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venerdì 22 marzo 2013

Un uomo di mezz'età nel mercato del lavoro spezzato.

Occorre capire e interpretare il mondo del lavoro. È complesso ma se non ci sforziamo di farlo, non  ne possiamo immaginare le evoluzioni o tantomeno quali siano i servizi necessari ai territori, ai cittadini e alle imprese per dare il proprio meglio, per sé stessi e per la collettività.
La comprensione di ciò è parte del mio lavoro e su questo mi interrogo di continuo. Oggi ne scrivo per fissare alcune idee e ricevere vostre opinioni in merito
Seguitemi e mi impegnerò a non deludervi né annoiarvi.
Ho la ventura di frequentare sia i contesti dove si prendono le decisioni, si fanno le leggi, si pianifica l’uso del denaro pubblico, che i luoghi dove nasce l’innovazione e si buttano le basi del futuro imprenditoriale e sociale del Paese. Capita che nei due diversi ambiti professionali io mi trovi sempre ai limiti massimi dell’inclusione demografica. Intendo dire che sono sempre il più giovane in alcuni contesti e il più anziano in altri, raramente sto nel mezzo. 


Sono il più giovane nei contesti istituzionali. Quando mi devo mettere al tavolo con funzionari pubblici, associazioni di categoria, il sindacato, l’università, nei luoghi delle decisioni e della programmazione. Sono ambienti che frequento da vent’anni, e da vent’anni sono governati dalle stesse persone, oggi solo poco più tristi e arrese, digiune e impaurite dalla realtà, dal cosa c’è “fuori”. Contesti ancorati a vecchie soluzioni per nuovi problemi che non comprendono o altri immaginari che non esistono più, tutti tesi a difendere i diritti dei tutelati e a alzare dighe perché chi non ha diritti oggi neppure ne abbia in futuro. Sono ambienti che si autoalimentano di dogmi e procedure, alieni a obiettivi reali, coraggio di rischiare, curiosità e contaminazioni. Luoghi di certezze ma senza obiettivi. Ero un ‘giovane di bottega’ quando vi sono entrato la prima volta e tale sono rimasto, impagliato in un museo di storia innaturale.

Sono il più vecchio nei luoghi dell’innovazione sociale. Popolati da persone che hanno superato il trauma della fine del tempo indeterminato (nel lavoro, nelle relazioni, nei luoghi della vita), usano la potenza della tecnologia per migliorare le nostre vite, hanno la necessità di aprirsi e condividere invece di chiudersi e competere. Vedo cose che molti hanno anche solo timore di immaginare: talenti all’opera solo per aumentare la propria reputazione, prestazioni di altissimo livello (web design, artigiani, project manager, crowdsourcing  ad esempio) realizzate e pagate secondo le regole del baratto, prodotti e servizi progettati ‘con’ e non ‘per’ i beneficiari, manager che si pongono in discussione e costruiscono piattaforme collaborative ammettendo la necessità dell’altro, professionisti che credono sia l’innalzamento delle competenze dei clienti a creare i mercati e che la comunicazione serva prima di tutto a sviluppare economie consapevoli e sostenibili. Tutti abituati a scambiare opportunità e talento concedendosi  all’imprevisto. Nessuno che possieda certezze ma solo sogni e obiettivi versi i quali si cercano i percorsi nel buio, per i quali si cercano conferme. 

L’essere il più vecchio tra i giovani e il giovane tra i più vecchi non so se mi allungherà la vita. Forse mi confonde. Di certo mi rende evidenti i punti di forza e di debolezza dei due mondi, iperstimola le sinapsi e  porta a interrogarmi su come una società così diversamente polarizzata nei comportamenti, negli obiettivi e nei valori, rischi una degenerazione della politica e della socialità ben oltre la attuale, al punto da poterne essere  travolta.
Bisogna costruire dei ponti.
Voglio costruire dei ponti. Dobbiamo farlo. Perché è tra chi ha età e esperienza che trovo più spesso serenità e senso di comunità, conferme alle ragioni che ti fanno fare figli, a credere che le cose possano durare, che possa valere la pena stringere i denti ora per raccogliere tra dieci anni magari. Troppo sovente chi ha idee, energia e capacità di rischiare è anche un apolide dei sentimenti e della memoria e poco ci mette a trapiantarsi altrove lasciando illusioni e deserti dietro di sé.

Sì, è complesso ma fondamentale e occorrerebbe parlarne parecchio prima di decidere l'indirizzo da dare al nostro Paese.

2 commenti:

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    1. Non e' la specie piu' forte a sopravvivere, neanche la piu' intelligente. Sopravvive la specie piu' predisposta al cambiamento.
      -Charles Darwin-

      Questa volta ho messo le doppie V.

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