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domenica 27 gennaio 2013

La Giornata della Memoria in un paese senza Memoria

Certo che scegliere la Giornata della Memoria per affermare - come oggi Berlusconi - che Mussolini fece bene, tranne che per le leggi razziali, va ben oltre i trucchetti per accaparrarsi i voti di destra nella contesa elettorale. E sì, perché questi voti ci sono, sono tanti e trovano terreno fertile in una Italia dalla memoria corta. Siamo un paese che, a differenza di altri, non si è fermato a riflettere cosa sia stato il fascismo e si è autoassolto di ogni peccato. Sembra che non si abbia anche noi deportato migliaia di ebrei; usato i gas nervini su innocenti; schedato intellettuali, artisti, gay; azzerato i diritti civili. Convincendosi in fondo di aver pure vinto la guerra perché, si sa, noi eravamo facisti che tenevano famiglia, ma stavamo tutti con gli americani.
So che molti dei miei lettori non sono romani (e che oltre un terzo risiedono anche fuori dall’Italia)  e dunque non credo sia superfluo raccontare qualcosa sulla Roma di oggi, città dall'anima malata e bisognosa di cure.
  • Scritte e manifesti fascisti, razzisti, antisemiti sono all’ordine del giorno ovunque. In particolare la propaganda è intensa attorno e dentro le scuole e università. Diversi raid di gruppi fascisti mascherati hanno attraversato scuole durante l’orario delle lezioni.
  • Conosco personalmente insegnanti che hanno difficoltà ad organizzare riflessioni in occasione, ad esempio, della Giornata della Memoria, perché capita di frequente che sedicenni invasati bercino come l’Olocausto sia un'invenzione, la Shoa pura propaganda, che la tragedia delle foibe abbia pareggiato i conti.
  • Le aggressioni agli omosessuali ad opera di militanti di destra sono all’ordine del giorno, specialmente d’estate.
  • Il movimento CasaPound che si autodefinisce "i fascisti del nuovo millennio" ha sempre più spazio, i suoi esponenti menano sempre di più e il Comune ha impegnato 12 milioni di euro per comprare lo stabile da loro occupato (lasciandoceli comodamente dentro?)
  • Le bancarelle di libri hanno Mein Kampf tra  bestseller, il calendario di Mussolini più venduto di quello della Roma, e vari libri revisionisti sempre in bella mostra
  • La tifoseria cittadina è una fucina autorizzata di estremisti propensi all'accoltellamento facile; nella colpevole cecità della dirigenza, è pompata anche da calciatori come Di Canio o Radu che non si sono fatti problemi a esibire il saluto fascista sotto la curva.
  • E a questo aggiungo che per lanciare una sconcertante collezione in edicola di cappelli di soldati, si parla solo di quello degli Afrika Korps, per la collezione di orologi militare si esalta quello della Luftwaffe, indicando con chiarezza quali siano le preferenze del mercato.
Le istituzioni come si contrappongono a questa deriva?

Le istituzioni sguazzano e gioiscono in quest fango.
Basta dire che l’insulso sindaco Alemanno, croce celtica sempre al collo, è stato un picchiatore fascista negli anni ’70. Per capire quanto possa aver preso le distanze da quel periodo sappiate che il figlio 17-enne del sindaco ha postato sui social network proprie foto vacanziere dove si esibisce in una impressionante sequenza di saluti romani. 
Abbiamo poi il fascista Storace, autore del grande buco di bilancio della Regione Lazio, personaggio inquietante e mastro lottizzatore, che minimizza il proprio passato nero dicendo che si vota "sulle politiche sanitarie, sul lavoro, sul sociale, sulle riforme. Se ci dobbiamo candidare all'accademia di storia, per carita', ditemi dove si firma...." 
C'è poi la signora Polverini che definisce 'zecche' gli oppositori politici di sinistra, partecipa a feste con uomini in peplo e altri con indosso teste di maiale.
C'è soprattutto la mancanza di qualsiasi pensiero, idea, sogno per la città e tutti questi (e molti altri) partecipano al declino dell'impero senza che un impero ci sia mai stato.
  
E la memoria sbiadisce ogni giorno di più.

giovedì 24 gennaio 2013

Quando arriva il secondo figlio: Complementi di educazione per genitori adulti (caso 7)

“Aspettiamo il secondo”, mi scrive l’amico Dino. “Hai suggerimenti?”

Mi congratulo subito con chi decide di raddoppiare la presenza di infanti in casa: con uno, la famiglia cammina a tre ruote, diciamo è come una divertente Apecar furgonata; con due si va a quattro ruote e la stabilità del mezzo guadagna visibilmente, crescono però i consumi e la necessità di bagagliaio.
Siccome il tema ‘figli’ è infarcito di luoghi comuni, anche col secondo figlio mi pare appropriato approfondire alcune  profezie che vengono diffusamente citate perché si autoavverino come:
  • “Al primo servirebbe davvero un fratellino o una sorellina”: lo dicono i nonni, i vicini, gli impiccioni in presenza di figli unici che sfraccicano i cabbasisi oltre misura. Lo si prescrive ai bambini viziati e egocentrici, come se si trattasse di un antibiotico.  Nessuno si preoccupa di un ipotetico secondo usato come pungiball o gingillo antistress.
  • Il secondo figlio nasce imparato. Oddio, anche il primo lo nasce ma i genitori non lo capiscono per parecchi anni perché sono loro a essere impreparati. (per questo vedi post: la nascita del primo figlio)
  • “Non è importante la quantità del tempo che si dedica a un bambino ma la sua qualità”. E mentre lo dici intorno a te tutti annuiscono indipendentemente dal numero dei bambini che hanno; il tasso di sensi di colpa collettivo si abbassa e la metà dei presenti continua a messaggiarsi con What’s Up mentre i figli si scartavetrano sul marciapiede immerdato. Ovviamente non è vero ma è bello crederci. I piccoli apprendono per emulazione, anche i secondi nati, e se non emulano te, emuleranno qualcun altro (che magari ti va bene e crescono davvero meglio).   
  • “I secondi figli sono diversi”. Che è un altro modo per scaricarsi del fatto che prima di tutto quelli diversi siamo noi. Col secondo siamo: meno spaventati, più occupati, più stanchi, più scafati, più anziani, meno ricattabili con un colpo di tosse o una lacrimuccia. Darwin ha spiegato bene come le specie si adattino per sopravvivere, non perché gli piaccia la situazione. Se i secondi non fossero svegli e intraprendenti verrebbero spesso e volentieri dimenticati all’autogrill.
  • I secondi sono meno viziati”. Questo è vero anche perché le aspettative dei genitori su se stessi sono minori. Evidenti sono i tracolli delle madri: il primo mangia solo bio, il secondo si agganascia sugli avanzi; il primo aveva i pannolini lavabili, il secondo usa quelli cinesi del discount; il primo aveva i suoi capolavori esposti sui muri di ogni stanza, del secondo si usa il retro dei disegni per la lista della spesa; il primo era un testimonial dell’omeopatia, il secondo deve sbrigarsi a guarire con medicine dopanti.
  • Se ne fai due, poi te li dimentichi perché giocano assieme”. Vero finché le loro azioni non sono rubricabili nel reato di associazione a delinquere.  E vero anche perché se ne hai due sei naturalmente portato a volerli dimenticare.
  • I secondi crescono più velocemente”. È una percezione legata al fatto che con l’ingresso del secondo figlio nella vita improvvisamente rientrano in testa anche tutte le altre cose che col primo avevi dimenticato: pare quasi sia lì per ricordarti che hai lasciato il coro, il calcetto, lo yoga, la sauna, lo sci, la poltrona. Intuisci di colpo che esiste un ‘dopo’, valide babysitter,  e che rincoglionirsi nel ruolo esclusivo di papà o mamma non fa bene a te e neanche ai pupi.

Chi volesse confrontarsi con altri temi:

Le feste di Compleanno (caso 4)

venerdì 18 gennaio 2013

Al cinema con i bambini: Complementi di educazione per genitori adulti (caso 6).

Ero schierato in posizione centrale nel cinemone semiperiferico romano assieme al mio pupo gongolante. Nell’aria, fetore di pop corn d’ordinanza, risucchi di cocacola e scartare di caramelle;  io speravo solo che le successive due ore passassero  presto. Di lì a poco il nuovo film di Asterix avrebbe rinverdito i miti di Bud Spencer e Terence Hill con una spruzzata di Stanlio e Ollio. Ma non avevo messo in conto la pubblicità.
In platea, una congrega in libera uscita dalla scuola materna si è sorbita con passione quindici minuti di estratti dall’ultimo violentissimo Tarantino, tette e i culi con bestemmioni parasimpatici dal prossimo dimenticabile film di Fabio Volo, e un paio di altri inutili usi della cinepresa. Era evidente come già a 5 anni non percepissero significative differenze tra il film e la pubblicità.
Poi sullo schermo è apparso lui: mezz’età, barbetta, occhio ficcante più dei cowboy. La platea, a una sola voce infantile ha urlato “Cracco!!”. Mio figlio mi ha guardato perplesso; io ci ho messo un po’ a riconoscere l’uomo con la padella in mano. Gli altri bambini erano elettrici, neanche si trattasse di Totti o di Ben Ten in persona. Il tipo con la barbetta pare sia un mito di Master Chef, lì a pubblicizzare una padella bianca di certo in grado di trasformare molte mie amiche in dee dei fornelli (specie se con la di lui presenza accanto, sopra o sotto). Ho già espresso qui la mia opinione in merito alla pornografia di molta passione gastronomica contemporanea, e il cracco sullo schermo non ha fatto che confermarlo.
Buio in sala.
I bambini al cinema non sono affatto peggio dei loro genitori: parlano, commentano, si alzano, chiedono l’ora, l’acqua, se il film che stanno vedendo è in 3D o no, se il giorno dopo possono saltare scuola. A loro però non squilla il cellulare, forse solo perché tutti quelli che potrebbero chiamarli sono dentro il cinema.

Asterix e Obelix è risultato abbastanza adatto alle aspettative dei bambini, e a quelle dei genitori che non corrono il rischio di dover spiegare alcunché, né di far seguire dibattito. Ha una trama sgangherata ma simpatica, il placement di prodotto è limitato, la violenza è poca, i riferimenti al sesso sono solo per chi è in grado di capirli.
Tra gli ultimi 10 film che ho visto coi pupi l’unico davvero pensato per loro parlava di Puffi; gli altri, Disney e Dreamworks, erano tutti confezionati strizzando occhi e portafogli ai genitori, e dunque pieni di riferimenti, battute e paradossi in grado di far sentire adolescenti i quarantenni e dare un’accelerata a infanti che devono al più presto diventare consumatori perfetti.

All’uscita mio figlio ha chiesto - serio - "In cosa il cinema è diverso dalla televisione". Già il fatto che me lo abbia chiesto risponde da solo a molte domande sulla crisi del cinema stesso. Ho provato a rispondergli ma con lui la retorica non attacca. A casa, il giorno dopo abbiamo visto assieme "ET".
Non ha mosso un dito per tutto il film e la sua bocca è stata una O perfetta per oltre un’ora. “Questo è il cinema” gli ho detto alla fine e finalmente ha capito.


Per chi fosse interessato agli altri post in materia di genitorialità:

venerdì 11 gennaio 2013

In memoria di Fabrizio de André: la mia piccola storia di quel giorno.

14 anni fa era il l’11 gennaio del 1999. In quel periodo lavoravo talmente a testa bassa da ignorare quasi l’esistenza del mondo che mi circondava. Ero a Roma ormai da quasi un anno. Il mio ufficio di  allora era proprio dietro la fontana di Trevi. Sbucando in Piazza Barberini dalla Metro, ero ogni mattina inebriato dalla possibilità di lavorare in uno dei più bei posti del mondo. In quei mesi, l’azienda che ero stato chiamato a dirigere aveva cominciato a crescere. L’impresa era per me titanica, ogni giorno diverso, ero talmente concentrato sugli obiettivi da dimenticare spesso di mangiare per pranzo, e da crollare sul letto la sera senza accendere neppure la tv.
Fu dunque solo il 12 mattina, passando davanti alla redazione del Messaggero, dove scroccavo sempre la lettura delle prime pagine in bacheca, che lessi il titolone “Addio Bocca di Rosa”. Fabrizio de André era morto il giorno prima.
Il mio corpo continuò a muoversi verso l’ufficio ma un cataclisma dentro mi annodava il cervello con le viscere e in breve mi ritrovai a gocciolare come un rubinetto spanato. Piangevo, senza così evidenti ragioni, senza proporzione con la notizia avvenuta in un mondo lontano da me, senza fitte o dolori, e soprattutto senza sosta. I perché mi sfuggono in gran parte ancora ora, forse perchè per me è bello ignorarli.
Ok, “Creuza de Ma” e “Anime Salve” sono i due più bei dischi della storia della musica, la sua voce di pietra ascoltata al Carlo Felice mi era rimasta calcata dentro come un calcolo renale inoperabile, la sua distanza e e il suo amore per Genova (e amore favorito dalla distanza) mi trovavano solidale e partecipe. Ma null’altro. Non mi era nemmeno particolarmente simpatico e, quel giorno, su due piedi, non l’avrei messo tra i miei 'cantanti preferiti'.
Superai l’ingresso dell’ufficio per andare a piangere più comodamente e senza imbarazzanti sguardi sui gradoni in marmo davanti a Fontana di Trevi. È un posto bellissimo, e d’inverno, col sole, alle 9, con pochi turisti mattutini e i pizzardoni svogliati, vale la vita stessa.
Lì, aspettai per una ventina di minuti che i miei occhi spiovessero finché in qualche modo  fui di nuovo presentabile. Bene, mi confortai, hai finito e ora può cominciare la giornata. Raggiunsi l’ufficio. Strinsi il nodo alla cravatta e entrai salutando i colleghi, e conquistando rapido la mia stanzetta.
Chiusa la porta, respirai a lungo per sintonizzarmi di nuovo con l’agenda della giornata ma non avevo messo in conto che nulla resiste al cuore, specie a Roma dove - vi assicuro - può essere davvero molto grande quando meno te lo aspetti. Dopo pochi minuti la porta si apre senza che nessuno bussi. Ed eccoli, tutti assieme, Alessandra, Natascia, Massimo, Jacopa, Chiara, tutti raccolti per farmi le condoglianze. Loro, a me.
Il perché di nuovo non me lo chiesi perché era allo stesso tempo ovvio e inspiegabile. Mi dissero del loro dolore la sera prima. Che si sentivano tutti più poveri. Quella specie di condoglianze arrivava perché avere un genovese per le mani a Roma non è cosa frequente, e i sentimenti acquistano più valore quando dei simboli in carne e ossa possono creare dei legami con l'immaginario.
Volevano sapere. Tutto di lui. Quasi che tra me e Fabrizio de André ci fosse qualche legame genetico. Avevo poco: aneddoti di seconda mano, ricordi di concerti, incontri nei carruggi quando lui stava già male. Mi chiesero allora di Genova, come se la città e l’uomo coincidessero.
Non era il mio cantante preferito, era Fabrizio de André, di una categoria a parte.
E ancora oggi non so bene cosa mi succeda dentro quando ascolto o scrivo di lui.

Grazie, alla vita che mi ha dato Faber,

mercoledì 9 gennaio 2013

Vorrei un Ministero Contro la Semplificazione

Ho sempre trovato di orwelliana memoria l’immagine di Calderoli, Ministro della Semplificazione, mentre brucia pire di norme da lui definite obsolete, per poi impiegare mesi a tappare i buchi che tale semplificazione ha lasciato nella normativa.
Semplificazione è oggi il Papa cinguetta su Twitter come una bianca colomba, Berlusconi che si avvale di 2000 volontari per la gestione dei propri cip cip, milioni di dita famose e meno mentre compongono parole da lasciare nel vento. Come ogni generatore di profezie che si autoavverano, anche questo social network dà la sensazione di esistere e di disporre di opinioni proprie, di avere abbastanza ragioni per renderle pubbliche.

Twitter con i suoi 140 caratteri è perfetto per informare il mondo che “I carrammatini dell’esercito kirmiscio hanno invaso l’Eurandia e io mi cago sotto” che “Per il bene del Paese salgo in politica tenendomi di lato” che “Dio c’è. Vendo Papamobile bianca quasi nuova” . Nella sua schematicità è opportunamente inadatto a articolare pensieri non banali, magari utili al dibattito e alla comprensione del reale. È dunque perfetto per un Paese come il nostro che ha da tempo coscientemente abdicato alla comprensione delle complessità.

La complessità del mondo ne definisce la bellezza.
Trovo semplificare, riassumere, sintetizzare, termini pericolosi che quando applicati falsano il contenuto trasformando il falso in vero,  il vero in nulla, il bello in standard, il drammatico in asettico, l’utile in innocuo, il soggettivo in oggettivo. L’elaborazione del pensiero diventa così una funzione assimilabile a un dispenser di frasi fatte (fatte per riempire il tempo, per fare bella figura, per dire qualcosa basta che sia, per giustificare la propria pigrizia e incapacità).  Magistrali in questo senso sono i giornalisti che chiedono di analizzare “in breve” le ragioni di un suicidio a un parente del morto.

Tutto come se non avessimo abbastanza tempo per fermarci a capire, a ascoltare, a confrontare. Palle.

È vero, ammettere e affrontare la complessità è difficile e richiede impegno.
Ricordo con dolore la guerra nei Balcani, non solo per le atrocità che si portava dietro, ma perché non si capiva chi fossero i buoni e quali i cattivi. Tra serbi, bosniachi, croati, mussulmani  e soldati Nato, era impossibile parteggiare per qualcuno come da decenni i film patriottici americani ci avevano diligentemente insegnato. Mi arrovellavo nel capire qualcosa, leggevo, ascoltavo, parlavo con chi c’era stato, spesso ne uscivo confuso ma mai arreso. Lo stesso vale per la ricerca e comprensione delle cause-effetti-pericoli-opportunità legate a questa fase di crisi profonda del nostro sistema economico e sociale, in cui arrendersi equivale a subirla senza speranza.

Il ciclo su San Matteo nella Chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma, un robottino su Marte, una piramide maya in Belize, le pitture rupestri, un vigneto sul Reno, la pace nel mondo, un vestito sartoriale, un endecasillabo, il motore di una Ducati, la riforma del mercato del lavoro, il fermacapelli di mia figlia, un raviolo a vapore, un pen drive, un film di Radu Mihăileanu, sono molto oltre quello che vediamo, tocchiamo o le stelline che gli assegna chi è pagato per pensare in vece nostra. Sono invece storia, ingegno, rimandi, umori, contaminazioni, avventure, amore, paura, esorcismo, invidia, esperimenti, fallimenti, seduzione, spirito e materia. Tutto assieme.
È solo nella comprensione di questa complessità che può essere efficace l’innovazione e il cambiamento, qualsiasi altra modalità di azione genera danni.
La sostanza  è nei dettagli, nelle sfumature e la semplificazione rende errate scelte e decisioni.

Occorre impegnarci perchè il rispetto e la comprensione della complessità siano il primo obiettivo dell’Educazione e un prerequisito essenziale a ogni Politica.

domenica 6 gennaio 2013

Le prime interminabili settimane del vita della vostra creatura: Complementi di educazione per genitori (caso 5).


L’attenzione ai precedenti post per Genitori Adulti mi portano a condividere con voi alcune riflessioni sul come affrontare le prime settimane di vita della creatura. Non mi permetto considerazioni filosofiche, che ognuno affronta di par suo, ma di poche considerazioni pratiche che mi preme tramandare a chi surfeggia nella rete e può mettere a frutto l’ennesima opinione di “chi c’è passato” per farne l’uso che crede.
·         I bambini nascono imparati: Sanno vivere, mangiare, chiedere, e tutto il resto. Sono però egoisti e asociali, non rispettano le precedenze e stentano a capire che il mondo non si riduce alla distanza tra il loro naso e la tetta o il biberon. Vanno in questo assecondati quanto basta e educati alle regole di convivenza civile. Devono pensare di comandare loro ma godere del soddisfacimento di  bisogni programmati da mamma e papà. Ciò non è facile e comporta la messa a punto di una serie di tecniche di sopravvivenza (della mamma, del bambino, della coppia).

·         Il sonno: Non esistono bambini che non dormono, esistono molti bambini che non dormono quando lo si vorrebbe noi (dalle 20 alle 8 del mattino). Conseguenza di ciò è il fatto che – specie nei primi mesi - la mamma deve dormire ogni volta che il pupo dorme, in qualsiasi posto, a qualsiasi ora. Fregatevene di casa, telefono, spesa, visite di cortesia, libri da leggere, parrucchiera: se non dormite non sopravvivete, e se non sopravvivete voi il bimbo avrà coliche di rabbia e spaesamento e vostro marito numerose riunioni di lavoro in ufficio. N.B.: I libri in vendita sulla materia non servono a far fare la nanna al bambino ma a fargliela fare quando vuole la mamma, buona fortuna.  

·         Le nonne: sono spesso creature fantastiche ma non si ricordano niente di quando sono state madri loro e, nonostante questo, pontificano, consigliano, instillano dubbi, emettono sentenze, mischiano scienza e superstizione. Nel prestar loro attenzione, non sottovalutate anche il fatto che negli ultimi decenni la puericoltura e la pediatria hanno fatto passi da gigante. Quelle più umili farebbero meglio a prendere appunti e aprire la bocca per fare solo domande. Lasciatele perdere nel merito dell’esperienza genitoriale ma coinvolgetele in toto nella gestione del mondo circostante per consentirvi di dormire (vedi punto precedente).

·         Il paracetamolo: invenzione meritevole del Nobel a cadenza quinquennale. Va bene sempre e non ha praticamente controindicazioni col bambino. Con la febbre e con i dolori, per i denti e per la metereopatia. Tachipirina o Nurofen aprono qualsiasi discorso e spesso lo chiudono anche. Se poi siete tra le anime belle che amano i metodi alternativi e l’omeopatia, giocate pure al Piccolo Medico ma dopo il paracetamolo. Se poi pensate che il mal di denti si riduca mettendo al collo della creatura una collanina di ambra, fate leggere questo post a vostro marito che essendo uomo non crederà minimamente al potere delle pietre e somministrerà il paracetamolo in un vostro momento di distrazione  

·         I mariti: spesso sono anche essi alla prima esperienza genitoriale e dunque, se avete bisogno di qualcosa da un marito chiedetelo in modo chiaro e esplicito. Non aspettate che intuiscano: gli uomini non sanno intuire in condizioni normali, figuriamoci in assenza di sonno, di scampagnata domenicale, e di sesso. Concedetegli lo spazio di qualche errore e di soluzioni creative che talvolta potrebbero anche essere efficaci.

·         La camera dei genitori: sette-otto mesi è il massimo per cui abbia senso tenere i bambini nella stessa camera dei genitori. Oltre si entra nella sfera del masochismo (… c’è a chi piace).  Se invece parliamo di presenza di bambini nel lettone, meno ci stanno meglio è (qui il rischio è patologico, per i genitori).

·         Pannolini: i migliori sono quelli che costano meno. Tutto il resto è marketing.

Per chi volesse approfondire i temi già trattati, si segnalano gli ultimi:
Le feste di Compleanno (caso 4)
I Videogiochi (caso 3)
I rimpianti del papà manager (caso 2)