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mercoledì 1 maggio 2019

Il Lavoro e il Non Lavoro.


La prendo da lontano… non mi faccio mai consegnare cibo a casa quindi mi sfilo dal dibattito sulle mance ai fattorini di pizze-sushi-hamburger e simili. Non lo faccio perché quei ragazzi mi fanno pena quando li vedo pedalare, e perché in casa amo cucinare. Fanno un lavoro che non può essere sostenibile, gli toglie energia e svuota di senso il lavoro stesso: il valore della merce in ogni viaggio è troppo basso per giustificare il valore aggiunto dal costo della consegna. È una presa in giro, come i tirocini infiniti, i periodi di prova senza termine, il ricatto del ‘fai un lavoro che ti piace… vuoi pure essere pagato il giusto?’  

Conosco abbastanza quei ragazzi, il labirinto in cui si trovano, la disillusione e la rabbia di alcuni. Li incontro  in molti corsi dove insegno. Tra loro non mancano i talenti, parlano tre o più lingue, sono persone quadrate e motivate a cui non viene data la fiducia, l’occasione, la possibilità di sbagliare. In tanti, tantissimi, lavoricchiano spesso in nero, mixano passioni e necessità nel disorientamento complessivo. Molti rischiano di arrendersi ad un eterna attesa coltivata nel rancore, di macerarsi nell’irrilevanza, di rassegnarsi a pedalare come criceti nella ruota, a non strutturare le loro conoscenze in competenze reali e spendibili sul mercato.

Io vivo del mio lavoro – sempre da immaginare, trovare, svolgere, mese dopo mese, nell’incertezza del presente e nella visione di futuri utili e probabili – e gran parte del mio è sviluppare lavoro e opportunità per altri.
Nei miei progetti col pubblico e il privato vedo le potenzialità dei singoli e la disorganizzazione del sistema complessivo che non crea occasioni, benessere e occupabilità.

Mancano servizi adeguati, banche dati di riferimento, marketing territoriale, conoscenza dei bisogni e  visone generale. Mancano perchè non interessano. Nessuno è pagato e motivato a raggiungere obiettivi reali. I tempi degli interventi rispondono a tempi anni ’80 in cui il contesto consentiva piani quinquennali, incongrui con la velocità dell’oggi.  

Manca il coraggio di sperimentare soluzioni, valutare gli impatti delle politiche, misurare l’efficacia della Pubblica Amministrazione. 
Si crede che il lavoro nero sia inevitabile, che l’illegalità sia congenita e necessaria, che in fondo aiuti gli ultimi a metterci una pezza, quando invece non fa altro che irrobustire la gabbia in cui sono rinchiusi e annullare in partenza il percorso degli imprenditori che vorrebbero operare in regola, creare valore collettivo, assumere e formare.

Credo che l’Europa, come luogo politico e geografico, ci possa aiutare molto nel cammino necessario per dare forma e efficacia al nostro mercato del lavoro. Non parlo di Fondi, quelli già presenti abbondanti e spesso spesi male in molte regioni, ma nella forma mentis, nella creazione di opportunità, nel lavoro per obiettivi, nella dotazione tecnologica, nella riduzione del digital gap e dell'analfabetismo funzionale che sta rallentando ogni reale ipotesi di sviluppo. Anche questa è una ragione profonda per andare a votare a fine mese. 

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