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mercoledì 22 agosto 2012

Gli e-book mi fanno paura.

Gli e-book mi fanno paura, lo ammetto. Il mio è un coming out piuttosto sofferto.
Ci ho messo parecchi mesi a capirlo. All’inizio mi limitavo a evitarli, a guardarli con sospetto, a non volerli neppure toccare, a dire esplicitamente “Non regalatemelo a Natale” senza sapere bene il perché.
Ero io stesso spiazzato dal mio turbamento: con una laurea in informatica sottovetro mi aspettavo maggiore entusiasmo per un supporto oggettivamente rivoluzionario. Non sono neppure un nostalgico dell’odore della carta; sono uno che butta o regala molti dei libri già letti, e se non mi piacciono li butto anche prima, e gli faccio le orecchie, li dimentico qui e là, li compro pure su Internet contribuendo alla chiusura delle librerie.
Ma gli e-book no. Non è che non mi piacciano, no, è che mi fanno proprio paura.
Adoro trovare “Chiedi alla polvere” o “Un uomo” sulla bancarella dell’usato, a 2 euro l’uno; mi preoccupa assai averli su un oggettino di valore che mi impedisce di regalarli o lasciarli sul treno una volta letti sperando che vengano adottati da occhi anche migliori dei miei.
Mi tranquillizza solo pensare che l’e-book sia un gioco, non un libro. Allora per un po’ mi diverte la sua iperrealtà, i pulsantini o il touch, l’annotazione, la multimedialità, le modalità per rendere la lettura collettiva (quasi un ossimoro).

Mi terrorizza che qualcuno sappia se/cosa/dove/quando leggo: potrebbe presto arrivare a conoscermi meglio di me stesso e voler raddrizzare il mio status di consumatore imperfetto.
Mi spiazza poi che l’unico elemento ormai in grado di dare una minima idea di chi abiti le nostre case standardizzate (sia a chi vi entra che, spesso, a chi vi vive) possa sparire nella monodimensionalità del reader.
Mi inquieta già la certezza matematica che cambieranno presto formato ai file per vendere nuovi supporti, ‘più leggibili’, ‘più libri del libro’. Sarà poi che dell’ebook non ce n’era bisogno perché il libro va bene così: non va ricaricato, nessuno lo controlla, non è schiavo dei formati (spiegate alle mie cassette VHS, ai miei LP, e presto anche ai miei CD, dove possono andarsi a infilare).
Se il libro me lo rubano sono quasi un uomo felice. Certo, il libro brucia bene. È il suo principale difetto, e ancora nel recente passato regimi, chiese e dittature ne hanno goduto. Però se brucia un libro si accende almeno un fuoco nella notte, sale un fumo visibile in lontananza, non si può sostenere che non sia successo; se invece sparisce un file non alita neppure un chip e ti viene il dubbio che sia accaduto davvero. E mi paiono più che probabili gli scenari apocalittici in cui un virus, il Ministero della Diseducazione o la SPECTRE impediscano via software un giorno a migliaia di persone di leggere tutto o qualcosa, magari solo “quel libro lì”, in “quel paese là”.

Insomma, mi mette a disagio perché facilmente il mio reader non sopravvivrà a me stesso e il puzzle delle mie letture preferite non sarà ricomponibile in un nuovo disegno da parte dei miei figli. Se fosse per me, occorrerebbe quasi coniare un nuovo termine per definire la lettura su e-book. Potrebbe essere che lì si “e-legge”, che poi come gioco di parole m’incupisce e fa rabbrividire più di tutto il resto. 

sabato 18 agosto 2012

La Mia Austria – Seconda Parte


Nel post precedente ho raccontato cosa mi affascina, piace e stupisce positivamente di questo Paese. È facile fare i complimenti perché tutti quelli che leggono si sentono chiamati in causa. Ora, per non sembrare uno che si vende per qualche chilo di biscottini natalizi, vi racconto cosa non convince di questo bel posto. Ovviamente, non riguarda tutti gli austriaci, ma solo quello che sento:

In Austria c’è troppa Tradizione: è bella la tradizione, quando non diventa un alibi per la chiusura mentale e un ostacolo allo sviluppo delle intelligenze. In Austria ogni anno sono più ricchi e hanno meno problemi reali. Ma hanno più paure e allora diventano più conservatori, chiusi in una torre di cristallo perfetta. L’unica paura vera è quella di perdere ciò che hanno anche se la sensazione è che spesso nemmeno lo comprendano. La loro stampa, ad esempio, è di una superficialità e vuotezza imbarazzante. Allora ecco che l’ordine, il fare gruppo, magari tutti coi pantaloni di cuoio o vestiti da bambola di ceramica, pericolosamente vicini all’autarchia culturale, diventano la via più facile per affrontare il mondo.

In Austria rischiano di diventare presto berlusconiani senza saperlo: Sono preoccupato per loro. L’involuzione politica li sta portando all’Italia negli anni ’90. Forse il crollo è cominciato con la morte di Haider, il superconservatore razzista che si è stampato in autostrada tornando da un bordello omosessuale. La mancanza di un vero leader ha aperto crepe nel sistema che hanno portato alla luce giri vorticosi di mazzette milionarie. I partiti tradizionali che hanno governato negli ultimi 50 anni hanno allora perso ogni credibilità... Questa storia l’avete già sentita? Ora vi dico anche che la settimana scorsa è pure ‘sceso in campo’ il multimiliardario ottantenne Stronach, padrone della Magna (colosso industriale che ha conteso la Chrysler alla Fiat) e andrà a occupare uno spazio nel centro-destra che molti valutano già tra il 20 e il 25%. Non si sa se il partito verrà chiamato Forza Austria (sempre che Berlusconi non ne abbia registrato il copyright).

In Austria si beve troppo: ci danno dentro con vigore, pure troppo. Uomini e donne. Coppie che conosco si tirano regolarmente una bottiglia di rosso ogni sera. Dicono che aiuti a sciogliersi. Mi viene raccontato che se gli uomini ti corteggiano e non bevono non arrivano mai al punto, e se invece bevono ci arrivano troppo velocemente. Lo so, non sono i soli a bere molto, ma è triste vedere come se ne compiacciano. Sembra quasi che nell’alcool cerchino di realizzare una ‘realtà aumentata’ che non gli appartiene perché sono comunque troppo timorosi nel muoversi nella realtà concreta.

In Austria hanno la Red Bull: stavolta non riuscirei a trovare un equivalente in Italia. La Red Bull è il dominus ideologico-commerciale del paese. È una bevanda al sapore di medicinale che serve a stare svegli. Sponsorizza ogni tipo di quasi sport venga bene in televisione e se ne inventa pure decine di nuovi senza alcun senso.
Gli austriaci sono tristi perché non hanno vinto nessuna medaglia alle Olimpiadi. Non hanno capito che il loro Ministero dello Sport è una fabbrica di caffeina con le bolle che smercia una filosofia di vita che spinge i giovani a trasgressioni che non cambino nulla, una specie di ‘famolo strano’ applicato allo sport e alla vita in generale. A mio avviso quella roba lì corrode anche le menti oltre che i fegati. Non è però gradito che se ne parli male, proprio come capita della carne di balena in Norvegia (che fa schifo pure quella).

In Austria i bambini sono spesso non benvenuti: In molti ristoranti non vogliono i bambini. Secondo me è perché i minori di dieci anni non sono in grado di garantire gli stessi standard di ordine, silenzio, formalità e pulizia che sono certi di trovare in un adulto. È pieno di Familien Hotel, Familien Therme, Familien Restaurant, non so più se sono davvero per le famiglie o per dire chiaramente che negli altri posti le famiglie non le vogliono proprio. In Italia (specie a Roma), i bambini in società sono un po’ di tutti, qui non tanto.

In Austria la Chiesa Cattolica è un club: lo so, è difficile trovare posti in cui il rapporto della Chiesa con lo Stato sia più malato che in Italia ma qui se la giocano con noi. Ad esempio se vuoi essere nella Chiesa devi pagare una tassa che se non paghi finisce pure che ti pignorano i mobili. Puoi però cancellarti dagli elenchi ufficiali dei credenti e da quel momento in poi non paghi ma non puoi sposarti in chiesa, far fare la Comunione a tuo figlio e usufruire dei vari servizi e sacramenti, proprio come in un Golf Club. Un bel po’ di vescovi e preti pedofili e le sciagurate posizioni antiecumeniche di Wojtyla hanno fatto scendere di parecchio il numero di quelli che questa tassa la pagavano con gioia.

In Austria hanno cucine anti-italiane: questo – lo ammetto - è un problema solo mio. Qui hanno piastre elettriche nel 95% dei casi (le restanti sono a induzione magnetica) e questo mi fa impazzire quando devo cucinare seriamente. Questi attrezzi hanno tempi di riscaldamento/raffreddamento incompatibili con la gastronomia italiana e non sono omologabili per soffritti e cotture veloci.

Spero di non aver urtato nessuno degli amici austriaci che leggono e commentano i miei post. So benissimo che l’essere un italiano mi dà pochi titoli per criticare, ma è l’istinto dello scrittore che mi fa sempre vedere le cose dall’esterno, anche quando ci sono immerso fino al collo.
Con affetto. Prost!

mercoledì 15 agosto 2012

La Mia Austria – Prima Parte


Dopo oltre dieci anni di vacanza e parentela, sintetizzo per chi fosse interessato a quest’angolo di mondo così vicino e così diverso, come lo vedo e cosa ne penso.

In Austria la gente si fida: si fida degli altri, del vicino, dello Stato, del sistema in generale. Questo concetto lo metto per primo perché è a noi sconosciuto e condiziona tutto il resto. E quando la gente si fida, le comunità funzionano, gli anziani sono meno soli, l’indignazione muove ancora le coscienze all’azione civica, gli ultimi sono meno ultimi, i fornitori onorano i contratti, i clienti pagano in tempo,
Per spiegare un po’ il concetto, vi racconto due piccoli episodi:
·        come ogni mattina aspettavamo il postino che arriva davanti a casa col furgoncino, tira il freno a mano, entra dalla porta che qui lasciano sempre aperta e posa le buste sul tavolo della cucina; stavolta mi suocera si alza di scatto e gli va incontro con un grande sorriso; la giornata è speciale perché lui le sta portando la pensione, in contanti, guidando il Fiorino, disarmato e tranquillo, e poi la porterà a tutti gli altri pensionati della zona, per chissà quante altre migliaia di euro cash.
·        quando vedete una casa in costruzione ci sono sempre una decina di grossi pannelli accanto che fanno pubblicità alle diverse ditte, a quella che ci mette il cemento, a quella che fa l’impianto idraulico, o il giardino, o i pavimenti e così via. Già, perché tutti lavorano alla luce del sole e senza tutti i permessi non troveresti mai un elettricista che ti fa l’impianto e poi tanto l’elettricista non lavorerebbe in nero, e così via… 

In Austria è tutto pulitissimo: qui le strade, i marciapiedi, i giardini, le casette in stile Heidi, i giochi per i bambini tutto è ordinatissimo e sopratutto pulito. L’ignavo italiota si chiede “Ma puliscono le strade 2 volte al giorno?”. No, non accade quasi mai, è che qui non le sporcano, è semplice. Nessuno sporca, tutti rispettano gli spazi pubblici, elementare Fritz.

In Austria riciclano tutto: la separazione dei rifiuti fa parte di un protocollo che solo dopo una decina di anni credo di aver compreso almeno nelle sue linee principali. Riciclano quasi tutto al punto che la spazzatura indifferenziata viene raccolta ogni 15 giorni (!). C’è il vetro (che va diviso in chiaro e scuro), carta, metallo, organico, tetrapak, le capsule del Nespresso, e forse altre cose non ancora alla mia portata culturale.

In Austria resiste un bel modello di welfare: hanno un sistema di welfare generosissimo e funzionante che rispetta la persona e merita alcuni esempi per somme linee.
·        Il congedo per maternità: sono previsti fino a 20 mesi durante i quali la donna  percepisce circa 800 euro al mese, indipendentemente dal suo stato lavorativo (disoccupata, manager, non c’è differenza). Ma siccome in molte si sono lamentate per la lunghezza del congedo, lo Stato consente di accorciarlo ma, ovviamente, i soldi desiderati sono gli stessi, anzi se torni prima te ne do anche di più. La forma più gettonata prevede una indennità di 2000 euro al mese per 10 mesi di congedo. Poi ci sono gli assegni familiari che ancora a 18 anni pesano per circa 200/euro al mese ma questo ve lo risparmio.
·        Educazione: dai 3 ai 18 anni tutta l’educazione è gratuita, inclusi libri, scuolabus, e quello che potete immaginare. L’università? Gratuita ovviamente anche quella e se sei bravo e in corso ti danno un contributo per vitto e alloggio.
·        Sanità: per quello che vedo e ho provato, funziona ed è di qualità. In tutti gli ospedali, ambulatori, studi, ho avuto l’effetto “hotel” in cui mi chiedevo quante stelle avesse quella struttura (comunque sempre più di tre). Esempio, piccolo ma significativo, un mio conoscente che vive in un paese un po’ periferico deve fare la dialisi e lo Stato gli paga 3 volte la settimana il taxi per i 30 chilometri da casa sua al centro dialisi…

In Austria amano la musica: in moltissimi suonano strumenti di ogni tipo. È normale andare a casa di qualcuno per una festa o un aperitivo e trovare un quartetto d’archi che se la sviolina per il piacere di tutti. Cantano in mille cori e tutti ballano a livelli – per me - inarrivabili.
Il ballo, come lo sci, si impara a scuola, e il ballo della maturità è un evento da ricordare. Ho avuto la fortuna di partecipare a uno con orchestra dal vivo, valzer e polke fino a mezzanotte e poi DJ e luci strobo fino alle tre.

In Austria hanno attenzione maniacale alle piccole cose: la qualità della confezione di un regalo conta come il regalo stesso. Bigliettini, fiorellini, ricamini, biscottini, dettagli per un italiano medio insignificanti diventano il perno di una relazione di amicizia. Si regalano per natale un paio di calzini con allegata una barretta di cioccolato con allegata spiga di grano e sono capaci di emozionarsi per questo e ringraziarsi sinceramente per venti minuti. Un aspetto evidente di questa attenzione al dettaglio sono le casette perfette che si vedono nei paesi di montagna e gli arredamenti minimal di molti appartamenti di città.

In Austria amano l’Italia e gli italiani: questo è un mistero visto che noi siamo tutto quello che loro non sono, o forse ci amano proprio per questo. A volte penso quasi che siamo il loro Mister Hide e ogni tanto vorrebbero essere indisciplinati, rumorosi, caciaroni e furbetti come noi. Poi però mettono la testa a posto e si limitano a guardarci alzando la bottiglia di birra. Prost.

Siccome non vorrei pensaste che sono pagato per fare uno spottone, tra qualche giorno vi tocca un nuovo post su cosa non mi va a geniodi questo posto così particolare.

giovedì 9 agosto 2012

Faccio la lista dei prodotti che spazzerei via dai supermercati.


Sai quella sensazione di quando hai un post in canna ma non è mai il momento giusto per scriverlo? Ecco, ogni tanto, al supermercato, mi viene spontaneo “Ora su questo scrivo un post. Così, per pensarci sopra e sfogare un po’ di frustrazione”. Poi non lo fai. Poi viene una giornata di pioggia estiva e, siccome in casa nessuno apprezzerebbe eventuali lumache mi limito a scrivere quel famoso post rimasto appeso alle dita.
Premetto che faccio spesso la spesa e poi cucino le cose che compro. Frequento i supermercati, i negozi di via, discuto ai banchi del mercato e scambio consigli con le matrone che mi dicono la loro sul destino migliore per un carciofo o per l’arzilla.
Mi irritano i prezzi farlocchi, i prodotti tarocchi anche se di marca, quelli davanti ai quali ti senti preso per il culo.
Ne metto in fila alcuni, per una minigogna che leggerete in non più di 7, alienati dalla calura d'agosto.
Vorrei qui BANDIRE:
a)      il Nespresso e lo zucchero della stessa marca. Il Nespresso è creatura della più azzeccata campagna di marketing degli ultimi anni. Trattasi di 20 gusti di caffè tutti identici dentro a cialde irriciclabili dai colori metallizzati così improbabili che neanche la Volkswagen li tiene in catalogo. Ma soprattutto è una truffa da 50 centesimi circa a tazzina (contro i 6-7 centesimi di un espresso normale), e se usi la bustina di zucchero brandizzata Nespresso devi sapere che stai usando un sottoprodotto della barbabietola che vale circa 43 euro al chilo. Della serie: date ‘purghe ai pirla’.
b)      la pasta quando costa più di 60 centesimi a pacco (arrivo a 90 cent per quella di qualità): è provato il cartello che i produttori fanno regolarmente tra loro (e i milioni di euro di multa che hanno pagato per questo, ma i giornali ne parlano poco perché hanno le mani in pasta). E poi c'è la pasta di design, quella piccolina che cosa di più, le eliche o le magagne che costano il triplo, tutta roba per analfabeti del cibo.
c)      gli jougurtini per bambini. In primis della Danone ma anche degli altri produttori. Sono dei ditali colorati talvolta con fumetti o faccine sulla confezione che contengono lo stesso identico prodotto di quelli per adulti e costano una fortuna. A conti fatti arrivano a 10-12 euro al chilo quando un chilo di jogurt normale va via per 2-3 euro al massimo. Mi irritano perché giocano sul target “bambino”, proiezione delle nostre ansie, ricettacolo di cibi di alta qualità estetica, paraculi in grado di farsi infinocchiare da un leoncino sull’etichetta peggio dei loro padri che si fanno fregare da una gnocca qualsiasi nella pubblicità del dopobarba. 
d)      il latte a 1,80 euro e più al litro che ti viene da invocare il licenziamento dei manager che li mettono sul mercato. Come fa la Mila a distribuire a Roma un latte buonissimo prodotto in trentino  a 1,20 euro e quelli della Centrale di Roma non riescono a stare sotto il 1,80? E quando ci scrivono “Alta Qualità” non è una presa per il culo? La risposta non mi interessa, licenziateli e basta. Assumete degli stambecchi trentini che sono di certo meglio.
e)      i Pampers: sono i pannolini più cari, più fashion e colorati. Per venderli a genitori coi sensi di colpa, ogni tanto se ne inventano una per metterti ancora più in crisi: un anno sbucano fuori quelli per maschietti diversi da quelli per femminucce, l’anno dopo quelli da giorno diversi da quelli da notte. Sono una marea di cazzate. Criteri per la scelta di un pannolino: quelli che costano meno. Fine, tutto il resto è marketing.
f)        il pane a oltre 4 euro al chilo: ora, tutti conoscono il prezzo della farina, acqua e lievito e anche uno scarso in addizioni dovrebbe sentire puzza di bruciato. E si trovano fantastici pani tra 1,80 e 2,50 euro al chilo. Fuori chi non sa stare sul mercato e prova a convincerti che prezzo alto corrisponde a pane migliore, fesserie da boutique pariolina.
g)      L’olio extravergine di oliva italiano a meno di 3 euro al litro. Semplicemente è una truffa (e la magistratura inquisisce regolarmente i maggiori produttori italiani, le famose ‘grandi marche’, ma i telegiornali sono oliati a sufficienza per non parlarne). Di nuovo semplici regole aritmetiche dimostrano che non può costare meno di 4 euro al litro se viene dal sud Italia e almeno 6,5 euro se prodotto al nord. Vigilate, perchè non sapete né il giorno né l'ora in cui sarete fregati.
h)      Le acque minerali, e qui mi si accappona la pelle. Prodotto tra l’inutile e il dannoso, di norma peggiore dell’acqua dei nostri rubinetti, necessario più di ogni altra cosa a vendere la bottiglia e a far circolare qualche migliaio di TIR sulle nostre strade. Tanto per dirne una a caso: qualcuno pensa che l’acqua estratta da una falda dalle parti di Scorzé (Venezia), a due passi dalla tangenziale di Mestre, in una delle aree più inquinate del paese possa essere potabile? Bene, dicono che lo sia, la etichettano come “San Bernardo” e pure come “Guizza” (misteri del marketing) e la vendono con la rondinella sulla bottiglia.
i)        Infine vorrei bandire l’idea che il supermercato convenga rispetto ai cosiddetti ‘negozietti’ o mercati rionali. Il supermercato vince ormai solo sui prodotti di grandissima distribuzione (pasta Barilla, Olio Carapelli, Kinder Brioss e cose così) su cui può andare sottoprezzo per drogare il mercato. Perde invece per KO su tutto il fresco ma anche sul confezionato di qualità. Ogni tanto per farsi bello infila in cassetta della posta le famose offerte 3x2 o simili, falsi ideologici. Il modello del supermercato vince però, in modo schiacciante, sulle modalità della spesa: progettate ad hoc per clienti fintamente social che vogliono evitare il contatto umano, non parlare con nessuno, non rendere conto dei propri gusti se non alla cassiera e a qualche migliaio di analisti del comportamento che, osservandoli, stanno già progettando il packaging del prossimo panettone di Natale.