Pagine

domenica 29 luglio 2012

Neri ma non abbronzati, squisiti ma non italiani, richiesti ma non voluti.


Per motivi che non vale la pena approfondire talvolta capita che cose e mondi che non si appartengono mandino segnali convergenti su temi che di norma non ci tangono e che poi, di colpo, diventano urgenti da sviscerare.
Nella stessa settimana ho comprato un libro francese di ricette moderne, c’è stata l’apertura delle Olimpiadi Londra 2012 e mi sono messo a scrivere un progetto nuovo. Che c’azzeccano? Per me c’azzeccano e mi va di scriverne.

1)      Nel libro “Recettes minute a la cocotte” di cucina francese acquistato a Colmar, con grafica e descrizioni da inturgidire le papille più riottose, sono raccontate 100 ricette che mettono naturalmente sullo stesso piano il Coq au vin, pilastro della gastronomia francese con la tajine d’agnello, il curry al pollo con spinaci, la feijoada, e non lo fanno nel caos ma con grande rigore e passione e nell’ottica di una cucina sana e di qualità. La stranezza è semplicemente che non esiste nulla di simile in italiano e se ci fosse sarebbe roba da sottocategoria “cucina etnica”. In cucina rimaniamo altezzosi e provinciali e non ci mischiamo con chi ha anche molto da insegnarci. Sì, abbiamo la tradizione più valente dell’universo e dintorni ma siamo fermi al palo alle ricette ottocentesche. Contaminazioni e sperimentazioni sono residuali e non potrebbe essere altrimenti vista la poca dimestichezza che abbiamo con usi, costumi, arte, letteratura, tradizioni, pensieri, religioni che non siano la nostra.
2)      L’inaugurazione delle Olimpiadi ha mostrato una Gran Bretagna orgogliosa, giovane, spiritosa, curiosa (si può associare anche solo un aggettivo di questi all’Italia?). Il paragone con lo l’immobile tradizione millenaria di Pechino 2008 era immediato. Nella diretta televisiva 1500 percussionisti e migliaia di volti a Londra appartenevano ai 5 continenti e erano comunque tutti very british. Nella splendida sequenza dei baci importanti non hanno temuto di metterne uno tra donne. Hanno preso in giro la Regina e i suoi cani. Hanno ricordato i minatori. Hanno fatto ballare tutti i colori della pelle. Hanno selezionato un mucchio di persone ‘diversamente belle’ e senza imbarazzo intendo proprio grassi, bassi, goffi, persone disabili, anziani, il coro dei sordomuti, i volti segnati, gli sdentati. Hanno fatto un casting antitelevisivo che da noi non sarebbe ammissibile nemmeno per un talk show di Santoro. E lo hanno fatto con la leggerezza possibile solo in chi è consapevole delle proprie forze e non ritiene che il colore della pelle e il conto aperto dal chirurgo estetico abbiano valore.
3)      Sto scrivendo un progetto che dovrebbe aiutare i decisori a impostare politiche sensate per affrontare le questioni dei flussi d’immigrazione extra-comunitaria in Italia con servizi e azioni adeguate. In particolare affronta il tema della formazione, dello sviluppo di competenze utili a lavorare da noi o nei loro paesi d’origine, il sostegno al rientro lavorativo, allo sviluppo d’impresa con la collaborazione delle imprese e dei governi. Leggo cifre e analizzo strumenti e politiche per ore. Trovo l’evidenza che senza l’immigrazione l’Europa si accartoccerebbe su se stessa, poi mi scontro con un sistema bicefalo che da una parte vorrebbe dare dignità e valore al lavoro e alle persone e dall’altra si rifiuta anche solo di affrontare il tema della cittadinanza, del diritto ai luoghi di culto, del rispetto degli usi e dei costumi.       
Ora frullo bene tutto questo e, fuor di pessimismo, mi viene naturale chiedermi come sia possibile parlare di rilancio, competitività, futuro senza un progetto di cittadinanza che coinvolga ciascuno di noi e consideri tutti sempre risorse e la diversità un valore, anche economico.  

martedì 17 luglio 2012

Una settimana a Parigi, da romano: confronti tra due città crudelmente diverse.


Se vivi a Roma, passare una settimana a Parigi (ai primi di giugno) porta inevitabilmente a fare dei confronti.
  • La capitale francese è sporca, direi più sporca di Roma, si vede agli occhi e si sente al naso. Però è molto più ordinata e gode della scelta illuminata di aver quasi bandito le auto dal centro. D’altronde la metropolitana è un reticolo fittissimo che arriva ovunque e, in superficie, decine di migliaia di biciclette solo a disposizione a uso pubblico e semigratuito.
  • A Roma se dici la parola ‘cultura’ ti aspetti in risposta il pernacchione di Sordi al lavoratori. A Parigi l’offerta culturale è stupefacente e straripante, cosi come il numero di librerie, biblioteche, cinema, musei. I grandi attrattori culturale lasciano attoniti per organizzazione e contenuto: ho visto la mostra su Tim Burton, una su Degas, un po’ di arte moderna, la gente in fila per i Maya,… Molti cinema iniziano la programmazione alle 10 del mattino e diversi offrono tessere d’ingresso illimitato per 25 euro al mese (che è meno di un polveroso abbonamento a  Sky). Le gallerie fanno tutte i vernissage lo stesso giorno (di giovedì) e diventano vere serate di festa del quartiere.
  • Sono molto nervosi, questo sì. Loro non sono abituati all’incertezza politica e economica. Hanno patito Sarkò come il passaggio di una malattia contagiosa e nulla si aspettano da Hollande. Sono disillusi dalla politica e credono molto di più in una  Francia che riparta per merito dei francesi.
  • Difendono le loro conquiste di civiltà con i denti: le 35 ore, la laicità dello stato, i servizi alle famiglie e si inventano delle cose utili a spezzare la solitudine. In quei giorni tutti erano coinvolti nella “Festa dei vicini di casa” e nei cortili e sulle terrazze migliaia di persone superavano la consuetudine del freddo cenno in ascensore per ritrovarsi a chiacchierare con un calice in mano.
  • Poi ho scoperto che fino alle medie vanno a scuola 4 giorni la settimana col mercoledì a casa e relativo caos organizzativo nelle famiglie e nelle aziende dove è difficile organizzare riunioni. Questa mi pare una emerita sciocchezza di cui mi sfugge il perchè.
  • Amano l’Italia mentre noi neanche ci filiamo la Francia. Moda, musica e film sono ben conosciuti e il cibo idolatrato. Mi è capitato ben 3 volte ascoltare parigini doc osannare la gelateria Grom che ha appena aperto in Rue de la Seine come fosse un tempio dello spirito. Imparano addirittura a conoscere i nostri vini (mi ha stupito sentirli parlare di Nebiolo e Bonarda. Solo rossi, per carità: per loro quello bianco non è vino, Champagne a parte).
  • Sono vere lucertole, specialmente le ragazze, e vedono così poco il vero sole che appena sbuca rimangono con un niente addosso che ti chiedi se il tessuto sia tassato. Tutti quei nulla svolazzanti in bicicletta godono della fortuna che il traffico sia davvero poco altrimenti gli incidenti trasformerebbero la città in un unico ingorgo.
  • Infine, parlando con molti giovani mi sono reso conto che la frattura generazionale da loro è molto più profonda e responsabile. Intendo dire che nulla si aspettano dai padri, né consigli, né raccomandazioni. Prendono atto che il mondo è del tutto cambiato e, serenamente, cercano nuove vie. 

sabato 14 luglio 2012

Fantozzi contro tutti (in memoria del posto a tempo indeterminato)

All’ombra meridiana dei pini marittimi, mio figlio srotola fiducioso 5 centimetri di lingua in attesa di sentire il dolciastro del francobollo sulle papille. Gli piace, si rende utile in una mansione vintage: manderemo alcune cartoline in technicolor alle zie non ancora raggiunte dall’ADSL. D’improvviso un flashback mi riporta al fotogramma del Ragionier Fantozzi intento al medesimo incarico: eccolo Ugo, con la sua lingua cartonata che umetta il retro di migliaia di francobolli, leccare culi, pulisce il portacenere e le vetrate del megadirettore galattico dell’azienda.
Da tempo Fantozzi è sparito, neanche lo passano più in tv: un non-modello eversivo, diseducativo e malinconico. Uno che per tenersi il posto farebbe qualsiasi cosa.
Se ne parli con chi ha meno di 30 anni ricevi solo risposte del tipo “Non lo conosco”, “L’ho visto una volta e mi dà tristezza”, “E’ una scemata”, "Noioso", "Lo guardava mi padre", con alzate di spalle distratte e annoiate. Gli stranieri, poi, non l’hanno mai amato né capito.
Eppure io/noi ridevamo, e pure tanto. E lo citavamo a memoria, e lo riconoscevamo dei nostri.
Fantozzi è sparito, perché lo spirito di Fantozzi è morto. Morte sono le ragioni che ci facevano ridere. Ridevamo perché Fantozzi era un po’ ciascuno di noi, tutti noi ne conoscevamo uno ‘vero’, un parente, un amico di famiglia, un vicino incravattato come in una garrota.
A differenza di Bud Spencer (rozzo caciarone con cervello sottodimensionato e indole giuliva) Fantozzi non si è rivelato immortale. Perché Fantozzi è il posto di lavoro a tempo indeterminato il cui possesso valeva qualsiasi umiliazione, perché dava certezze. Consentiva il mutuo della lavatrice e le rate della macchina, la sensazione di essere su un gradino e non su un piano inclinato, il pensiero che ogni giorno ci sarebbe potuto essere un bastone o una carota sulla testa ma non nel culo. Il posto fisso è finito, Fantozzi è finito. Nella società liquida Fantozzi andrebbe a fondo come una sgradevole zavorra. Per molti, oggi, le ragioni per invidiarlo sarebbero maggiori di quelle per riderne e compatirlo. Meglio andare oltre, ai vampiri di Twilight magari.
Proprio come il mio bambino col suo papà, Fantozzi in azienda si piega a tutto perché sa come il proprio legame aspiri all’eterno secondo uno schema che dai moderni team builder avezzi a farci dimenticare il precariato cronico verrebbe definito win-win anche in presenza di perenne lingua cartonata e improbabili partite a tennis nella nebbia più fitta col ragionier Filini, dell'Ufficio Sinistri.