Ci sono
coincidenze che paiono ideate a tavolino da uno sceneggiatore un po’ alticcio a
corto di soluzioni narrative.
Recentemente
mi ha colpito sentire Giovanardi parlare della figlia che si è messa con un
rasta sposato con un altro uomo. Bella anche quella del bancario americano che
ha trovato per terra una carta di credito emessa dalla propria banca, che era
proprio di una sua ex, e che si sono
ritrovati e infine hanno sparso il Wyoming di fiori d’arancio.
Ma la più
bella l’hanno raccontata in pochi.
Si tratta
qui di reliquie e reliquiari.
A distanza di pochi
giorni:
- è morto Carlo Mazzacurati, regista de “La Lingua del Santo”,
- in una chiesetta a L’Aquila alcuni sbandati hanno rubato un reliquiario contenente un drappo insanguinato del vestito di Papa Woytila.
Quello che è
successo vicino a L’Aquila il 25 gennaio è molto più reale e parodistico
assieme. Questi tre balordi entrano in chiesa per cercare qualcosa di valore
trovano il contenitore che pare d’oro, o comunque prezioso. Lo
prendono. Quando, nel garage antisismico di uno di loro, capiscono che è una
patacca, buttano tutto quanto, stoffa non meglio identificata compresa.
Il mondo
intero, 50 poliziotti, passano 6 giorni a cercare la stoffa mancante e –
tautologicamente – un miracolo la fa trovare. Da un importante e attendibile
sito nazionale riporto che subito: “… la Polizia Scientifica si mette a
disposizione per ricomporre definitivamente la reliquia e attende una risposta
dall’arcivescovo dell’Aquila, Giuseppe Petrocchi, che la prende in consegna. Il
frammento è stato ricostruito in mattinata dal vescovo ausiliario dell’Aquila,
Giovanni D’Ercole. Da fonti della curia si apprende che la reliquia, potrebbe
non tornare nel santuario in quell’area della montagna tanto cara a Giovanni
Paolo II. La Chiesa aquilana potrebbe chiedere una nuova reliquia alla
Postulazione della causa di canonizzazione del pontefice che sarà proclamato
Santo il 27 aprile. Reliquia ricomposta o nuova potranno comunque essere
accolte nella chiesetta solo dopo l’installazione di sistemi di sicurezza:
attualmente il suggestivo luogo sacro, infatti, è totalmente incustodito. “
Lo ammetto, questi
conati di medioevo mi trovano distante e estraneo. Paradossalmente coloro che
hanno dimostrato maggiore realismo in tutta la storia sono proprio i tre
balordi che la cui la voglia di droga ha cancellato superstizioni e idolatrie.
Ma questo non mi consola di certo. Vorrei quasi non credere che a qualcuno
interessino amuleti e feticismi correlati, vorrei vivere in una società dove le
tuniche macchiate di sangue o si lavano o si mandano al macero, dove la
religione abiti nei cuori e non negli abiti, dove all’alienazione dei giovani
in cerca di denaro per una dose vengano date risposte vere, una città
ricostruita e non un cratere senz'anima, fatti e non pistolotti paternalistici.
Leggendo la tua conclusione mi viene in mente il tuo post del 27 gennaio: anche li abbiamo bisogno di amuleti e feticismi per ricordare quell'orrore.
RispondiEliminaL'uomo non sa imparare ma sa solo ricordare, e per farlo, ha bisogno di oggetti, luoghi, parole che ne rinfreschino la memoria.
Si tratti di religione, di odio, o amore, lasciamo che l'uomo ricordi attraverso questi "feticci", se il fine ultimo è quello di rendere questo mondo un po' migliore di come lo abbiamo trovato.
Ciao.
Massimo
Per un certo periodo mi son trovato a leggere Avvenire, che ovviamente ha dato grande risalto alla vicenda; ho scritto alla Direzione una lettera -che francamente non so se poi sia stata pubblicata- dove mi ponevo -ma soprattutto ponevo Loro- un differente dubbio... ne riporto il punto saliente:
RispondiElimina<(...) mi rimane tuttavia un interrogativo, nello specifico riguardo alla vicenda del pezzo di tessuto appartenuto a Papa Wojtyla intriso dal sangue il giorno del suo attentato: chi decise allora di conservare la veste? Con quale scopo? Dirò una banalità, ma chiunque altro se ne sarebbe liberato!>
Il titolo della lettera era "La macchina delle reliquie"