ e rifiuta l’assegno a un utente perché non si è attivato, magari lavorando in nero? Io no)
- La lettura intelligente dei dati. La progettazione dei servizi è scalata di modello con l'uso dei dati. Anche in Italia sono in atto hackaton interessantissime sul come mettere in relazione la grande mole di dati sul tema per comprende il mercato del lavoro e sviluppare servizi che rispondano a esigenze reali e non alle lobby. Non pensate perà di trovarvi funzionari o accademici, queste nuove piste di lavoro le sviluppano gruppi di cittadini che poi riporteranno alle comunità e ai territori la conoscenza messa a punto.
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