Qualche settimana fa una matrona veggente dell’INPS,
guardando nel mio futuro ha affermato che potrei andare in pensione a 67 anni e 2 mesi.
Ha anche estratto alcuni numeri corrispondenti all’ammontare in euro che
percepirò quel giorno, una cifra spiritosa se non mi sbrigo a metterci sopra una
‘pensione integrativa’. Ha infarcito le sue frasi di “forse”, “probabilmente”,
“se non cambia la legge”, “con le regole attuali”, che hanno reso del tutto
aleatoria ogni altra sua affermazione e mi hanno sempre più convinto che lo schema
“lavora, risparmia e alla fine goditi il meritato riposo” tende a avvicinarsi
troppo all’eterno riposo.
Non è che non lo avessi sempre pensato. “Lavorano solo
quelli che non sanno fare altro”, me lo ha detto a tavola Massimo Bucchi,
l’autore geniale della vignetta quadrata al centro del quotidiano ‘La Repubblica’. Lui è un toscanaccio
irriverente e buttata lì così l’affermazione sembra un’offesa a chi il lavoro
non l’ha ma in realtà è un esorcismo per chi non vuole pensare che dovrà
lavorare per tutta la vita e poi morire e dunque vuole illudersi che quello che
sta facendo sia altro, magari un hobby evoluto, un passatempo totalizzante, un
disturbo che poi passa.
Le cose stanno cambiando più velocemente del sistema che le
deve prevedere e governare. Che l’Ilva di Taranto fosse una follia da ogni
punto di vista era risaputo, così come lo è l’Alcoa e le miniere di carbone in
Sardegna, ma lo è anche la Fiat da almeno 30 anni e molte altre realtà utili solo alla
politica, sostenute dalle nostre tasse, pilotate spesso da incompetenti totali
se non da ladri in doppiopetto, distruttrici di territorio. Così come una follia sono stati i baby pensionati, ma anche i pensionati a
50-55-60 anni.
Ora il banco è saltato, il modello scricchiola, Schettino che
abbandona la nave diventa un furbo da imitare: la rabbia di molti scagliata contro
la ‘casta’ serve anche a scaricarsi di responsabilità e a negare che il debito
pubblico, il disastro morale e ambientale non siano prodotti anche dall’aver
vissuto per decenni nell’ignavia.
È l’ignavia di chi non chiede la ricevuta fiscale, degli
inquinatori che avvelenano i propri figli, dei sindacati che difendono
privilegi e storture immorali, del lavoratori che non lavorano, dei manager che pensano 60 volte al minuto solo al proprio culo e
alla propria sedia, delle banche che piegano la realtà ai propri dividenti, di
chi con piccole e grandi mafie scende a patti ogni giorno.
Ma gli ignavi vanno all’Inferno, di questo sono certo. Non sono molti, sono moltissimi, e il guaio è che ci trascinano anche molti che le responsabilità
proprio non le hanno: tutti gli altri.
Ormai è chiaro come non si possano salvare certi posti di
lavoro, servirebbe solo a prolungarne l’agonia spendendo un altro fiume di
denaro. Come le logiche che governano il pubblico impiego andrebbero del tutto
riviste. Servono coraggio, idee, cuore e, soprattutto, fiducia. Allora le
soluzioni nascono e si sviluppano, i soldi si trovano, eccome.E anche molti ignavi possono aprire gli occhi, perché sono un ottimista e penso che se si costruisce un contesto di fiducia le persone cambino
D'altronde queste operazioni, senza la fiducia, le fanno solo i regimi
totalitari, che molti gradirebbero, è evidente, ma che io spero si sia in grado
di evitare.
Sto dalla parte dei lavoratori, dunque, se qualcuno sta almeno
un pochino anche dalla mia.
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