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venerdì 9 maggio 2014

Economia della Condivisione, futuro e altre serie amenità collegate.

Possiamo continuare a consumare, inquinare, muoverci, sprecare, isolarci, fregarcene dell’eredità che lasceremo? La domanda è retorica ma la risposta può essere molto pratica.
Ho passato tre giorni al OuiShareFest di Parigi, il Festival dell’Economia Collaborativa, dove amministratori pubblici, grandi aziende, piccole start up, filosofi, smanettoni dell’open source, sognatori e costruttori di futuro si sono dati appuntamento per raccontarsi che si può e si fa.

Amministratori pubblici hanno raccontato come il settore pubblico possa facilitare un’economia della condivisione che tolga auto dalla strada, eviti riduca e rivaluti i rifiuti, includa gli ultimi, metta assieme le diverse informazioni in modo che acquisiscano nuovo valore. A Seul, Berlino, Amsterdam (e anche Bologna) si parla di Sharing City (che forse è la via più equilibrata alla Smart City di sapore tecnologico ma poco vicino alle persone).
La ministra francese alle politiche digitali ha detto con franchezza “Le comunità e le persone sono in cerca di SENSO. Compito della politica è costruire questo senso. Voi potete aiutare molto”. Sottintendeva anche che le migliori idee e comportamenti possano venire con credibilità solo da chi fa, sbaglia, corregge, affina.

L’amministratrice delegata di Castorama ha spiegato come sempre meno gente comprerà trapani poiché quello che serve davvero è solo il buco. Ecco che allora loro affitteranno le attrezzature, metteranno a disposizione dei laboratori attrezzati dove si potrà andare a farsi la mensola o la porta, incontrare appassionati come voi, imparare dai più esperti. E renderanno pubblico il design dei loro prodotti in modo che chi vuole possa riprodurre con stampanti 3D. Non hanno paura di perdere mercato? No, sanno che sarà l’opposto perché la fantasia dei clienti inventerà nuove destinazioni per i loro prodotti. Da fornitori di prodotti molte aziende diventeranno abilitatrici di processi.

Un giovane nepalese ha descritto come funziona la sua scuola per figli di indigenti: uno dei due genitori paga la frequenza lavorando per la scuola due giorni al mese in attività contadine o artigianali ottenendo prodotti che verranno venduti per sostenere la scuola.

Quello di Parigi non era un ambiente naif, né new age, né di sinistra, né di destra.
Era un consesso molto pratico che vedeva come inevitabili certi processi e come sia il profit che il no profit dovessero fare i conti con il cambio di paradigma economico e di comportamento dei mercati.
Scontri più o meno espliciti sono all'orizzonte: Albergatori contro AirBnB, Ristoratori contro Cookening, Tassisti contro Uber, distribuzione alimentare contro Food Assembly, banche contro Social Lending e così via, ... qualcosa andrà distrutto, posti di lavoro andranno persi e altri creati, tante cose andranno regolamentate molti dovranno cambiare pelle per continuare a stare sul mercato. Le corporazioni e i monopoli sono tutte destinate a essere travolte dal mercato che cambia.

L’Economia della Collaborazione era di certo nel DNA dei nostri nonni, di chi nella tradizione contadina e nella penuria di risorse del dopoguerra trovava naturale e logico utilizzare tutto, riparare, risparmiare perché consapevole che un futuro poteva e doveva esistere. Questa certezza di un futuro ‘a prescindere’ è diventata talmente nostra che abbiamo sostituito l’essere con l’avere.

In tal senso, la crisi ha aiutato a ristabilire un ordine di valori. E la tecnologia ha reso la possibilità di scambiare e condividere un fenomeno di massa, a partire dalla merce più preziosa: le idee. Soprattutto è così possibile condividere e scambiare con chi è con noi in sintonia anche se non lo conosciamo e non lo conosceremo mai.
Perché qui non si tratta di risparmiare ma di cambiare totalmente una cultura che vorrebbe far coincidere il consumo con la felicità. È semplicemente insostenibile dal punto di vista ambientale, sociale e economico (Già sentito? Oltre che il buonsenso, le stesse cose le dice anche la Strategia Europa 2020).
Anche perché come ha detto l’AD di Bla Bla CarSe una buona prassi non è scalabile, allora non è importante e non porterà a nulla”.

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Che poi i tassisti e Uber si sono scontrati davvero, otto giorni dopo... di questo ne parlo qui

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