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sabato 9 giugno 2018

Ero anche io al Gay Pride 2018: ve lo racconto.

Quando posso vado al Gay Pride. Ci sono riuscito tre o quattro volte negli ultimi dieci anni. 
Ci vado perché lo reputo un termometro attendibile di cosa accade nel paese, perché mi ubriaca di bellezza e esagerazione, perché obbliga a pensare, perché è giusto farlo. 
Vado al Gay Pride, e vado pure al Family Day e alle manifestazioni politiche di molte bandiere. Il Pride è l’unico che non è mai contro qualcuno ma è per il diritto ai propri diritti, alla propria esistenza, all’ovvio. La differenza è tanta.

La mia prima volta è stata per il World Pride del 2000, concomitante al Giubileo a Roma. Quella volta ero al ciglio della strada, sorridevo e facevo foto. Era poco tempo prima prima che uno dei miei migliori amici facesse coming out, prima di conoscere le due ragazze innamorate che da poco si sono unite con l’ipocrita formula italica e hanno avuto un figlio, e i due amici che quel matrimonio l’hanno fatto davvero a Barcellona. Tutti loro, le loro storie, la loro vicinanza mi hanno fatto capire perchè dal bordo della strada occorra entrare nella sfilata.

Da queste giornate assorbo sempre un’esplosione di energia senza pari. E l’energia è il tratto distintivo di ogni Pride.

È un’energia diversa, da vivere, che attraverso le maschere di un carnevale arcobaleno, spesso allegorico porta
assieme la bellezza di ciascuno dei partecipanti e la difficoltà che nella vita quotidiana accompagna le vite di molti. 
Dovete vederle, assieme e orgogliose, le famiglie omosessuali; contare i gruppo di impegno; ricordarvi che esistono ancora, e sono molti, i sieropositivi che lottano per combattere i pregiudizi; vanno guardate negli occhi le ragazze che si tengono per mano sorridendo e si amano. Quest'anno c'erano sia l'Associazione Nazionale Partigiani che i gay israeliani, un capolavoro di pace e di forza che a Roma non si riesce a vedere neppure il 25 aprile.

Le donne oggi erano tante, secondo me più del solito. A mio parere, a Roma, grazie anche alla lotta e alla testimonianza di molti, negli anni scorsi si è molto stemperato il pregiudizio verso le coppie di uomini; ora è il momento di
prendere atto con della felicità che provano le coppie di donne e della naturalezza con cui vorrebbero, come ogni altra coppia, condividerla. Era il tempo che accadesse.

Mi ha molto colpito la normalizzazione che su molti piani l’economia sta facendo assai meglio della politica: c’era il carro dell’American Express, nutrite le delegazioni della Gillette e della Dash, della Tim e di tante altre grandi aziende (molte delle quali già consentono, ad esempio, la licenza matrimoniale alle unioni civili). L’acqua Vitasnella ha fin fatto la bottiglia arcobaleno; l’Inghilterra e il Canada avevano i loro carri musicali per convincere i turisti a passar da loro le vacanze.
   
La città poi era al massimo della bellezza, e gli arcobaleni dappertutto andavano verso il tesoro rappresentato da tutte quelle persone che esistono, vivono, amano e lavorano e che si sono sentite offese quando un neoministro ha dichiarato che le famiglie omosessuali non esistono.
Io esisto!” era infatti lo slogan più ripetuto, quasi parossisticamente, da decine di migliaia di persone in carne e ossa. “Meno male,” aggiungo io.