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lunedì 22 settembre 2014

Chiude il Teatro dell'Opera e cambiamo canale.

Quello che colpisce di più in questa vicenda dei Teatri dell’Opera è che della loro sorte non frega niente a nessuno o quasi.

Roma, dove vivo, e Genova, la mia città natale, e Palermo, il Maggio Fiorentino, come molte altre in Italia hanno a che fare con buchi in bilancio spaventosi, vuoti tra gli abbonati e nessun serio programma di rilancio. 
A Roma i dipendenti a tempo indeterminato sono oltre 600, a Genova 280, tutti vorrebbero ridurli perchè i deficit si misurano in decine di milioni di euro. La politica “s’indigna, si impegna ma getta la spugna con gran dignità” perché il teatro che affonda non viene percepito come urgenza in cima all’agenda delle cose da affrontare.

La cosiddetta ‘società civile’ perlopiù tace e a spingere verso qualche soluzione non ci sono neppure i tweet o i post che di solito si sprecano per un povero platano a cui si è rotto un ramo o per un delfino spiaggiato.
La morte di questi teatri dal glorioso passato avviene nel sostanziale vuoto, e fin il sindacato mette poca convinzione nella difesa dei posti di lavoro dei professionisti che vi operano. E' infatti molto più facile spiegare ai giornali la difesa degli operai dell’Elettrolux, dei precari della Sanità, fin dei dipendenti al nero degli stabilimenti balneari, che di musicisti, balletto e maestranze di un luogo alieno alla realtà della maggior parte dei cittadini.

Tra i mille fattori che condizionano tale disinteresse collettivo è centrale, a mio avviso, la quasi totale ignoranza in materia di teatro, musica, balletto e opera. Il tutto è percepito da molti (spesso anche da me) come un retaggio del passato, di difficile comprensione, se non di rara noia. Per un non appassionato, vista una volta l’Aida, un Trovatore, una Boheme, magari una Madame Butterfly, l’argomento è evaso e  non si trovano ragioni per andare a rivederle, proprio come non si  torna al cinema per lo stesso film. L'operetta, la musica da camera e altre divagazioni sul tema proprio non sono classificate.

Lo so, la scintilla dell’amore per il teatro scocca andandoci. Non servono molte spiegazioni. La magia è nel teatro stesso e non in qualcuno che ti spieghi ‘come funziona’ o ‘cosa succede’. La musica si ama ascoltandola e facendola. Questo avviene in poche case e purtroppo già alle elementari i bambini non hanno neppure un’ora di educazione musicale (mentre 2 sono le utilissime ore di religione), le uscite scolastiche sono inoltre quasi azzerate e raramente considerano che un ragazzino possa godere – e molto - di un’ overture o di un’opera lirica. In altri Paesi, anche europei si inizia a studiare uno strumento già alle elementari.  
L'educazione è anche il fondamento per la creazione di nuovo pubblico.
Educazione dunque, e poi buon senso applicato al XXI° secolo.

Il buon senso implica che anche un Teatro dell’Opera debba ‘servire’ e ‘rendere conto’ al territorio e al mondo della Cultura e non possa considerarsi una torre di avorio dove le decine di milioni di deficit sono sempre respnsabilità di qualcun altro. 
In pochi hanno chiaro a cosa serva un Teatro dell'Opera e quale è il giusto prezzo da pagare.
So che i costi superereranno sempre i ricavi ma l’unico modo per sostenere che un Teatro abbia una funzione sociale come un Ospedale o una Metropolitana, e dunque se ne possa giustificare un ‘costo’, è renderne evidente il suo impatto sociale e culturale.

È giunto quindi il momento in cui queste strutture devono imparare a misurarsi.
Mi rendo conto come non sia facile ma senza questo sforzo di valutazione nessuno sarà in grado di argomentare perché a fronte della mancanza di asili, assenza di sussidi ai disoccupati, chiusura di reparti ospedalieri, il nostro bel teatro possa tritare milioni di euro di denaro pubblico per mettere in scena poche decine di spettacoli all’anno. 

mercoledì 17 settembre 2014

Mangio o son desto?

Nella città di A. si mangia mediamente male, i ristoranti sono sciatti, i camerieri impreparati e spocchiosi. Servono vini autoctoni di cui vanno molto orgogliosi e non si capisce il perché. Come in almeno altri 10 capoluoghi di provincia, ripetono che la loro pizza è tra le migliori di Italia (e questa come bufala è di certo migliore di quella che usano sulla pizza). Nei dintorni di A. per tutta l’estate fioriscono le sagre paesane il cui livello medio di igiene, olio e qualità è esente da controllo delle ASL perché in caso di ispezione il sindaco e il parroco ne farebbero rimuovere all'istante il direttore sanitario.

La città di A. non è la sola città italiana segnata da una disarmante pochezza in tavola. Anche a C. si mangia davvero male. In nessuna delle due città puoi trovare qualcuno disposto ad ammetterlo: credo sia il coming out più temuto dall'opinione pubblica.
A F. credono, chissà perché, di saper cucinare il pesce; contraddirli in blocco sembra maleducato e ti accorgi che un'opinione papillare potrebbe danneggiare i rapporti di amicizia.
A I., borgo del centro Italia, invece hanno una cripta protoromanica affrescata con 4 evangelisti dalle lunghe barbe e un presepe policromo su legno del '700 che stenderebbero Stendhal ma gli abitanti vanno invece fieramente orgogliosi solo di alcuni dozzinali insaccati troppo salati e di un tipo di lenticchia farinosa senza ragione di esistere a cui alcuni chef prezzolati hanno dichiarato amore mercenario.

L’intera regione L. non ha praticamente un vino che valga la pena di essere stappato ma dirlo è una eresia e l’assessore di turno invece di sviluppare il turismo culturale pompa milioni di soldi pubblici per incentivare l’export di ciofeca a 12 gradi alcoolici verso ignari bevitori cinesi  o kazaki già alticci.

Fuori dall'Italia poi ci sono intere nazioni la cui cucina non troverebbe posto in classifica neppure tra le nostre mense ospedaliere.

Eppure tutti questi, senza eccezione non riescono a esimersi da lodare banali polpette di manzo o pseudopiadine con i fagioli che diventano prelibatezze da non perdere. Per non parlare dell'olio d'oliva di cui sempre più fanfaroni si dichiarano esperti e litigano sul quale sia il migliore d'Italia. E non ne posso più di depliant turistici, siti web, discorsi sul treno, dove sembra che si viaggi, ci si emozioni, si alzino gli occhi dagli smartphone solo per mangiare. Basta coltelli di ceramica scelti per non ossidare la verdura! Obietto a regali di nozze che includono termometri per l'arrosto, wok, spremiaglio, robot multifunzione, pesciera, sempre destinati a arruginire nelle loro scatole originali. Aborro i cake designer, immorali conformisti e irrispettosi della vera destinazione d'uso del cibo.

Ed è raro trovare qualcuno che cucini, e magari sappia descrivere la differenza che provano le dita a fare gli gnocchi con o senza l'uovo nell'impasto. Questo anche se una moltitudine si inebria più volte la settimana delle gesta celebrate degli chef televisivi (il che è confrontabile al fare davvero sesso piuttosto che masturbarsi guardando YouPorn)

Lo penso. Volevo scriverlo. L’ho fatto.