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lunedì 24 ottobre 2016

L’Europa che ci circonda. L’Europa che vogliamo.

Torno da una settimana di formazione in Moldavia a 12 funzionari di diversi Ministeri sui temi della Progettazione Europea.
Mi hanno sfidato per 40 ore chiedendo sempre di più. Accorciavano le pause per il pranzo per rimettersi al lavoro, rimanevano tutti oltre l’orario di lezione per andarsene solo quando io – esausto – li invitavo a farlo. Volevano capire, cogliere l’occasione di uno spiraglio aperto su qualcosa che per loro è sinonimo di salvezza: l’Europa. Schiacciati e isolati tra Russia e Romania, i giovani moldavi vivono nel paese più povero d'Europa sospesi nell’incertezza della storia. Oltre il 25 per cento dei cittadini risiede all’estero e alimenta l’economia locale quasi al 30% del PIL.

Lì, in piedi a snocciolare slide e rafforzare competenze ho vissuto il parallelo con me stesso 25 anni fa al master di Europrogettazione che mi ha cambiato la vita: ero affamato come loro, tra i primi a masticare quei temi in Italia, certo di essere un privilegiato già solo a essere lì.
Questa docenza è arrivata poche settimane dopo la mia decisione di non andare – per la prima volta da 10 anni - agli Open Days 2016della DG Regio a Bruxelles, l’evento per eccellenza per chi si occupa di politiche per lo sviluppo locale, 250 seminari per 5000 persone in 4 giorni.
Non sono andato perché mi sembrava tempo perso. Ho letto più volte titoli e contenuti dei seminari in programma e nessuno mi ha convinto al punto di farmi prendere un aereo per essere lì.
Forse era prevedibile dalla piega presa dalla politiche. In poche parole la cosiddetta Strategia Europa 2020 è diventata quanto segue:
In Commissione Europea non abbiamo idea di come dare risposte a problemi e bisogni. Facciamo che voi ci fate delle proposte e noi in cambio magari vi diamo un po’ di soldi.
Noi Stati Membri abbiamo da giustificare la nostra esistenza, non certo abbiamo tempo per rispondere a bisogni reali
Noi Regioni ci pensiamo su e se qualcosa ci viene in mente vi facciamo sapere, intanto compilate qualche modulo per accreditarvi con logiche del secolo scorso.
Noi Università non siamo certo qui per dare risposte concrete, per chi ci avete preso!.
Noi Sindacati e Associazioni di Impresa dobbiamo prima capire chi siamo e a cosa serviamo nel 2016 poi magari ci si vede  
Noi Comuni teniamo botta: dai su, fateci delle proposte e magari poi se funzionano vi citiamo nei comunicati stampa quando le venderemo come nostre idee Smartissime.

Intanto milioni di persone da sole, in comunità, in community si sbattono per dare vere risposte alle sfide del secolo, dal lavoro all'invecchiamento, dai traporti all'agricoltura sostenibile, dall'energia alla resilienza 
Centinaia di imprese innovano per sopravvivere e intercettare i mercati nascenti dai bisogni

Le piattaforme agevolano tutto questo a basso costo economico ma alto in termini di cessione della privacy.

Ecco allora che mi si spiega bene un terzo fatto recente: ero a Potenza per un bell’evento volto a tirare creare il bello dopo aver compreso il brutto in cui siamo immersi, a ripensare una città e la sua vocazione.
Le istituzioni e politica sono stati solo informate per la loro conclamata inutilità, non gli si è chiesto soldi o patrocini, uniche cose a cui residualmente venivano chiamati. E… sono venuti in forze. Perché? Hanno capito che rischiano di essere ormai considerati meno che accessori utili a scaldare le prime file. Il distacco tra istituzioni e realtà è vissuto dai territori ormai con rassegnazione.
Servizi per l’impiego, servizi di cura, culturali, assistenziali, si sviluppano fuori dalla politica e dalle istituzioni: questa è una grande novità, con i suoi aspetti positivi e negativi.

Sempre più iniziative e progetti neppure chiedono i soldi rispondendo ai bandi di gara (della Regione, lo Stato, la UE)  perché non ci si fida, perché sono processi troppo lenti, perché i soldi finiscono sempre agli stessi, perché la burocrazia è vessatoria verso chi non ne fa una professione.
A me questo scenario mette i brividi. Ad un politico o a dipendente pubblico dovrebbe dare incubi.

Ecco che tanta nuova Europa prende forma dal basso con legami tra gruppi di interesse che esprimono sempre meno rappresentanti, che credono sempre meno nella rappresentanza e sempre più nella responsabilità.
Sono movimenti che hanno passato lo stati embrionale e coinvolgono centinaia di persone. Il loro destino può portare grosse novità positive ma anche essere spazzato via dal colpo di tosse di un Orban o di una May qualsiasi.

Più passano gli anni e più mi sento responsabile per quello che posso fare (e colpevole per quello che non faccio) nel costruire questa Europa, unica soluzione di pace, unico percorso possibile per l'inclusione di chi è ultimo oggi e di chi potrebbe esserlo domani.