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sabato 30 gennaio 2016

Ero al Family Day '16 al Circo Massimo: ve lo racconto, purtroppo.

Lo ammetto, mi preoccupa essere qui a scrivere un post sul Family Day Circo Massimo 2016. Ci sono stato, ho osservato, ascoltato, parlato con alcuni per sentire le loro argomentazioni. Ho passeggiato a lungo per il Circo Massimo, un po' attonito e sempre più preoccupato per la deriva neo-neo fascista che questa cosa sta prendendo andando a raccogliere i brandelli di una destra vuota se senza nemici e di una Chiesa impaurita dal Papa e dal futuro.
Il colpo d'occhio della conca del Circo Massimo era notevole. Facevano bella figura, posizionati a metà dello spazio le falangi della destra sempre più organizzata, con le loro bandiere italiche e i manifesti con font runici. Poi, qui e là, c'erano tutti i movimenti fondamentalisti cattolici, qualche residuo di Comunione e Liberazione e alcune sigle inquietanti tipo Alleanza Cattolica a cui mancavano solo le croci uncinate. Poi dal palco è partita “Mamma son tanto felice” cantata dal vivo con musichetta così fascisteggiante che ti aspettavi fosse seguita da “Faccetta nera”, che molti dei presenti avrebbero di certo gradito.

Sono rimasto ammirato per la perfetta organizzazione. Truppe arrivate con pizza e mortazza dagli  oratori della cintura romana. Tanti bambini e gruppi parrocchiali, portati lì come truppe cammellate, perlopiù bloccati sui loro cellulari, poveracci (non per i cellulari). Moltissimo Veneto, impressionante davvero. Mi hanno profondamente indignato i gonfaloni regionali come quello della mia Liguria che chiarivano bene come per un 10% dei presenti quella lì fosse solo carne da voto a cui non dover rendere conto delle proprie abitudini sessuali e familiari ma solo da tranquillizzare contro nemici inesistenti. E mentre io giravo, loro urlavano forte “Questa è la vera piazza: le altre sono artificiali, create dai media.
Nell’aria risuonavano decise frasi come “Combatteremo fino all’ultimo!”, “Siamo qui a sguainare la spada di Chesterton!”; “Noi i figli li facciamo e per questo vinceremo! E la civiltà vincerà in Italia, e dall’Italia in tutta Europa”; “Chi tocca l’anima dei bambini instillandogli idee sessuali contro natura ne risponderà a Tribunale degli Innocenti”; “Difendiamo i nostri figli!” (senza mai chiarire bene da che o da chi, a parte che dalle loro paure); "L'Italia è sempre stata avanti nei diritti civili e ha depenalizzato l'omosessualità nel 1866" (Mussolini, si sa, ha mandato gli omosessuali ai campi di concetramento in pieno Medio Evo).

mercoledì 27 gennaio 2016

Vi anticipo il mio intervento di 180 secondi al RomaPuoiDirloForte

Oggi 28 gennaio, in Galleria Alberto Sordi sono invitato a portare la mia briciolina di idee al prossimo governo di Roma. Ho 180 secondi, sono pochissimi e sfidanti. L'iniziativa si chiama Roma puoi dirlo Forte! 
Questo intervento è stato costruito anche grazie a due giorni di crowdsourcing di idee sui social network. Strumenti come questi potrebbero supportare un’amministrazione capace di ascoltare.

Nel giorno in cui mi hanno invitato a intervenire, sotto il ponte della stazione Tuscolana sono apparse delle belle righe per delimitare la corsia riservata alla bici: le hanno fatte i cittadini. Andatele a vedere, sono meglio delle opere di Bansky. E' illegale farsi le righe? Possiamo discuterne... Perché i cittadini sanno cos’è la mobilità e se volessimo davvero risolvere il problema avrebbero mille contributi da dare.
Da qui la prima parola che porto alla vostra attenzione è MANUTENZIONE.

Amministrare una città significa fare Manutenzione, di tutto: delle infrastrutture materiali e immateriali, dei diritti, dei doveri, delle competenze, dell'organizzazione, della memoria. Manutenzione è rilevare i cambiamenti per un adeguamento tempestivo ad essi. La manutenzione fa funzionare il presente. È un obiettivo di minima, necessario, invocato dalle liste civiche, dai 5 Stelle, è il #torneràpulita di Storace, tutti sicuri che sia la risposta a chi ormai dalla politica non si aspetta niente di più.
La manutenzione da fare non ‘per’ i cittadini ma ‘con’ essi. Vediamo tutti come i Retaker stanno ridefinendo il concetto di cittadinanza attiva, i tanti gruppi efficaci nell’aiutare i migranti, che tengono aperte biblioteche o puliscono parchi. Non sono tappabuchi, sono cittadini impegnati e hanno molto da dire a chi sa ascoltare.

A me però un presente migliore non basta, voglio vivere in una città che guardi al futuro e credo che la politica abbia anche l’imperativo morale di sostenere INNOVAZIONE.
L’Innovazione non può essere imposta. Non si può dire a nessuno INNOVA!
Il Comune deve favorirla, semplificare la vita a chi la fa, liberare spazi per imprese e coworking, dare chance anche a chi ha fallito. Occorre coraggio, perché non ci può essere innovazione senza il fallimento. Occorre saper ascoltare per decidere. L’innovazione si fonda sulla diversità, è mettere a proprio agio i diversi, e questo deve essere un impegno di un Comune che guarda al mondo.

Da un punto di vista sistemico è interessante il modello della Cabina di Regia su Fondi EU della Regione. Il Comune è ora organismo intermedio per la gestione dei Fondi strutturali regionali, 260 milioni in 7 anni, occorre evitare i progettini e creare un ecosistema favorevole all’innovazione.
Ho chiesto all’assessore di Bologna come ha fatto a varare il Regolamento diPartecipazione per la Cura e la Rigenerazione dei Beni Comuni che ha ripensato i rapporti tra comune e cittadini attivi. Mi ha detto che la pressione dall’interno era tale che non poteva sottrarsi ad ascoltare l’esterno. Perché nessuna pressione 'da sotto' sarà ascoltata come quella dei dipendenti comunali che sono cittadini e sognano, riciclano, consumano, partecipano a social street, vanno in bici, hanno figli che non vogliono emigrare per trovare lavoro. ASCOLTO è dunque l’ultima parola che mi sta a cuore.

Se Roma sarà un bel posto dove vivere, nessuno la batterà come posto dove lavorare, viaggiare, ritornare… io vorrei che il medico mi dicesse che devo andare una volta all’anno a Parigi o Londra, invece quando invito gli amici qui rispondono “Sono già venuto 5 anni fa”.

Cosa sposta la prospettiva? I murales a Tor Marancia e a Furio Camillo. I festival del Cinema, le proiezioni a Via dei Fori, la Maker Faire, le mostre. E poi le persone e le imprese che si fidano del territorio perché il territorio si fida di loro, anche se non ancora della politica.

(Alla fine i secondi sono stati meno di 100 e il mio intervento è venuto fuori così )


lunedì 25 gennaio 2016

Quando 'partire' si coniuga al futuro imperfetto (caso 13)

Sabato pomeriggio c’è stata la festa per la partenza di Vittoria.
Vittoria ha 9 anni e va negli Stati Uniti, da qualche parte sulla costa Est. Abbiamo organizzato la festa per tutta la classe, perché i bambini si salutassero come si deve dopo tre anni passati assieme sui banchi.
È la terza compagna che lascia la classe in due anni perché i genitori in Italia non riuscivano a far quadrare i conti. Vittoria in USA ha dei parenti, il padre si lancia nella ristorazione, la casa si trova, l’azienda si apre in una settimana, se sei bravo i soldi sbucano fuori. E anche se non fosse esattamente così, occorre crederlo per trovare lo slancio.
All'età di 9 anni non vi è la cognizione del tempo e il ‘partire’ è solo un verbo della terza declinazione. Per i bambini gli Stati Uniti valgono Bologna o un quartiere qualsiasi della nostra grande città. Si salutano come ogni giorno perché è normale che gli amici si rivedano. Noi sappiamo che sarà difficile, se non impossibile però non glielo chiariamo, è come dirgli che Babbo Natale non passerà più.

Per un po’ circoleranno foto e auguri di buon compleanno, dalla prossima festa di Carnevale ci collegheremo via Skype e con un megaselfie. Forse tra un paio di anni Vittoria tornerà per le vacanze e andrà a fare un saluto agli ex compagni che stenteranno prima a riconoscerla, poi annulleranno in un attimo la distanza dei chilometri e degli anni di separazione, infine scopriranno come ci sia qualcosa di diverso se sei cresciuto di dieci centimetri e ti mancano esperienze condivise.
Intanto noi genitori guardiamo Pietro e Serena, i genitori di Vittoria, e ci immaginiamo nei loro panni perché in parte li vestiamo tutti i giorni. Vestiamo la stessa difficoltà a far quadrare i conti col presente, le ansie legate a decisioni importanti da prendere, le acrobazie nell’immaginare il futuro dei bambini al punto a volte da volerlo negare.

Mentre ci stringono le mani raccomandandosi di chiedergli l’amicizia su Facebook li accompagniamo col cuore, perché desideriamo come loro di rimanere e comprendiamo le ragioni del partire. 
Abbiamo forse qualche ragione in più per stare, qualche euro di più in tasca, qualche peso di più nella testa.

Però vogliamo davvero tutti che sulla East Coast ci sia almeno il sapore di quello che qui non potevano avere.


giovedì 21 gennaio 2016

Ettore Scola, quando presiedeva la Giuria di cui facevo parte alla Festa del Cinema di Roma

È stata senza ombra di dubbio una delle più sensazionali settimane della mia vita.
Il Comune aveva lanciato un bando pubblico per costituire la giuria del 1° Festa del Cinema di Roma. Si trattava di vedere e commentare 8 film. Partecipammo in più di 3000. Venimmo preselezionati in circa 300. A gruppi di 30 alla volta fummo convocati per un colloquio collettivo con giochi di ruolo.
Lì incontrai per la prima volta Ettore Scola. Ci accolse uno per uno, assistette curioso ai nostri tentativi impacciati di passare la selezione. Osservava e prendeva appunti con i suoi assistenti.
Poche settimane dopo ricevetti la notizia: ero tra i 50 prescelti.
All’epoca dirigevo un’azienda piuttosto grossa e rampante. Faticai abbastanza a ottenere una settimana di  ferie in novembre. Poi il circo ebbe inizio.

Ci muovevamo sempre in gruppo per 12 ore al giorno. Tre-quattro proiezioni, più le riunioni di giuria per stabilire i criteri e votare. Spesso raggiungevamo le conferenze stampa con gli attori, ci perdevamo in interminabili discussioni tra di noi. Sì, ogni accesso al mondo esterno era precluso, incluso giornalisti e familiari.
Ettore Scola era con noi, sempre col polso della situazione, carino quando poteva esserlo, fermo quando le ambizioni cinefile di qualcuno soverchiavano la logica o le regole della buona educazione. Indagava i nostri punti di vista e misurava curioso la distanza che ci separava, come generazioni, culture, punti di vista.
Ci furono due incidenti gravi in giuria (un piede e un braccio rotti), varie influenze anche serie (incluso io), ma nessuno mollava. I feriti ritornarono ingessati dopo poche ore all’ospedale e la Tachipirina scorreva a fiumi e giorno dopo giorno la convinzione di essere fortunati di sommava alla responsabilità dell’essere giusti e concentrati.

Gli aneddoti sarebbero mille, inclusa la cena notturna al Bioparco riservata alla giuria, dopo la visita alle tigri. Ricordo una bella discussione con Veltroni-cinefilo, l'incontro imbarazzato con la bella attrice francese che pochi minuti prima avevo visto sullo schermo in posizioni ginecologiche, l'orchestra di Santa Cecilia che suona il motivo di Star Wars, il silenzio di tutti quando in sala faceva buio. 

Dal giovedì pomeriggio cominciò a montare la tensione legata all’assegnazione dei premi. Lì fu chiaro che tra la maggioranza dei giurati e Scola c’era pochissima identità di vedute. E si discusse, allo sfinimento, fino a dover chiedere alla sicurezza di rimanere oltre l’orario di chiusura dell’Auditorium. Andammo a oltranza per ore. 

Solo la discussione per il premio alla Miglior Attrice trovò tutti concordi: erano tutte scarse e votammo la meno peggio in pochi minuti.

Di Scola porto con me un insegnamento di assertività e autorevolezza assieme che ho sempre presente quando devo gestire dei gruppi. Ancora ricordo la sua attenzione al risultato, rispettando ogni pensiero di noi pischelli, onorando allo stesso tempo la sua esperienza e l’incarico.  
Votammo dunque convinti lo Shakespeare in chiave  russa Izobrajaya Zhertvy di Kirill Serebrennikov (credo mai uscito in Italia) inventammo un premio speciale della Giuria a This Is England di Shane Meadows che uscì dopo molti anni e che trovò doppia giustizia nella bella serie prodotta in questi anni. Premiammo poi Giorgio Colangeli come miglior attore per L'aria Salata di Alessandro Angelini dando visibilità a un grande attore. 
Facemmo quello che nessuno di noi 50 avrebbe mai pensato di fare nella vita e lo facemmo, con sicurezza e passione, accompagnati da Ettore Scola.

martedì 12 gennaio 2016

Leggere senza genere né generi.

Il caso monta poco prima di natale dopo l’incauta affermazione del direttore della libreria La Feltrinelli di Bologna riassumibile in “Non leggo libri scritti da donne”.
Era comunque già da tempo che anche come autore mi confrontavo con le questioni di genere legate all’editoria.

Il mio romanzo tratta di un uomo lasciato da una donna all’improvviso. Di lei sappiamo poco. Forse si è stufata, dei due è la più coraggiosa, non ha un amante, e di lei non vi racconto molto altro perché mi interessa seguire la storia di lui, che è il protagonista.

Il manoscritto ha ricevuto per oltre due anni molti apprezzamenti dagli editor e simmetrici lapidari commenti dagli uffici marketing. 
Una sintesi delle risposte ricevute è:
  • Trovati un editore piccolo stavolta, perchè la narrativa è letta al 70% da donne, gli uomini rappresentano il 70% dei lettori di saggi e biografie. Sappilo. (per inciso, il libro va verso la seconda edizione, con soddisfazione mia e dell'editore che ha investito)
  • Tutti cercano in quello che leggono conferme e evasione, non si vuole essere messi in discussione. La storia di un uomo lasciato all’improvviso dalla moglie ‘solo’ perché lei è cambiata e lui no spaventa le lettrici che difficilmente accettano la sfida perchè hanno difficoltà nell'empatizzare sia con con lui che con lei. Passerebbe forse se l’autore fosse donna ma non uomo come te.
  • Questo vale anche al cinema: pensaci, sono pochi i film in cui lui rimane solo (tipicamente vedovo perché nessuna lascia Raul Bova o Alessandro Gassman) e poi comunque si rifà una vita con un’altra donna e non immaginando la vita in montagna con venti vacche  

Ero già dunque turbato da queste schematizzazioni quando il direttore di Feltrinelli Bologna ha detto la sua. Stufo marcio di semplificazioni, come immagino altri, ho fatto mente locale alla mia libreria e al mio passato da lettore.

Leggere, così come frequentare, le donne mi è sempre sembrato il modo migliore per avere un punto di vista non scontato né accondiscendente sulle mie azioni e sugli interrogativi che mi pongo.
Nell’adolescenza mi ha illuminato la narrativa giornalistica di Oriana Fallaci, il suo sguardo al mondo. Ciò è culminato con la scelta di portare “Un Uomo” alla maturità contro il volere della prof che si era illusa che i miei apprezzamenti per Svevo me lo facessero scegliere. Alice Sebold e il suo “Amabili resti” ha avuto un ruolo di forte ispirazione, direi di insegnamento, per il mio “Il Donatore”. Le “Memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar è dentro di me quando devo dare il senso a termini come ‘amore’, ‘bellezza’, ‘potenza’, o materializzare i rapporti tra generazioni.
Nel 1999 viaggiando da solo in Nuova Zelanda ho comprato un libro che pareva di discreto successo nelle librerie locali, mai visto in Italia. Mi fulminò per intelligenza, bellezza e gusto per la lingua. Tornato in Italia lo suggerii agli occhi più attenti e curiosi. Si trattava di “Harry Potter and the Philosopher’s Stone” di tale J.R.Rowling il cui sesso a quel tempo mi era sconosciuto.
In me c’è poi Amelie Nothomb e la sua “Metafisica dei tubi”, Jhumpa Lahiri e il suo “L’Omonimo”, e la Allende. In Italia adoro l’intelligenza di Valeria Parrella e la modernità di Michela Murgia.
E' poco, lo so. So di avere lacune infinite. 
Alcuni anni fa mi sono imposto di leggere i classici del ‘900 e ne ho provato soddisfazioni infinite. In questi giorni mi sono convinto che il 2016 diventerà l’anno in cui molte nuove autrici entreranno nei miei pensieri.   

Sono tra quelli che ancora i libri li compra, nuovi e di carta (perché è giusto, perché l’editoria deve vivere, perché sono feticista e altro). Visti i prezzi, sono dunque un po’ spiazzato davanti a un’offerta drogata dal marketing e dall’effetto Che Tempo Che Fa. Non ho dubbi nell’avvicinarmi alla Morrison o alla Munro, parecchi con altri autori e autrici.

Dopo questo impegno pubblico, accetto suggerimenti e opinioni in merito. Ne faccio tesoro e magari poi li giro al direttore della Feltrinelli di Bologna