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mercoledì 21 maggio 2014

Zero Reputation: del perché i tassisti non ci sono simpatici.

Ho già scritto dello scontro che vede protagonisti i tassisti e il servizio Uber per il noleggio di auto con conducente. Tutti i giornali ne parlano, pochi a proposito. La diatriba viene semplicisticamente presentata come ‘vecchio’ contro ‘nuovo’ che in un’epoca di rottamazioni allegre fa istintivamente propendere il tifo verso chi brandisce un’App e non un cric. Il tema è mal posto e, al di là delle lecite resistenze di chi vuol mantenere posizioni pagate a caro prezzo, rientra in un più generale bisogno di regole e servizi adatti al XXI° secolo.

Qui però vorrei fermarmi a riflettere di come i tassisti in questa fase paghino la scarsa simpatia del pubblico verso la categoria.
In termini contemporanei potrei quasi dire che la loro reputation  è un disastro, il ranking dei loro servizi è sofferente, la customer satisfation sofferente, il brand della categoria svalutato. E, a mio avviso, queste debolezze potranno essere per loro ragioni di parecchie sofferenze.
A parte che a se stessi e ai loro familiari, la categoria è piuttosto invisa. Ma cos’hanno fatto che li ponga su di un piano diverso da quello dei falegnami, degli insegnanti, dei giornalai o degli architetti?

Nulla di personale ma è diffusa la percezione che tra i servizi taxi imperi la scarsa qualità del servizio. E se il servizio che eroghi è percepito come insoddisfacente è difficile avere solidarietà professionale.
Certo le auto vanno da qui a lì, ma non basta.
L’uso del taxi in questo paese si confronta spesso con sistemi di tariffazione spesso discutibili e iniqui, distrazioni dubbie, carenze in materia di bancomat wifi aria condizionata, radio costantemente sintonizzate su acefali canali da ultras, uso del cellulare alla guida, …
Diciamo che la user experience è sconfortante e il cliente è spesso una variabile indipendente.
La mia personale opinione è che questa sciatteria diffusa sia generata a sua volta dalla autopercezione di essere fondamentali e intoccabili. Forse il sapersi un pubblico servizio fa alla lunga pensare di essere quasi dei dipendenti pubblici. Intoccabili forse potranno continuare a esserlo ma fondamentali non credo.

La loro intoccabilità l’hanno costruita, come tutte le corporazioni, strutturando legami stretti e spesso opachi con la politica. L’esenzione alla ricevuta fiscale concessa da Berlusconi e la contiguità interessata con frange estreme li ha resi indiscutibilmente antipatici. Il blocco alle nuovi concessioni comunali legato alla candida motivazione che c’è un mercato nero da tutelare fa ribrezzo. Il voto di scambio a cui si presta in larga parte la categoria mi allontana da ogni empatia (“a dotto’, visto che la porto in Regione, ce lo dice lei alla Polverini che se non ci da i soldi che ci ha promesso in campagna elettorale per le auto nuove, la prossima volta i nostri voti li diamo a quarcun’altro. Ventimila preferenze almeno”).

Poi, come capita in tutte le corporazioni chiuse, le mele marce non vengono additate e messe all’angolo dagli altri (o dai giudizi degli utenti, se vogliamo essere un po' 2.0) ma tollerate voltandosi dall’altra parte.

Ora sono sotto attacco.
App americane, car sharing, biciclette anche, ne minano alle basi la necessità, a meno che non decidano di confrontarsi e rilanciare. Magari ricostruendo la loro immagine attraverso un atteggiamento diverso verso il mercato... vedremo.
Per manifestare le loro ragioni intanto picchetteranno le stazioni, bloccheranno forse strade, faranno casino, troveranno il politico compiacente a far salire i toni. Con molte ragioni dalla loro parte ma - e mi spiace - con ben pochi cittadini al loro fianco.

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