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sabato 22 agosto 2020

Evidenze utili dal pianeta Austria

Le mie vacanze in Austria, all’apparenza pigre e paciose, portano sempre a considerazioni che sono utili per capire l’Italia. 

Gli highlight del 2020 sono stati:

  • Ricchezza: la vedi, la percepisci, traspare da gesti, abbigliamento, negozi, status simbol, superfluo che diventa necessario. È diffusa, al punto che qui la sinistra non esiste quasi perché non saprebbe davvero cosa rivendicare di più; il massimo che si possono permettere sono i Verdi. Il welfare è incredibile, così come i contributi alle famiglie. L’occupazione è quasi piena e la povertà la vedi quasi solo in relazione al disagio esistenziale (solitudine, separazioni, alcool e simili). La corsa al bio, all’organic, al tofu, al naturale è spasmodica e quasi ridicola; circolano bici elettriche da 4000 euro ovunque; Porche e Tesla come taxi in città; sensazione massima di sicurezza e tranquillità sempre. Nessuno però metterebbe un vestito di seconda mano, accetterebbe un prodotto usato (a meno che non sia una borsa fighissima, fatta con teloni di camion riusati e costi almeno 250 euro). L’evasione fiscale è quasi inesistente.  Certo, hanno i loro scandali finanziari, sessuali, aziendali ma ancora se ne vergognano se vengono beccati, come accadeva da noi prima di Berlusconi.   
  • Arredo urbano: le città sono facili, comode. Le persone sono rispettose del bene comune e questo consente arredi urbani bellissimi, panchine in legno, fontane di acqua fredda, nebulizzatori dall’alto nelle piazze più frequentate e più calde, un’infinità di spazi pubblici per il gioco e lo sport ad ogni età. Ci sono talmente tante ciclabili che immagini che qui Cappuccetto Rosso avrebbe attraversato il bosco in monopattino.
  • Croci: a bordo strada, sulle statali, ogni tanto trovi piantata una smagliante croce bianca. Ho pensato fosse qualcosa di analogo a quanto (abusivamente) si fa in Italia per ricordare qualcuno che in quel tratto è morto. No. È invece una nuova campagna per la sicurezza stradale che parla visivamente e sembra dirti “Ricordati che devi morire… e se non rallenti potrebbe capitare proprio qui”. Creatività e potere di condizionamento.
  • Semafori LGBT: a Vienna, in centro, alcune decine di semafori pedonali sono stati modificati e al posto dell’omino stilizzato abituale in questi casi si trovano: donne, coppie etero, coppie omo nelle versioni uomo-uomo e donna-donna. Mi è stato detto che fu fatto in occasione della finale Eurovision di alcuni anni fa. Poi, gradito dalla popolazione, è rimasto. Simpatico e simbolico.
  • Comunicazione:  vivono abbastanza in una bolla a cui sono stati abituati negli anni della Cortina di Ferro e che gli viene ancora bene per tenere fuori ogni elemento sgradito e dialogare solo con chi vogliono, con chi reputano pari o con chi pagano per i suoi servizi. L’altro giorno tra le 3 notizie date da un canale radio nazionale c’era “La famiglia Fritz ha trovato in cantina un serpente non velenoso lungo 20 centimetri”. Credo si colleghi direttamente al loro benessere: stanno benissimo e non vogliono sapere perché.
  • Covid19: sono disinteressati al tema. È quasi imbarazzante. Annunci roboanti su esercito alla frontiera col mondo e poi i loro numeri sono peggiori degli altri. La cosa interessante è che (a differenza dell’Italia) la comunicazione è tutta schierata a sottovalutare la cosa. Ad esempio: il numero dei casi oggi a Vienna è il triplo di Milano ma non li mettono mai in relazione; sono molto meno attenti a mascherine e simili appena si esce dalle città; da noi ogni giorno si pubblicano i dati per regione, per ASL, per tipologia… qui niente, solo un dato generale in un occhiello a pagina 6 senza confronti.
  • Psicofarmaci e Mastiti: le statistiche ufficiali legate al Covid19 riportano che nelle case di riposo è stato ridotto del 30% l’uso degli psicofarmaci da quando sono vietate le visite dei parenti; le stesse statistiche dicono che è andato a 0 il numero delle mastiti nei reparti ospedalieri da quando è stato vietato la visita alle donne che hanno appena partorito da parte di parenti e amici. Dati su cui riflettere.
  • Red Bull: cosa c’entra? Vi dico una cosa che non sapete: Mateschitz, il padrone della Red Bull è anche padrone di mezza Stiria e di tanta Austria e Germania. Un personaggio da profilo basso. Oltre all’azienda del toro rosso possiede montagne, laghi, autodromi, riviste nazionali, squadre di calcio in mezzo mondo, isole ai Caraibi, ristoranti di lusso. Un plurimiliardario ritenuto illuminato che proietta su un paio di generazioni austriache l’immagine Red Bull di una vita energizzata, edonsta, spensierata e facile.  Se glielo faccio notare, dai loro sguardi capisci che non si rendono conto di come i Mateschitz siano pericolosi, in un paese così piccolo hai la sensazione che possa diventare un vero ‘governo-ombra’.
  • Italia: ci vogliono bene, molti imparano la nostra lingua. È sempre un calore bello che mi fa anche sentire un po’ in colpa perché dopo tanti anni il mio tedesco è ancora piuttosto basico. In questi giorni, sono passati da “Vacanza in Croazia!” a “Tutti in Italia perché la Croazia ci ha raccontato bugie sul virus!”.
  • Alpeggi: anche qui però in molti sono rimasti a far vacanza in zona. Cosa c'è di meglio che andare in montagna e dormire in alpeggio? Uno dei temi caldissimi è stato quello delel famigliole con i completi firmati da 2000 euro, le bici da 4000 e i bastoncini da passeggio in carbonio che hanno invaso le valli sfraccicanden i cabbasisen a malgari e montanari che si sono assai arrabbiati: le mucche non gradiscono, i cani di città fanno casino nei pascoli, ... tornate a casa vostra insomma! 
  • Qualità della vita altissima: oltre la metà delle persone incontrate a Vienna non possiede auto di proprietà perchè in città non serve; una coppia di amici che si è trasferita lì 3 anni fa dopo 27 anni a Roma conferma “La qualità della vita è altissima, tutto funziona, tutto è semplice.” Passo e chiudo.

lunedì 10 agosto 2020

Potevo essere un guru

Sono tempi difficili dove non mancano le domande importanti: che lavoro faremo tra sei mesi? Come riusciremo a studiare? Come si comporteranno i miei clienti? Come superare la  paura? Come posso ottenere il successo che merito se devo rimanere chiuso nella mia cameretta inflebato in una fibra ottica? Quali sono le chiavi di accesso ai pensieri di mio figlio teenager? Come faccio a pubblicare il mio nuovo successo? Cosa manca al mio CV? E così via…

Quando il mercato è saturo di domande quello che non manca mai sono i risponditori. Non tutti sono allo stesso livello. Tra loro, per selezione naturale emergono i nuovi guru.

Operano via Zoom, via ebook, su Youtube. Alcuni esistono da tempo, facevano conferenze costosissime a manager e disorientati vari, altri sfornavano libri sulle aquile che non vogliono essere polli, sul pensiero divergente, sulla seduzione comportamentale, sulla pranoterapesi neurostilistica applicata al team building, sull’intelligenza emotiva della danza sufi. Tra di loro monta una coorte sempre più affollata di personaggi sorridenti che si assegnano etichette di motivatori, mentori, coach, spinn doctor, evangelisti digitali, montemagni, ispiratori, tutti con le risposte giuste.

Meno male che esistono. Alcuni di questi guru sono bravissimi, li ammiro e li osservo in azione per ore come faccio con gli stand up comedians, i predicatori e i fenicotteri rosa. Danno risposte chiare e confortanti. Puoi quasi sceglierle da un catalogo: eccoti serviti “5 modi per chiedere un aumento”,  “4 cose da fare per affrontare il lunedì”, “Fare un superbusiness plan in 10 passi”, “I 3 segreti del funnel marketing che ti cambieranno la vita”, “Lo Yoga della risata per dare il meglio di te”, “Il vero te che è in te anche se”, “Vendere è come respirare”. Sono ansiolitici per vocazione e già per questo fanno un grande servizio all’umanità.

Eccoli in azione: prendono la scena con un bel “Sarà capitato anche a voi…”, ci ficcano un aneddoto che riguarda la loro vita passata “…anche io quando ero ancora un pirla…” che li avvicina a tutti  noi, poi ecco “però quella volta è stato diverso perché …” e arriva la folgorazione di come hanno superato l’ostacolo, “e dunque…” sono lì per rendervi edotti dell’illuminazione toccata proprio a loro e che cambierà la vostra vita perché ha cambiato anche la loro. “Perché voi valete”. Grazie. Applausi.

Non si può fare troppa ironia sui guru. Loro hanno il senso dell’umorismo, meno però i loro seguaci. Senti subito il gelo, come capita a volte quando tocchi in pubblico stravaganze come la religione o gli oroscopi. Quando ci ho provato in aula ho capito che metà dei presenti aveva sborsato il prezzo di un volo aereo per Parigi solo per ascoltarli in una grande sala sulla Via Nomentana e senza buffet all’uscita.

Questi guru moderni sanno dare le risposte giuste per lunghezza e complessità, genericamente vere e comode, motivanti e poco responsabilizzanti, che suonano come perle di saggezza e pregne di vision, ponendoti nel giusto e non lontano dalla meta.

Sono dei fuoriclasse nell’elencare Cosa fare e Come farlo, e svicolare dai Perché.

(Quasi ogni anno mi capita di scrivere un pezzo 'intimo' in agosto. Una valvola di sfogo. Lo vorrei evitare ma ecco che arriva da qui in poi.)

Confesso che il perché è l’unica cosa che mi interessa davvero in quello che faccio (e in quello che fanno o non fanno gli altri). E mi stupisco ancora l’interesse di pochi sui perché.  I Perché sono scomodi e spesso non pagano. Però avere chiarezza sui Perché azzera i rimpianti; non averne, genera i rimorsi.

Potevo essere un guro. Io lo so. Ho una buona favella, una vasta cultura generale, se lo desidero so pure ascoltare, riesco a produrre una visione laterale di qualsiasi cosa, so stupire con poco, avrei anche i giusti tempi scenici. Però.

Però mi annoierei a morte a dare risposte di buon senso. Preferisco stare dalla parte delle domande. Rinuncio ai consigli per vite che non comprenderei mai a fondo perché non ho i loro occhi e quello che coglierei non è dunque reale.

Saprei dire a 1000 persone cosa dovrebbero fare per avere successo e per 800 almeno suonerà sensato e applicabile, però mi vergognerei per aver servito una pietanza da fast food; se tentassi di sciogliere per loro il nodo del perché debbano aver successo servirebbero ore per ciascuno, prenderei molti vaffa’ e mi mancherebbe almeno una laurea in Psicologia.

Lo ammetto, quando insegno per alleggerire la pressione e prendere fiato a volte ci infilo anche io i “7 passi per…” e mentre li elenco mi annoio come se contassi le formiche in fila sul muro. Però quello su cui mi incaponisco è dare spazio a “Perché qualcuno dovrebbe sceglierti? Farti lavorare? Passare del tempo con te? Acquistare un tuo servizio?” Domande che pongo anche a me stesso, diverse volte la settimana, e le cui risposte, sempre approssimative, si formano costruendo la strada da percorrere.

La guraggine funziona se riesci a spacciare per vero belle parole come “Tutti ce la possono fare”, “Se ti impegni, i risultati verranno”, “E’ ovvio che ti meriti l’aumento!”, “Gli ostacoli sono grandi opportunità” e altre sciocchezze simili che agli occhi di una persona razionale cessano di essere vere già durante le scuole elementari. Però è bello ascoltarle da anche adulti, circondati da altri adulti e poter così credere ancora alle favole. Per il guru è facile dirle specchiandosi nelle aspettative di chi ha davanti, serve solo un po’ di esercizio, preparazione, un grande ego e la capacità di non dire nulla di indigesto.

Io li riconosco subito quelli che non si meritano nessun aumento, che stanno per andare a sbattere perché neppure vedono gli ostacoli, o quelli che della vita vorrebbero solo la panna e che tu manovrassi pure il loro cucchiaino, quelli che sono finiti sul binario sbagliato, quelli che non hanno avuto fortuna, e non ho né la forza né la capacità per influire davvero nelle loro vite, soprattutto se non si chiedono perché questo dovrebbero farlo accadere.

Io li vedo come li vede qualsiasi guru. A dare però rispostine ansiolitiche non ci sto. A dirgli che va tutto bene lascio che siano i film americani e gli hashtag pandemici.

 

lunedì 15 giugno 2020

7 Consigli ai formatori ‘tradizionali’ che vanno online


L’anno scorso ho fatto almeno 60 giornate d’aula con adulti in presenza. A febbraio ero già a quota 15. Poi ecco il Covid e la mia agenda si svuota da marzo a settembre in un colpo solo. Quelli sono stati i giorni più difficili da interpretare, stratificati di paure e incertezze.
Ecco che alcuni corsi si piantano dove sono. Molti sono cancellati. Alcuni - i primi - osano lo sbarco online. Mi si propone da subito lo IED di Venezia, il Master della Link, il Living Lab del Comune di Sassari, ad esempio.

Poi, in aprile, la pressione dell’utenza e degli enti di formazione fa saltare la regola che obbliga la formazione finanziata dal Fondo Sociale Europeo alla presenza. Tutto riparte in pochi giorni solo in webinar. È urgente formare storyteller digitali, progettisti, agenti di sviluppo, manager. Ovunque. Le telefonate tipiche che ricevo sono “Vorremmo chiederle uno dei suoi moduli formativi sul tema XY. Mi spiace dirlo ma senza il virus non avremmo mai potuto permetterci un docente da Roma.

Di colpo ecco Bolzano, Udine, Perugia, Cagliari, Reggio Calabria, Trieste. Un ottovolante in una stanza. Per settimane è stato un intenso mettere a punto, argomentare, tentare, sbagliare, ascoltare, ritentare, raccogliere. Dopo due mesi mi lancio nel razionalizzare quello che ho fin qui imparato:

  1. Ripensare l’obiettivo formativo: è stata la mia bussola. Mi sono chiesto ogni giorno “Perché qualcuno deve rinunciare a ore della sua vita per seguirmi davanti a uno schermo nella sua camera mentre intorno il mondo cade a pezzi?”. Che le prime studentesse, a marzo, mi perdonino, gli insegnavo a progettare la promozione di un territorio quando – impauriti - neppure potevamo uscire di casa. Imparavo facendo, evadevo insegnando. “Mi seguiranno solo  se gli servo, nel breve, oggi”, ho deciso che dovesse essere. L’utilità è la motivazione più forte on line, la teoria viene dopo, la suspense lì è difficile da creare, la teatralità vacilla. Occorrono praticità, esempi, scorciatoie sinaptiche che spazzino come fulmini nel buio. E dunque tante storie che spingano all’azione, smontino pregiudizi, attivino e educhino.
  2. Progettare l'Empatia: il primo mese è stata una prova per docenti e studenti. Dopo un po’ è stato chiaro a tutti che non poter stare assieme portava a dover costruire empatia dentro il webinar però nessuno è a suo agio a dichiarare il propri obiettivi a una webcam, quasi tutti lo fanno volentieri al coffe break. Ecco allora come il fare domande, raccontare e dar spazio a racconti, talvolta alla battuta, serviva a tutti. Anche se i presenti erano tanti, chiedere e stimolare risposte in chat diventava il filo che ci rendeva reali. Ho notato poi un cambiamento anche nei corsisti e da inizio maggio qualsiasi cosa chiedessi, in breve la ricevevo. “Mandatemi un progetto per la prossima volta”, “Girate un video di un minuto” o altro tutto era fatto con slancio nel minore del tempo. I ‘compiti’ diventavano necessari testimoni del contatto.
  3. Sincrono e asincrono: siamo partiti col sincrono. È la cosa che noi vecchi formatori sappiamo fare meglio e  quella che presuppone meno preparazione, anche perché c’era fretta e nessuno ci pagava il ripensamento dei modelli. Piano piano abbiamo adattato le slide. Poi creato i quiz. Girato piccoli video. Poi gestito piccoli word café in sottogruppi. Oggi la video chiamata comincia ad andarmi stretta. Voglio dare di più perché gli studenti vogliono di più. Dobbiamo studiare (indovina cosa sperimenterò quest’estate?) perché – ad esempio- la vera FAD con l’integrazione a Moodle o simili diventi la regola.  
  4. Organizzare un Backoffice: è importantissimo quando vi rivolgere a tante persone. Diciamo se sono più di una dozzina non puoi avere il polso del gruppo tramite un video. Serve un assistente attento che raccolga le domande, lanci i quiz, suggerisca dei link, ti faccia presente se le slide non si vedono o l’audio saltella. Un buon backoffice consente al docente di rimanere concentrato e diventa il suo sesto senso. È l’equivalente funzionale del tutor d’aula (che però nelle aule vere è spesso inesistente)
  5. Curare la posizione. Non voglio parlare di sfondi e scenografie, ciascuno la pensa differentemente e penso solo che devono 'vestirti' come desideri. Mi fa piacere però raccontare come con i webinar di Digital Generation abbia iniziato a intervenire da in piedi. All’inizio non ero sicuro poi l’ho trovato ovvio! Il pc posizionato in cima al portaCD e tutta  la libertà di muovermi, usare al meglio il diaframma, far cadere le spalle per liberare il respiro, ossigenare tutto e moltiplicare le sinapsi accese. D’altronde in aula sto sempre in piedi. Ormai quando devo insegnare per non più di 2-3 ore on line, sto in piedi. Tutto (soprattutto il cervello) funziona meglio.
  6. Battere il tempo: Ogni 15-20 minuti occorre cercare e creare il contatto. (anche solo per verificare che la linea non sia caduta ). Sono pochi quelli che si lanciano e interrompono, spesso anche le chat sono poco frequentate per cui occorre tirare fuori le osservazioni, anche col gioco.
  7. To be continued…: il momento peggiore per me è la fine, quando ritorni nella tua cameretta con la funzione inversa al teletrasporto che interrompe il collegamento. Mai come online mi viene naturale dire “ritroviamoci su Linkedin, scrivetemi nel gruppo, questa è la mia mail,” diventano tutti prolungamenti basati sulla conoscenza e la fiducia che nascono in lezione e misurano la tua capacità di essere stato utile e dunque la reputazione di cui potrai godere. Non vedo l’ora di incontravi di persona.


venerdì 8 maggio 2020

Le ragioni (degli altri) per tornare presto in Italia


 Il giornalista Tim Jepson su The Telegraph ci ha dedicato pochi giorni fa un lungo articolo su: “20 Ragioni per tornare in Italia quando sarà finalmente finita”.
L’articolo è molto ricco di spunti, con sprazzi di humor, e interessantissima è la classifica del giornalista che – a mio avviso – stravolge molti dei luoghi comuni sull’idea che abbiamo di noi stessi e su quella che hanno gli altri, gli inglesi nel caso, ma si potrebbe estendere per cuginanza anche a americani e scandinavi).

Alcune testate italiane lo hanno ripreso e, per classica pigrizia, si sono fermate alle prime posizioni. Senza commento. Io penso che le ultime siano anche più importanti.
Va preso come il punto di vista di un attento osservatore che ha vissuto a lungo in Italia. Un utile confronto, anche sfacciato, per chi si occupa di sviluppo e cerca di capire in quale direzione andare.

Mi permetto dunque di ribaltare l’articolo partendo dal 20-esimo posto in classifica. 
Dopo ogni ragione, riporto tradotte alcune parole di accompagnamento dall’articolo originale. Segue poi un mio breve commento in corsivo:

20. Toscana
Tutto ciò che serve a fare una bella vita è qui: città eleganti  e città piene di arte e cultura - Firenze, Siena e Lucca e gemme più piccole come Pienza, Sovana e Cortona; cibo delizioso; ottimo vino; e panorami incantevoli.
Sì, la Toscana rimane un cliché che ricorda il fiasco di vimini i filari di cipressi, la bellezza e l’eleganza. L'inglese Chiantishire. È l’unica regione italiana con un vero Brand internazionale costruito in un altro secolo su bisogni però evidentemente ancora attuali come l'eleganza, il silenzio, il panorama. Altre ci provano molto  distanziate, gettando soldi, perché si muovono con strategie  alla rinfusa con progetti deboli e campanilistici.

19. Le antichità
Altri paesi possono rivendicare rovine romane - un anfiteatro qui, le mura di Adriano lì - e la Grecia non ha carenza di monumenti per il suo antico passato. Ma l'Italia ha le rovine greche - in particolare i templi e i teatri siciliani di 2000 anni fa – e i resti di 1.000 anni di storia romana.
Niente da dire, tranne che il mondo antico finito è al 19-esimo posto… forse non siamo tanto bravi a renderle più interessanti?

18. Arte diffusa
In Italia, più di qualsiasi altro paese europeo, l'arte straordinaria si trova ancora nei suoi luoghi originali. La Cappella Sistina e l'Ultima Cena di Leonardo sono gli esempi più famosi, ma che dire della Basilica di San Francesco ad Assisi, dove Giotto, Cimabue e Simone Martini hanno cambiato la direzione dell'arte occidentale?
Niente da dire anche qui, le città d’arte sono al 18-esimo posto tra le ragioni… Non diciamo sempre che gli stranieri amano le città d’arte? O forse lì ci vanno perché nelle città d’arte c’è altro di interessante, come spazi alla qualità della vita, al sogno? Si parla di Turismo Culturale a scatola chiusa, cosa c'è dentro? Forse poca cultura classicamente intesa e tanta voglia di essere protagonisti della propria fiaba a cui trovare scenografie ideali e iconiche. 

17. Molti Musei
L'Italia ha molte gallerie d'arte di livello mondiale - Uffizi a Firenze, Accademia a Venezia, Brera a Milano e collezioni Vaticane a Roma. In città apparentemente modeste ci sono opere che sarebbero delle stelle altrove. La Galleria Nazionale di Perugia, ad esempio, è ricca di opere umbre; o Carrara a Bergamo; Palazzo Ducale di Urbino; Galleria Regionale di Palermo, Pinacoteca di Siena; Museo Civico di Vicenza e altro.
Finiti sono al 17-esimo posto… questo ultimi tre suonano come campanelli d’allarme nella mia testa. Arte, musei, belli sì, ma sullo sfondo delle vere ragioni per venire in Italia. Perché il signore inglese è ignorante? O disattento? O perché è solo umano e contemporaneo e non si vergogna a scrivere quello che gli italiani si vergognano a dire? Negli ultimi due anni, a Roma, ho sempre camminato in musei vuoti ad ogni giorno (tolti Colosseo e Vaticani dove ti tocca andare per timbrare il cartellino di turista)

16. Gemme costiere
L'Italia non è ovunque superlativa. Le spiagge, ad esempio - tranne in Sardegna - non sono tra le migliori. Ma c'è una bellissima costa. Amalfi e le Cinque Terre sono le più conosciute ma ci sono alternative più tranquille ma quasi altrettanto belle, specialmente al sud. In Puglia, fai del Gargano e del Salento, e in Campania, nel Cilento, sacchi selvaggi e rocciosi disseminati di splendidi villaggi.
Un’altra discreta freccia all’italico orgoglio. Mentre tra di noi ci beiamo piantando ovunque tronfie bandiere blu come a Risiko non capiamo che la competizione è internazionale, le nostre offerte sono spesso mediocri per pulizia, acqua, servizi. Surclassate da Grecia, Turchia e Croazia – solo per star vicini. Portogallo, Tunisia, per dire altri. Che le Canarie straccino la Sicilia non è un gran onore.    

15. Le isole minori
La terraferma italiana è un mosaico di paesaggi che rende facile trascurare le isole. Non ovvie come Capri, più come le Isole Tremiti della Puglia, poco note. E Ponza, o Capraia ed Elba; e le isole Eolie ed Egadi - Lipari e Marettimo in particolare - al largo della costa siciliana.
Un patrimonio da valorizzare, misconosciuto anche agli italiani, che gli stranieri apprezzano. Più dei Musei e l'arte, per dire…

14. Venezia
Il mondo sarebbe un posto molto più povero senza Roma o Firenze, ma un mondo senza Venezia? È  una città problematica, ma puoi sfuggire agli elementi più disturbanti. Venezia usa incantesimi tutto l'anno, visitala in inverno; cammina fino alla periferia, lontano da San Marco, e trascorri qui una settimana, più se puoi, per scoprire la sensazione di una città che vive al di là delle cartoline.
Una Venezia luci e ombre. Vi dico già che è l’unica città citata in classifica, no Roma, né Firenze. Che occorra forse puntare più sulle risposte che un luogo è in grado di dare invece che sul catalogo di monumenti, palazzi e musei?
Quello che cerchiamo a venezia è il silenzio, spesso incubatore dell'amore, il resto è turismo di massa.

13. Architettura
Hai bisogno di più vite per godere lo straordinario patrimonio dell'architettura italiana. Ogni città in Italia ha tesori: chiese romane, gotiche o barocche; un monastero; Monumenti romani o etruschi; piazze medievali; un palazzo rinascimentale.
Grazie, verrebbe da dire. Architettura in quanto tale. Una parola chiara e semplice. Potremmo magari provare a raccontarla come luogo del lavoro, della vita, dell’anima, dei ricordi. Ci aiuterebbe forse anche a migliorarla e a sentirla come uno strumento che genera felicità.

12. La Moda
Come tutti, gli italiani indossano  abbigliamento per il tempo libero a buon mercato e gli standard di moda non sono come quelli di Armani, Valentino, Prada, Versace, Schiaparelli, Pucci, Gucci, Fendi, Ferragamo e molti altri. Puoi acquistare i grandi nomi a Milano, Firenze e altre grandi città, senza  trascurare i centri più piccoli come Como per la seta, Biella per il cashmere e Cogne per il pizzo.
Bello che il Made in Italy irrompa, quasi come arte pop contemporanea tra le ragioni per venire da noi. Valorizziamolo portandolo a sistema! Un buon esempio è la Motor Valley dell’Emilia Romagna


11. Le Montagne
Molti paesi hanno montagne, ma solo l'Italia ha le Dolomiti, le più incredibili  d'Europa. E solo l'Italia ha l'Etna, il vulcano più alto e più attivo d'Europa, e non una ma due grandi catene montuose: le Alpi e la lunga spina dorsale centrale dell'Appennino, con lupi e orsi e vedute che spaziano dalle Alpi Apuane seghettate in Toscana nella vasta regione selvaggia dell'Abruzzo.
Quindi montagne citate, mare e spiagge no. Forse l’autore è la classica mozzarella che preferisce le vette però, in tempo di postCovid la solitudine dei sentieri batte la caciara delle spiagge tre a zero. Facciamoci magari una pensata su…

10. La setta del caffè
Oggi possiamo comprare lattes, caffè espresso, macchiato e cappuccino ovunque nel mondo. Sono parole e bevande che vengono dall'Italia. In ogni bar italiano trovi un caffè incredibile, da sempre, da molto prima dell'arrivo di Starbucks. Lasciati coccolare dal rituale dell’esperienza italiana - in piedi al bar, non seduto, per esempio; o al vetro; e non bere mai il cappuccino dopo mezzogiorno ...
Bologna è da poco entrata in alcuni itinerari sull’asse Venezia-Firenze-Roma. Quando chiedo ai turisti americani che città abbiano preferito si illuminano “Bologna! It’s the best. You can walk easily, sit for a coffe watching people and having a wonderful aperitivo in the evening”. Ecco, giusto per dare un’occhiata più vicino alla piramide dei bisogni di Maslow.

9. Buon bere
Nessuno pretende che il vino italiano sia il migliore al mondo, anche se negli ultimi anni sono emersi nuovi produttori e numerosi vini innovativi. I vecchi nomi sono stati rivitalizzati (Chianti, Valpolicella, Soave) e si sono uniti a vino molto rispettati (Barolo, Barbaresco, Brunello). La Sicilia è una potenza emergente, così come la Franciacorte in Lombardia e Bolgheri sulla costa toscana. Se il vino non è piacevole, ci sono bevande alcoliche come grappa, Cinzano, Campari, limoncello, Sambuca - e alcuni famosi cocktail (Negroni, Bellini).
Equilibrato quadro che evita stupidi confronti con i fantastici francesi e i magnifici cileni o australiani ma va dritto alla nostra infinita varietà. Poi, rispetto a casa loro, qui da noi il rapporto qualità/prezzo non ha eguali.

8. Cucina di classe mondiale
Non francese, non elegante, ma in qualche modo perfetto: il cibo italiano è salutare; gli ingredienti - carne, pesce, frutta, verdura - freschi; la qualità è di prima classe; ci sono grandi variazioni regionali e la cottura è veloce e semplice.
Chiaro? Anche qui lasciamo perdere panzane non misurabili come “La migliore del mondo”. Piacciamo per salubrità, ingredienti, facilità. Siamo grandi, un ottomila, assieme a una manciata di altri.

7. Opera
L’Opera è italiana, così come la maggior parte dei grandi compositori: Verdi, Rossini, Puccini, Monteverdi, Bellini, Donizetti. L'Italia ha anche due dei teatri lirici più famosi al mondo - La Scala e La Fenice - e bellissimi teatri si trovano anche a Bologna, Palermo, Treviso, Prato e Ferrara.
Settima ragione per tornare da noi, magari una ragione in più per farla ripartire e portarci pure gli italiani in questa estate post-Covid

6. Attrazione sui laghi
Poeti e pittori hanno celebrato il Lago italiano per secoli, e non c'è da meravigliarsi, perché rappresentano alcuni dei panorami più belli d'Europa. Giardini lussuosi e splendidi villaggi adornano le loro spiagge con clima mite, con pendii boscosi e Alpi innevate sullo sfondo. Maggiore e Garda sono i più visitati, i più belli di Como; Iseo e Orta sono i più calmi.
Gli inglesi amano molto i laghi, non dimentichiamolo. Forse noi li amiamo ancora troppo poco.

5. Una bellissima lingua
Tutto suona meglio in Italiano. È  il linguaggio dell'amore, della musica e nulla si avvicina se vuoi sapere qualcosa. Anche se capisci a malapena una parola, le chiacchiere in qualsiasi contesto sono un altro promemoria che ti trovi in ​​un paese piacevole. E a differenza di altri paesi – come la Francia - gli italiani sono contenti che tu abbia provato, per quanto in modo terribile, a parlare la loro lingua.
Un asset fantastico e polveroso. Poche iniziative davvero contemporanee che escano dal coro e diano valore (e creino fatturato) a partire da cosa abbiamo sulla punta della lingua.

4. Attività all'aperto
Comprensori sciistici di livello mondiale. Puoi andare in canoa, vela, kayak e immersioni. O coccolarsi a piedi, e andare in bicicletta in Toscana e in Umbria o trekking e circuiti di più giorni su percorsi a lunga distanza nelle Alpi e nelle aree circostanti. E che dire del parapendio in Umbria, del rafting in Calabria o del monitoraggio dei lupi in Abruzzo?
Eccoci con le Esperienze. Ben piazzate. Non tradizionali. All'aperto e dunque perfette per il distanziamento e per l'ossigenazione. Da sviluppare ORA e vendere per un turismo destagionalizzato, lento e sostenibile.

3. Borghi storici
La Toscana e l'Umbria ce l'hanno in abbondanza, ma ogni regione ha le sue: i miei favoriti includono Sulmona in Italia Abruzzo; Enna, Erice e Noto in Sicilia; Matera in Basilicata; Tropea di Calabria; Ostuni in Puglia; Ascoli Piceni nelle Marche; Ravenna di Emilia-Romagna; Camogli in Liguria. L'elenco è lungo ...
Siamo al podio! E con una bella carta da giocare. Moltissimo potenziale per soddisfare i bisogni dei clienti e dei territori. Far rivivere i borghi significa sviluppo, stop all’emigrazione, attrazione di talenti (soprattutto se anche lì fai arrivare la fibra ottica)  

2. Giardini gloriosi
I giardini sono ovunque in Italia, dalle ville venete e del lago Italia a nord agli uliveti ombreggiati in Toscana e al cortile siciliano profumato al limone a sud. I favoriti personali includono Ninf, a sud di Roma; Hanbury vicino a Ventimiglia; Villa Carlotta sul lago di Como; La Mortella ad Ischia; e i pittoreschi e bellissimi Giardini dei Tarocchi nel nord del Lazio.
Con un bel colpo di scena i giardini prendono l'argento! E' una scelta molto british e poco considerata quando ci immaginiamo attrattivi e memorabili. I giardini storici hanno un gran potenziale dopo 3 mesi di lockdown con la vista ridotta ai gerani sul davanzale.
Giardini da agire dunque, per imparare, per godere di spazi e luce. Per piacere.

1. Gli Italiani
Non puoi amare un paese se non ami la sua gente. Sappiamo anche che gli italiani spesso si vedono principalmente come toscani o siciliani, diciamo, o veneziani o napoletani, piuttosto che italiani. Ma sono sempre gli stessi: realisti, cinici; passionali e rumorosi, ma anche formali e conservatori; pragmatici e indipendenti; spontanei e socievoli, e con sensuale apprezzamento per le cose migliori nella vita - e non c'è da meravigliarsi in un paese in cui le cose sono migliori nella vita in modo così ampio.
“Le Persone sono la destinazione” lo sottolineo sempre nei miei corsi di progettazione culturale. Prendo in prestito spesso il piano strategico Wondeful Copenaghen che ha scalato il concetto a politica per la città. Non siamo meglio degli altri. Siamo diversi. E piacciamo così. A partire da questo possiamo candidarci a essere la destinazione preferita di chiunque. Perché chiunque è umano qui può trovare quello che cerca.
Occorre esserne consapevoli e far diventare un dono di natura la principale leva della nostra relazione col mercato  

mercoledì 15 aprile 2020

Ipotesi di lavoro per il Turismo Culturale nell’immediato dopo Covid-19


‘Mantenere le distanze’ è il mantra che condizionerà i nostri comportamenti sociali dell’immediato futuro, specie quelli legati al turismo, al tempo libero e alla fruizione culturale. Per il 2020, significherà scegliere destinazioni meno affollate, prediligere contesti in cui la qualità dell’esperienza abbia più valore della quantità della relazione.

Sarà una catastrofe per i parchi divertimenti, hotel, villaggi turistici centrati sull’animazione e le attività a bordo piscina. Sarà una opportunità per le destinazioni minori, i borghi e le aree interne, meno affollate, comunque ricche, che dovranno esaltare la propria differenza con un’offerta e una narrazione adeguate.
Il turismo marino patirà molto; è prevedibile invece un rafforzamento del turismo montano, con le sue passeggiate in solitaria, i grandi spazi e il recupero di quel rapporto con la natura che ci è tanto mancato in queste settimane.

La lunga inattività di questi mesi farà sì che anche le abituali due settimane di chiusura ad agosto si frammentino, sfumino anche nel loro senso di ‘interruzione’. È dunque il momento di favorire con forza un’offerta con la destagionalizzazione dei flussi turistici, anche garanzia di minor affollamento.

Il rapporto con gli operatori del settore cambierà. È probabile una diminuzione di viaggi in gruppo a vantaggio di forme di turismo esperienziale disegnate su misura. Già il fenomeno era in forte crescita, favorito dalla disintermediazione delle piattaforme digitali, ora sarà la scelta prioritaria per chi desidera sostanza, sicurezza e personalizzazione. In questo settore cicloturismo, cavallo camperismo e simili vinceranno.   

Per tranquillizzare le ansie degli appassionati di destinazioni culturali e artistiche, sarà utile contingentare le visite negli attrattori, anche con sistemi di prenotazione più sofisticati degli attuali. Occorrerà allungare gli orari di apertura, sia per diradare i visitatori che per sviluppare nuovi format serali, notturni magari, per piccoli gruppi, famiglie, coppie. Occorrerà far iniziare l’esperienza già prima del viaggio e farla continuare dopo, trasformando i pochi che la faranno in ambasciatori verso molti. Sarà un disastro sul piano della sostenibilità economica però sarà di gran lunga meglio usare i soldi pubblici perché le persone lavorino tenendo aperte strutture, altrimenti in perdita, piuttosto che tenerle a casa in cassa integrazione.

Il 2020 sarà l’anno zero per il turismo internazionale. Saranno quasi solo gli italiani a muoversi in Italia. È molto probabile che – un po’ per timore di contagio e un po’ per tasche molto vuote – l’estate di molti si svolga nella propria area di residenza con qualche weekend nel  raggio di una o due ore di viaggio. Diventerà vincente la proposta di una riscoperta dei luoghi che guardi anche al riappropriazione di cultura,  memorie e spazi, soprattutto all’aperto, delle proprie città.
Per operatori e enti territoriali sarà categorico capire quanto quelle facce pseudoconosciute abbiano però bisogni nuovi. Le persone vorranno proposte in linea con i tempi. La sfida sarà portarli oltre l’idea del semplice ‘fuori porta’ in un viaggio reale in inediti termini spaziali, comunque un’esperienza di crescita e trasformazione.

I pochi stranieri che arriveranno saranno degli avventurieri o saranno già innamorati dell’Italia. I primi cauti, curiosi e da affascinare fuori dagli stereotipi del Belpaese. I secondi magari già proprietari di seconde case in Toscana, Liguria o Sicilia, da coccolare, festeggiare e trasformare nei nostri ambasciatori verso il flusso di loro connazionali auspicabile nel 2021 e oltre.
Questo sarà possibile solo con la capacità di fare rete nelle proposte, ascoltando e coinvolgendo l’utenza e con un’efficace infrastruttura comunicativa e informativa dei luoghi e dell’offerta di servizi, solo ciò sancirà il successo, prima reputazionale e poi economico delle destinazioni.

In materia di cultura prodotta, molti autori stanno approfittando di queste settimane per produrre cultura e nuovi format. Tra loro artisti affermati e non, individualità collegate in/dalla rete, che nella creazione e nell’innovazione trovano salvezza esistenziale ed economica. Tutto questo dovrà trovare  palcoscenici degni, luoghi di confronto e dibattito, utili anche a selezionare ciò che esprima valore estetico, politico e artistico. In tal senso credo che i luoghi della cultura abbiano la responsabilità e l’opportunità di dare asilo a un contemporaneo finalmente non dettato solo dal mercato fatto da pochi ma espressione di bisogni e domande collettive.
In questo contesto emergenziale la cultura e l’arte stanno definendo e prototipando nuovi format e contenuti. Impazzano le visite virtuali, le challenge, videotrailer, curatori e direttori che raccontano, musicisti che suonano in diretta, aste di opere su Instagram. Strepitoso, su tutti, il format di TussenKunstenQuarantine ripreso dal Getty Museum come dal Mibact in cui le opere d’arte sono trasformate in tableux vivants da persone diventate cosplayer pop.

Di tutto ciò, quello che funziona e piace rimarrà. È un punto di non ritorno.
In tal senso il potenziamento dei servizi digitali che molti territori e strutture museali e culturali stanno realizzando in questi giorni è inedito. A volte ancora confuso. Spesso realizzato con coraggio e inventiva, bassi budget e molte idee, su canali e strumenti finora poco o per nulla frequentati. In diversi si buttano e hanno capito che, per sopravvivere domani, oggi è ‘meglio chiedere scusa che chiedere il permesso’. Ciò sta portando a un ripensamento del ruolo stesso delle istituzioni e dei visitatori che sempre più spesso diventano generatori di contenuti e veri partner. 

Nella logica empatica del marketing esperienziale,  il pubblico si sta a abituando a questi nuovi linguaggi e modalità di relazione e fruizione. Dai prototipi di queste settimane nasceranno quelli saranno vincenti in termini audience engagement e quindi development.
Oggi però, in tempo di quarantena, tutto ciò ha un costo non misurabile in quanto è il tempo di professionisti altrimenti inattivi che non godono di ammortizzatori sociali, o di figure già pagate per altre attività che non oggi possono svolgere. Domani gli andrà assegnato un valore e un budget, trovato uno spazio in organizzazione, inquadrati gli obiettivi in una strategia.

Sono molte le competenze alla ribalta in questi giorni. Varie le figure che stanno tenendo in vita la relazione tra cittadini e Beni Culturali e Arti: creatori di contenuti, community manager, esperti di SEO e comportamenti dell’utenza, data analyst, esperti di e-commerce in prodotti e servizi, organizzatori di crowdfunding e parecchi altri ormai da considerare imprescindibili nei futuri organici di una Sovrintendenza, di un Consorzio di Comuni, di una città d’arte, dei musei maggiori o reti tra musei minori, di qualsiasi ‘attrattore culturale’ che abbia domani l’ambizione di attrarre davvero qualcuno.

lunedì 16 marzo 2020

Voi, io, noi: le persone che incontro nella città sospesa dal virus


La quarantena ha esaltato le caratteristiche dei tipi umani che si vedono in giro.
Le loro storie riempiono lo spazio, e l'assenza di rumori di fondo li fa emergere con forza dall’anonimato che li accompagna in tempi di normalità.
A passeggio nel quartiere spiccano:

  • L’uomo di 60 anni a cui hanno chiuso sia il bar che la ricevitoria, le sue lochescion. È incazzato, doppiamente perché  la moglie manda a fare la spesa. Lui le telefona davanti a ogni barattolo di yogurt (ma quanti cazzo di tipi ce ne sono!), di confezione di pasta (ma quanto cazzo di tipi ce ne sono?), di forma di pane (ma quanti cazzo di pani esistono??)
  • La matrona 78enne che ogni mattina vara la sua stazza oltre l’uscio di casa e va a fare la spesa, rompe i maroni a tutti per passare avanti perché lei 'non può stare in piedi' e compra solo 50 gr di prosciutto senza grasso, 1 panino, 1 litro di latte, 2 mele o 1 banana. E ‘Ci vediamo domani’.
  • La negoziante separata con i lunghi capelli sciolti e le dita nervose che porta i figli piccoli in negozio perché non ci sono babysitter disponibili a domicilio. Non sa dove metterli. Loro giocano sul pavimento mentre negli occhi della madre saetta apprensione per ogni cliente sconosciuto che entra.
  • I neogenitori, molto giovani, che spingono la carrozzina per le vie perché ritengono sia l’unico modo in cui è possibile addormentare il pupo. Lei è disinvolta, so fa sempre; lui, accanto, indossa goffe sneacker tardoadolescenziali e dagli sguardi dei passanti assorbe nuove abitudini e ansie inedite.
  • I due operai rumeni che dentro un negozio a piano strada stanno ristrutturando l’ennesimo estetista che se non si riconverte al volo in una sartoria per mascherine aromatizzate al timo dubito che abbia presto la gioia di una inaugurazione con le piante infiocchettate.
  • La ragazza con i capelli biondi e gli occhi seri, incinta al quinto mese a cui le minacce del virus hanno turbato la gioia di una nuova bambina in famiglia. Ogni suo pensiero oscilla tra un futuro radioso e il timore dei controlli in ospedali pieni di possibili pericoli immateriali   
  • Il giornalaio con la barba, con un aspetto a metà tra il senzatetto e il brigatista che, ogni mattina, camminando per i 3 chilometri che lo separano dal suo chiosco teme che la polizia non creda che sta andando a lavorare per un servizio essenziale.
  • Il signore col cane e il passo veloce. Il botolo ha già pisciato e defecato in abbondanza, vorrebbe rientrare, ha la lingua fuori, ma deve seguire questo 50-enne che con la scusa del cane sta fuori due ore e scopre ogni giorno marciapiedi sconosciuti.
  • La trentenne aspirante qualcosa, col tailleur giacca-pantalone che nonostante sia ormai semidisoccupata è ugualmente agitata, ugualmente concentrata su un lavoro che si sfalda, con apericene cancellate, ugualmente severa con se stessa e con qualche stagista che alle 8.30 ha già al telefono e si prende cazziatoni per inadempienze impalpabili come lacrime nella pioggia.
  • Il gabbiano che al centro della carreggiata a due corsie sta eviscerando un piccione. È tranquillo, banchetta in totale assenza di traffico. Osservato da due pedoni in mascherina che ai lati opposti della strada riprendono la scena col telefonino per farne la loro prossima storia social.
  • Il giovane autista dell’87 vuoto come un carico di appuntamenti mancati che percorre i 20 chilometri del suo percorso nel centro di Roma in meno di mezz’ora e poi segna sul suo taccuino personale la performance, da raccontare ai suoi bambini se mai ne avrà.
  • Il cantante di piano bar, brizzolato e piacente 60enni che vive al primo piano e che per preparare a scaletta dell’ormai abituale concerto delle 18 a finestre spalancate, prova le canzoni già dalle 10 del mattino. Lui sa essere per noi Renato Zero, Vasco Rossi, Tiziano Ferro, Celentano, e mette del suo nel combattere il virus.
  • Il ciclista del food delivery laureato in scienze politiche con una tesi su “Dipendenza e sviluppo nei paesi del G8” che porta un carico precotto a chi sceglie equo e sostenibile, ogm free, chilometro zero e intanto riabilita la para schiavitù di questi ciclisti a cui il futuro era negato già prima del virus
  • La coppia che tutte le sere appare sul terrazzo condominiale con un baloon di vino o di cognac in mano e osserva il paesaggio, baciandosi e parlando sottovoce di posizioni estreme o di serie televisive da vedere sul lettone stasera.
  • L’addetto alla raccolta dei rifiuti che col suo camion affianca il bidone d’acciaio, lo aggancia, lo travasa nel pancione del suo mezzo. Provo invano a agganciarne lo sguardo. Non ci riesco. Lo ringrazio con pensiero.
  • Poi ci sono io, col mio trolley usato come coperta di Linus, che ogni volta che decido di uscire per la spesa percorro un chilometro più del necessario per stradine vuote e secondarie, riscoprendo gli odori e i colori del mio quartiere.


sabato 14 marzo 2020

Working from home in Coronavirus times: tips for foreign friends by an Italian veteran.


In Rome we have been in self-isolation for over two weeks. A few days ago I wrote a post for Italians that has had a great diffusion online. 
I have been working at home for over ten years. Before, I was a company manager, with a large office, a round meeting table and a nice picture behind me. I enjoyed breaks at the coffee machine and dozens of mostly nice colleagues.

Then I chose the freelance consultancy also to enjoy the children. So I chose it. 
Millions of people around the world discover it these days as a consequence of the coronavirus. It is not an easy situation, there is tension and concern.
I assure you that in the end it's not bad: with a few tricks your productivity and quality of life will skyrocket.

Since I have got a few years of advantage, I hope to do something useful in making suggestions on how to deal with this unusual situation:
  1. Never in pajamas. You are working and therefore use clothing to mentally separate the moment from the flannel and slipper activities. Dress comfortable and dignified. Also because you must always be ready for a videoconference that must see you prepared at least from the waist up.
  2. Physical movement. Before you start working, do some physical movement: you have spared the journey by car or public transport but something must tell your body that it must change gear. The walk with the dog is ok, shopping in the shops near the house also, excellent pilates in front of the brightest window.
  3. Use a work place. Decisive to have a dedicated space, a little thought you can create one. Your position can NEVER be the bed or sofa: the body goes haywire and does not understand what to do. There are those who can afford a room; I have a small table in the room; excellent also the living room. The important thing that you have a space of your own.
  4. Do not bring food to the desk. The house knows you and tempts you: food reserves abound, often better than in the company's canteen. Keep away, especially if you do not want repercussions on fat, blood sugar, cholesterol and stains on folders.
  5. The family. All those who live with you, family, roommates, pets, must stay clear when you are working. Say it without misunderstanding, maybe put a signpost outside the door. You are not there for them. Be categorical.
  6. Don't care about the house. There are those who do not start working before the bed is not made, the dishes washed, the plants watered. That's enough! You are there because you have commitments: set yourself a timetable and totally ignore the context that - I assure you - can do without you.
  7. Have breaks: Take at least a ten minute break every two hours. It serves to remain human. And then there is pee, coffee and snacks to pay homage to. And maybe a chat with the other bipedal or animal housemates. It is also useful to widen your gaze by focusing on something far away like clouds, passersby, the tree in front, the policeman who fines the car in double row.
  8. Use of social media: At home you have no filter or obstacle and therefore social media risk making you waste a lot of time in unbridled messing aroung. It is also clear that in this moment of emotional stress and organizational solitude you want to feel part of a community. Then use it sparingly by giving yourself rules.
  9. Isolation: you are isolated, you are not alone, always remember it. Take care of human relationships, call someone, write to each other.
  10. E-Commerce. Worse than social media because it empties your account. Keep away from Amazon and other compulsive buying platforms. Trust me: you don't need a drill or a moccasin. At least not during working hours.
  11. Technologies. For normal office activities, in addition to a PC and a reasonable bandwidth, an effective backup system (in the cloud or on an external hard disk),and a b/w laser printer are recommended. A pair of headsets is also useful to better manage video calls without echoes and distortions
  12. Video calls. If your company does not have its own platform, Skype, webex, Microsoft Team, Zoom or - on the ground - Whatsapp or Facetime can do the job.
  13. Mobile Phone. The mobile phone greatly distracts those who work. Use it as strictly as necessary. I advise not to keep it handy. And if it rings, getting up to respond is already physical movement. If you use a lot of whatsapp for work, install the pc version, otherwise forget it.


If you usually stay 7-8 hours in the office, you will soon discover that at home the same tasks are done in 4-5 hours. So all these tips become easier to manage. 
You then saved at least an hour of travel. It is important that part of the freed time is focused to learn, to discover the web, to use distance learning modules, to update you, to build communities. For the rest, many cuddles and kindnesses to those who share the apartment with you.

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If you think these tips can be useful to someone, share them on your channels.
If you have comments, points to add or your experiences to describe, leave me a comment below.

domenica 8 marzo 2020

Lavorare da casa: i consigli di un veterano.


Lavoro a casa da oltre dieci anni. Prima ero un direttore d’azienda, con l’ampio ufficio, il tavolo riunioni tondo e un bel quadro dietro di me. Mi godevo le pause alla macchinetta del caffè e decine di colleghi in gran parte simpatici.

Poi ho scelto la libera professione anche per vivere la crescita dei figli. L’ho scelto dunque. Milioni di persone lo scoprono in questi giorni come conseguenza del coronavirus. Non è facile. È diverso. Vi assicuro che non è male e che con qualche accorgimento la vostra produttività e la qualità della vita scattano alle stelle.

Visto che ho qualche anno di vantaggio, spero di far cosa utile a qualcuno nel riportare suggerimenti su come affrontare questa situazione:
  1. Mai in pigiama. State lavorando e dunque usate l’abbigliamento per separare anche mentalmente il momento dalle attività in flanella e babbucce. Vestitevi comodi e dignitosi. Anche perché occorre sempre essere pronti a una videoconferenza che vi deve vedere preparati almeno dalla vita in su.
  2. Movimento fisico. Prima di iniziare fate del movimento fisico: avete risparmiato il viaggio in auto o con i mezzi pubblici ma qualcosa deve pur dire al vostro corpo che deve cambiare marcia. La passeggiata col cane è ok, la spesa anche, ottimo anche il pilates davanti alla finestra più luminosa.
  3. Spazio dedicato. Decisivo avere uno spazio dedicato, un po’ pensato. La vostra postazione non può MAI essere il letto o il sofà: il corpo va in tilt e non capisce cosa deve fare. C’è chi si può permettere una stanza; io ho un tavolino in camera; ottimo il soggiorno. L’importante che sia il vostro spazio.
  4. Non portate cibo o bevande alla scrivania. La casa vi conosce e vi tenta: le riserve di cibo abbondano, migliore e più buono che alle macchinette. Tenetevi lontani, specie se non volete contraccolpi su adipe, glicemia, colesterolo e macchie sui faldoni.
  5. La famiglia. Tutti quelli che vivono con voi, famiglia, coinquilini, animali di compagnia, devono aver ben chiaro quando state lavorando. Ditelo senza equivoci, magari mettete una targa fuori dalla porta. Voi per loro non ci siete. Siate categorici.
  6. Fregatevene della casa. C’è chi non inizia a lavorare se il letto non è fatto, i piatti lavati, le piante innaffiate. Basta! Siete lì perché avete degli impegni: imponetevi un orario e fregatevene totalmente del contesto che – vi assicuro- può fare a meno di voi.
  7. Pause: Fate almeno una pausa di dieci minuti ogni due ore. Serve a rimanere umani. Lo prescrive la legge. E poi c'è pipì, caffè e snack da ossequiare. E magari due chiacchiere con gli altri coinquilini bipedi o animali. Utile anche allargare lo sguardo mettendo a fuoco qualcosa lontano come nuvole, passanti, l'albero di fronte, il vigile che fa la multa all'auto in doppia fila. 
  8. Uso dei social: In casa non avete nessun filtro o ostacolo e dunque i social media rischiano di farvi perdere un mucchio di tempo nel cazzeggio sfrenato. È chiaro anche che in questo momento di stress emotivo e solitudine organizzativa vogliate sentirvi parte di una community. Allora usatelo con parsimonia dandovi delle regole.
  9. Isolamento. Siamo isolati, non soli: ricordatelo sempre. Curate le relazioni umane, chiamate le persone, scrivetevi. Fate domande. Chiedete aiuto se serve.
  10. E-Commerce. Peggio dei social perché ti svuota il conto. Tenetevi lontani da Amazon e altre piattaforme d’acquisto compulsivo. Fidatevi: non vi serve né il trapano né il mocassino. Almeno non in orario di lavoro. E la spesa fatela al mercato rionale: è tutta salute.
  11. Strumentazione. Per normali attività d’ufficio, oltre a un PC e una larghezza di banda ragionevole, sono consigliati un sistema di backup efficace (in cloud o su un hard disk esterno), una stampante laser b/n. E’ utile poi un paio di cuffiette per gestire al meglio, senza echi e distorsioni, le videochiamate
  12. Videochiamate. Se la vostra azienda non ha una sua piattaforma, vanno benissimo Skype, webex, Microsoft Team, Zoom o – terra terra – anche Whatsapp o Facetime possono fare il lavoro.
  13. Telefonino. Il telefono distrae parecchio chi lavora. Usatelo lo stretto necessario. Consiglio di non tenerlo a portata di mano. E se suona, alzarsi a rispondere è già movimento. Se usate tanto whatsapp per lavoro installate la versione pc, altrimenti lasciate perdere.

Se in ufficio fate di solito 7-8 ore scoprirete presto che a casa le stesse cose si fanno in 4-5. Quindi tutti questi suggerimenti diventano più facili da gestire. Avete poi risparmiato almeno un’ora di spostamenti. È importante che parte del tempo liberato sia destinato a imparare, a scoprire il web, moduli di formazione a distanza, ad aggiornarvi, a fare community. Per il resto, tante coccole e gentilezze a chi divide l’appartamento con voi.

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Se pensate che queste riflessioni possano essere utili a qualcuno, condividetele.
Se avete commenti, punti da aggiungere o vostre esperienze da raccontare, lasciatemi un commento qualche riga sotto.

sabato 25 gennaio 2020

"La società signorile di massa", di Luca Ricolfi - recensione e qualche dubbio.


La società signorile di massa” di Luca Ricolfi è il libro del momento. Lo leggono è discutono amici e colleghi. Molti di loro me ne hanno parlato con punte inedite di ammirazione per le riflessioni che presenta sull’Italia. Per tutti, me compreso, si tratta di un punto di vista originale sull'economia e sui comportamenti che da essa discendono.
Tutto questo ha giustificato in me la scelta di investire i 18 euro del prezzo di copertina.
Letto e masticato per bene. Appunti, post-it, scritte a margine per fissare le idee.  

L’assunto del libro è che: siamo in una società dove la maggioranza non lavora; tra quelli che lavorano c’è una bella fetta di para-schiavi che consentono agli altri (la maggioranza) di fare i signori vivendo poco di lavoro e molto di rendita; l’accesso a consumi opulenti e non necessari è diventato di massa. E la cosa non può durare più di una generazione o due, poi ci sarà il tracollo.

I giovani fotografati da Ricolfi – spesso figli unici - sono destinatari del patrimonio delle famiglie e se scelgono di non fare niente di produttivo è perché si sono fatti bene i loro conti: "fino a trent'anni traccheggio e poi eredito il bottino."
L’alluvione di dati del libro si sposa spesso con opinioni personali da nonno davanti al caminetto. Che diventa autoindulgente verso la ‘vera’ elite, la società signorile e non di massa, che lui vede (senza portare dati) come quasi ascetica e fuori dal coro e non cafona e sbulaccona come appare davanti al mio caminetto.

Il fondamento che in Italia lavori meno del 50% delle persone abili è un po' buttato lì (e contraddice il 58% di molte statistiche, comunque basso) e dimentica la stima che il lavoro nero pesi tra i 2 e i 3 milioni di teste (tra 7 e 10 %).
L'analisi su come stiamo messi male di Ricolfi tralascia del tutto che la condizione italiana ci porta ad avere un livello di aspettativa di vita tra i più alti del mondo e un tasso di suicidi tra i più bassi; che tutti i reati solo in calo da molto tempo; sussurra solo che abbiamo una bilancia commerciale in forte attivo.

Ricolfi considera la velocità di cambiamento del contesto una questione accessoria, non una concausa. Molti altri ritengono sia una delle variabili che maggiormente condizionano la crisi della scuola, dell’università, del sindacato e del mondo del lavoro in genere.
Lui elude ogni considerazione sulle piattaforme digitali che hanno stravolto dinamiche di relazione, di reputazione, di partenariato, di organizzazione. 
Arriva fin a criticare duramente la scelta di alcuni farsi un ‘anno sabatico’ dopo le superiori per capire il mondo e scegliere con più criterio la propria via (consuetudine anglosassone che lui ignora pur esaltando le doti pragmatiche e protestanti).
  
Imbarazzante la sua leggerezza e lontananza dal reale quando afferma, chissà con quali dati che “Ieri si leggevano i libri, oggi si va alle fiere per veder parlare l’autore. Assai più gratificante che stare a casa da soli, a leggere”.  

Mi trova sul pezzo quando si incaponisce sulla follia che le spese in gioco d’azzardo valgano quanto la spesa sanitaria (circa 110 miliardi annui), è però un po' colpevole di leggerezza quando non dice che oltre 80 miliardi rientrano in vincite ai giocatori stessi. 

Forse il passaggio dove manifesta maggiore pigrizia intellettuale è dove arriva a criticare la recente propensione all’uso piuttosto che al possesso quasi essa sia un limite e non una risorsa, sia in termini di reddito che di relazione. Quasi non sia un modello di crescita culturale responsabile e auspicabile. La variabile ambientale la evita e canzona alquanto chi magari sceglie il bio, la riduzione del superfluo, la sostenibilità. 

Non sopporta proprio che molti italiani facciano movimento, vadano in palestra e simili, vedendo ciò solo come spesa superflua e non come un vantaggio per il corpo, per lo spirito e per le casse della sanità pubblica.

L’impressione generale è che il Ricolfi sia partito da una sua teoria sull’Italia e abbia scelto con cura dati e percorsi utili a dimostrarne la validità. Questa manipolazione è ben fatta e spesso contiene anche guizzi originali. Non ci sono tuttavia elementi sufficienti a confermare che quello che afferma sia vero, inquadri il reale, soprattutto vada in profondità nel cogliere i bisogni su cui progettare soluzioni.

Riprende molti dei concetti già trattati da Bauman con ben altro spessore, e riconduce la vita senza progetti, l’immediatezza del vivere a questo suo concetto di società signorile di massa, senza nulla concedere a temi più profondi come l’incertezza, la paura.
Tocca, ma sempre di striscio, quasi non voglia sporcarsi la penna, il tema del cattolicesimo come limite all’ambizione personale, alla meritocrazia, come la confessione e l’assoluzione siano una bella comodità in caso di evasione fiscale o altre cosette del genere.
Non si pone la questione di un paese per un terzo in mano alla criminalità e del suo impatto reale sul sistema complessivo e sulla politica. La sua analisi delle relazioni Nord – Sud del paese è ipersemplicistica e datata: sud fannullone e dove si regalano i voti a scuola, nord operoso. 'ndrangheta e mafie non pervenute.  

L’impressione forte è che i 70 anni dell’autore lo portino già in una dimensione nostalgica di chi guarda al passato autoassolvedo la propria  generazione. Un passato dove studiavano in pochissimi, si viveva meno e male, le donne e le minoranza stavano al palo della vita, l'elite passeggiava in alpeggio, la fame spigeva all'azione e il ricordo della guerra determinava le decisioni. Mi ricorda in molti passaggi l’abbaglio di un altro libro discutibile, “Gli sdraiati” di Michele Serra di qualche anno fa, che ufficialmente raccontava di un giovane  demotivato e quasi alieno, nel concreto, parlava di un padre che aveva fallito in pieno la sua missione genitoriale.

Insomma, Ricolfi dice che siamo una società signorile di massa e la prima cosa che mi viene in mente alla fine della lettura è : “Mbè? Dimmi qualcosa di utile o ridammi i miei 18 euro.”