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giovedì 30 gennaio 2014

Perché il Cake Design è una boiata.

(Per la prima volta pubblico il contributo di un autore esterno al mio blog, e lo faccio con gran piacere. Le osservazioni sagaci e competenti di Roberto sono la prosecuzione di un dialogo che mi pare degno essere posto a un'attenzione più ampia)


Da piccolo ero un vorace estimatore di articoli da pasticceria, ma già allora non capivo perché mescolare ghiottonerie con materiali non edibili -sì, ero onnivoro ma forbito- tipo i fiori di zucchero su torte e uova pasquali; i difensori -leggi i pasticceri che li compravano belli che pronti- argomentavano <È zucchero!> così come oggi, colla mania del light, ti dicono <È ostia!> ma l'unica utilità che rivestono è raccoglierne in quantità sufficienti per coibentare le soffitte.

Nella nostra modesta delegazione,  avevamo da una parte una pasticceria che dei fiori di zucchero ha fatto un'arte riconosciuta a livello mondiale (ci crediate o no, stavano pure sulla torta nuziale di Carlo e Diana) dall'altra un bar che a Pasqua, in piena controcorrente, guarniva le uova con decori di sola cioccolata, sfruttandone i colori naturali; quando ho cominciato anch'io a fondere uova, ho mantenuto questa illuminata ispirazione fino a raggiungere un certo virtuosismo. Quello almeno concesso dell'attrezzatura casalinga, per arrivare comunque  a una dolorosa epifania: davanti ad un bonsai interamente in cioccolata -vaso 'Cinese', legno, foglie, terriccio- ho capito la sproporzione tra una pur notevole resa e l'incommensurabile spesa energetica; per poi sentirsi anche dire <Eh, ma non si può mica mangiare!!>... in più, la tenace Biologa cui era dedicato non me la diede neppure in quel modo, e da lì ho cercato vie meno artificiose.

Dopo questi preamboli dovreste avere già ben chiara la mia posizione sul Cake Design -da qui CkD- ma concedetemi ancora una digressione. Dal cinquecento in poi, i ricconi decoravano i banchetti con sculture -trionfi- di burro o zucchero che, dalla loro affinità col cibo, traevano legittimazione tra i piatti ancor più di un centrotavola d'argento. Poi col tempo son diventati di materiali meno appetibili -tipo il grasso animale- ma sempre forieri di suggestioni tipo <Se il cuoco cesella così bene il grasso informe, figurati come arrostisce i pavoni!> In realtà erano maestranze del tutto differenti: chi costruiva i trionfi erano scultori tanto quanto chi fondeva argenti; e poi mica eran scemi, le sculture non si mangiavano di certo!

Veniamo così al CkD, deriva barocca e decadente di un ipertrofismo voyeuristico del cibo.
Negli ultimi decenni abbiamo visto diverse mode culinarie tener banco e invadere le tavole, ma estremismi a parte qualche merito lo hanno avuto: la destrutturazione (esaltare gli ingredienti) la fusion (far conoscere culture alimentari 'altre') la molecolare (andare al cuore dei principi chimici per sfatare superstizioni secolari e trovare metodi più efficaci di preparazione). Solo la nouvelle cousine c'ha costretto a ingollare dosi omeopatiche di preparazioni così complesse, che fisicamente le nostre papille non sono in grado di percepire come in un concerto ad infrasuoni.
Oggi parimenti il CkD ha trasformato l'Arte della Pasticceria in un circo virtuale. Sì, virtuale, perché lo si guarda, si fa <Ohhhh> (io no) e poi la bocca resta spalancata su questi impasti adatti più a Fuksas che Saint Honoré, appetibili e sensuali come un seno rifatto o un bicipite agli steroidi. A proposito, ho intravisto quel programma dove l'italica tamarraggine sposa il gigantismo americano, e sforna “dolci” alti anche 2 metri con led, cristalli, fontane o eruttanti fiamme (NON è un'iperbole!); bene, ho seguito però anche il momento in cui affettano e cercano di mangiarle... pane raffermo. Io stesso ho avuto occasione di assaggiarne, fatte per giunta da persone altrimenti molto abili in cucina: no comment. Ma vuoi mettere com'erano fighe??


Sempre da cucciolo, oltre a fagocitare dolci, giocavo coi Lego®: provate voi a costruire un'astronave interstellare con mattoncini quadrati rossi e blu, oppure oggidì avere il pezzo “cannone laser con luci”, c'est plus facile ma meno creativo.
E vengo alla critica tecnica, perché l'ultima cosa che voglio è passare per misoneista, io che amo cloud, parrot, e le brioche in atmosfera modificata.
Lessi una volta del procedimento per trasformare lo zucchero in pasta vitrea e soffiarlo per ottenere vasi e frutta (memorabile 'lezione morale' nel film
Vatel*). Pensai che fosse un livello probabilmente eccessivo, davvero sorprendente e per me inarrivabile; dov’è invece l'abilità di lavorare uno zucchero che si chiama “plastico” per la sua affinità col Das® in manipolazione e sapore?!
Provate per contro anche solo a leggere il procedimento di temperaggio del cioccolato (chi scrive nelle ricette 'sciogli e utilizza' o è ignorante o vi sta pigliando per il_) e poi confrontate col surrogato (!) di cioccolato o il cioccolato plastico (ancora).
È arte edificare una torta che per sembrare il Taj Mahal dev'essere fatta di sostanze indigeribili? Provate a mangiare il modellino di un architetto!
Si tratta appunto abilità da architetto, ingegnere, talvolta da elettricista e idraulico, sempre da scultore; ma hanno perso per strada la centralità del GUSTO inteso come sollecitazioni delle papille, non delle sole pupille. Queste mirabolanti creazioni sono fruibili come il prototipo di un'auto: vi costa una fortuna perché è un prodotto unico artigianale, ma poi non si può guidare in quanto è un blocco di polipropilene.
Per capire bene cosa intendo circa questa insensata degenerazione, andatevi a vedere le immagini del
World Pastry Cup: sculture fantascientifiche e monumentali di zucchero -e chissà cos'altro- senza talvolta alcuna logica alimentare nelle quali il “pastry” non è altro che un dolcetto appoggiato in disparte sul ripiano a strapiombo su aguzze lamine dolci, cattedrali rococò dove non si celebra più alcuna spiritualità del sapore.

Ringrazio il mio ospite Andrea per l’aaampio spazio che mi ha concesso, ideale prosecuzione di decennali riflessioni sulla società e colossali abbuffate, passandogli il testimone su una ulteriore analisi del perché questa società sia a tal punto drogata di forma esteriore da mortificare persino un piacere edonistico come il cibo; mi correggo, come il dolce giacché sul cibo in generale -ben approfondito in precedenza proprio su queste pagine- ci sia in realtà un'attenzione spasmodica, scissa appunto tra la ricerca del minestrone come lo faceva la nonna di Garibaldi e le torte Avatar.

*Nota:
nella scena, l'odioso Tim Roth/Marchese al seguito del Re commissiona al cuoco Depardieu/Vatel un trionfo di zucchero per la bella Uma Thurman/Favorita del Re. Questi compone un cesto di frutta con glassa soffiata davanti agli occhi del suo giovane apprendista, in un tripudio di forme e colori, chiosando con la frase <Tutto si riduce ad armonia e contrasto> col tocco finale di un fiore vero blu. Consegna l'opulento omaggio al valletto, quindi torna dell'apprendista: <Ora ti faccio vedere un vero capolavoro> e modella un delicato vaso trasparente che ospita una unica pallida rosa, dedicandola alla stessa donna di cui è segretamente innamorato (la Turman) e che, a differenza del regalo pacchiano, accetterà colpita...
Perché mi dilungo a raccontare tutto ciò? Dopo aver cercato su web la suddetta scena come un forsennato così da poterla linkare, mi sarei accontentato anche solo di una foto e un commento, visto che questo passo costituisce -a mio giudizio- il perno su cui ruotano le armonie e i contrasti di tutto il film, oltre che rappresentarne l'unica morale. Non trovando alcunché, ho pensato di ingegnarmi allora a ritagliare la scena dal file -che ovviamente ho!- così da pubblicarla & finalmente linkare. In tutte le versioni del film che ho cercato, è stata tagliata nel momento in cui Depardieu dice <E ora ti faccio vedere un vero capolavoro> prima di realizzarlo spiegando il VERO senso dell'arte, togliendo ogni connessione alla scena in cui la rosa in vaso viene consegnata alla Favorita, ma soprattutto mutilando un film sovrabbondante dell'unico momento essenziale.
Una lunga nota in chiosa a una lunga divagazione, ma che centra più di altro il nostro argomento.

2 commenti:

  1. Per me è l'equivalente alimentare del decoupage. Un'isteria con cui soggetti ansiosi possono placarsi facendo lavori manuali (e convincersi di avere qualità artistiche deducendolo arbitrariamente dall'impiego di tempo e risorse per ottenere un prodotto privo di utilità pratica ma ricco di fuffità).

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  2. Vedendo le trasmissioni (molto di moda in tv ultimamente) che trattano dell'argomento di cui sopra, con parole molto più terra terra rispetto a Roberto ho sempre pensato: "Belle, ma secondo me fanno schifo!" Per carità, io non sono un esperto, però... Davide

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