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giovedì 6 febbraio 2014

Di reliquie, di santi e di superstizione.

Ci sono coincidenze che paiono ideate a tavolino da uno sceneggiatore un po’ alticcio a corto di soluzioni narrative.
Recentemente mi ha colpito sentire Giovanardi parlare della figlia che si è messa con un rasta sposato con un altro uomo. Bella anche quella del bancario americano che ha trovato per terra una carta di credito emessa dalla propria banca, che era proprio di una sua ex,  e che si sono ritrovati e infine hanno sparso il Wyoming di fiori d’arancio.
Ma la più bella l’hanno raccontata in pochi.
Si tratta qui di reliquie e reliquiari.
A distanza di pochi giorni:
  • è morto Carlo Mazzacurati, regista de “La Lingua del Santo”,
  • in una chiesetta a L’Aquila alcuni sbandati hanno rubato un reliquiario contenente un drappo insanguinato del vestito di Papa Woytila.
Nel bel film di Mazzacurati due ladri sempliciotti penetrano di notte nella basilica del Santo a Padova e rubano quasi per caso la preziosa reliquia di Sant'Antonio. Poi, resisi conto del valore del malloppo, decidono di chiedere un forte riscatto.  Il film peraltro era ispirato a un fatto vero, avvenuto nella notte del 10 ottobre 1991, quando le reliquie del mento e della lingua di Sant'Antonio da Padova furono trafugate dalla basilica del Santo da parte della Mala del Brenta per ricatto nei confronti dello Stato, e furono ritrovate due mesi dopo in circostanze misteriose vicino a Roma.

Quello che è successo vicino a L’Aquila il 25 gennaio è molto più reale e parodistico assieme. Questi tre balordi entrano in chiesa per cercare qualcosa di valore trovano il contenitore che pare d’oro, o comunque prezioso. Lo prendono. Quando, nel garage antisismico di uno di loro, capiscono che è una patacca, buttano tutto quanto, stoffa non meglio identificata compresa.
Il mondo intero, 50 poliziotti, passano 6 giorni a cercare la stoffa mancante e – tautologicamente – un miracolo la fa trovare. Da un importante e attendibile sito nazionale riporto che subito:  “… la Polizia Scientifica si mette a disposizione per ricomporre definitivamente la reliquia e attende una risposta dall’arcivescovo dell’Aquila, Giuseppe Petrocchi, che la prende in consegna. Il frammento è stato ricostruito in mattinata dal vescovo ausiliario dell’Aquila, Giovanni D’Ercole. Da fonti della curia si apprende che la reliquia, potrebbe non tornare nel santuario in quell’area della montagna tanto cara a Giovanni Paolo II. La Chiesa aquilana potrebbe chiedere una nuova reliquia alla Postulazione della causa di canonizzazione del pontefice che sarà proclamato Santo il 27 aprile. Reliquia ricomposta o nuova potranno comunque essere accolte nella chiesetta solo dopo l’installazione di sistemi di sicurezza: attualmente il suggestivo luogo sacro, infatti, è totalmente incustodito.


Lo ammetto, questi conati di medioevo mi trovano distante e estraneo. Paradossalmente coloro che hanno dimostrato maggiore realismo in tutta la storia sono proprio i tre balordi che la cui la voglia di droga ha cancellato superstizioni e idolatrie. Ma questo non mi consola di certo. Vorrei quasi non credere che a qualcuno interessino amuleti e feticismi correlati, vorrei vivere in una società dove le tuniche macchiate di sangue o si lavano o si mandano al macero, dove la religione abiti nei cuori e non negli abiti, dove all’alienazione dei giovani in cerca di denaro per una dose vengano date risposte vere, una città ricostruita e non un cratere senz'anima, fatti e non pistolotti paternalistici.

2 commenti:

  1. Leggendo la tua conclusione mi viene in mente il tuo post del 27 gennaio: anche li abbiamo bisogno di amuleti e feticismi per ricordare quell'orrore.
    L'uomo non sa imparare ma sa solo ricordare, e per farlo, ha bisogno di oggetti, luoghi, parole che ne rinfreschino la memoria.
    Si tratti di religione, di odio, o amore, lasciamo che l'uomo ricordi attraverso questi "feticci", se il fine ultimo è quello di rendere questo mondo un po' migliore di come lo abbiamo trovato.
    Ciao.
    Massimo

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  2. Per un certo periodo mi son trovato a leggere Avvenire, che ovviamente ha dato grande risalto alla vicenda; ho scritto alla Direzione una lettera -che francamente non so se poi sia stata pubblicata- dove mi ponevo -ma soprattutto ponevo Loro- un differente dubbio... ne riporto il punto saliente:
    <(...) mi rimane tuttavia un interrogativo, nello specifico riguardo alla vicenda del pezzo di tessuto appartenuto a Papa Wojtyla intriso dal sangue il giorno del suo attentato: chi decise allora di conservare la veste? Con quale scopo? Dirò una banalità, ma chiunque altro se ne sarebbe liberato!>
    Il titolo della lettera era "La macchina delle reliquie"

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