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venerdì 28 settembre 2012

Riempire le piazze come a Madrid e Atene? Ma anche no...


Per comprendere basterebbe un low cost.
Basterebbe prendessero un bel low cost, una cosa economy abbordabile per ogni testata, anche la più spilorcia. Basterebbe poco ai giornalisti e ai commentatori nostrani per capire “Perché a Madrid e a Atene sono tutti in piazza e da noi no”. Sarebbe anche utile ci raccontassero un po’ di più cosa succede in UK, ad esempio, fuori dall’Euro e messa con le pezze ai jeans molto più di noi.
I commentatori da scrivania – stupendosi per la nostra relativa quiete sociale - parlano di “anomalia” italiana, “Mancanza di vera opposizione”, “Nessuno che unifica le proteste”, e belle frasi che rimandano all’invidia per chi brucia le auto nelle piazze fa arresti di massa, momenti di certo giornalisticamente più fotogenici d’er Batman.
Basterebbe andarci per capire. A mio avviso, la loro situazione e la nostra sono imparagonabili: lo so, è indelicato confrontare il livello di disgrazia e sofferenza, anche perché le statistiche non hanno cuore ma, per capire meglio, si può fare qualche analisi per confronto. Noi non stiamo bene ma:
  • In Spagna hanno la disoccupazione al 25% e quella giovanile al 55%, hanno tagliato stipendi e pensioni almeno del 10% a parità di ore. Hanno mandato a casa almeno il 25% dei dipendenti delle società partecipate pubbliche, privatizzato anche i pompieri. Il paese è una landa desolata con migliaia di negozi chiusi, magazzini abbandonati, complessi immobiliari che non troveranno mai un compratore popolati da fantasmi. 5 regioni hanno dichiarato fallimento e le banche sono allo sbando. Dovunque vai ci sono manifesti e locandine per corsi di tedesco, perché la Germania è la destinazione obbligata per migliaia di giovani.  
  • In Grecia è due anni che sono alla canna del gas. Il taglio reale dei salari viaggia sul 30%, anche delle pensioni. Il turnover è bloccato ovunque. Non spengono gli incendi perché i pompieri neanche li hanno più. Stanno privatizzando ogni cosa con esplosione dei costi nei servizi alle persone e annientamento dello stato sociale. L’evasione è tale che pur essendo circa 50-50 il rapporto tra lavoratori dipendenti e professionisti, i dipendenti contribuiscono a più dell’80% delle tasse.
  • (Ci metto anche l’Inghilterra dove sono stato di recente, e di cui non si parla perché non è nell’Euro, con la disoccupazione ai massimi storici, un modello fallimentare di ‘Big Society’ che postula la società che si aiuto-aiuta senza spese per il sistema, le tasse universitarie pubbliche portate da 3000 a 9000 sterline l'anno, e il taglio secco nel 2011 di 150.000 dipendenti nel pubblico impiego).
Possiamo discutere sul fatto che anche da noi servirebbero misure simili, che siamo messi male, ma possiamo vedere il bicchiere mezzo pieno e prendere atto che non siamo così a terra e che potremmo riprenderci senza arrivare a quei punti. Se solo ci credessimo tutti. Se solo ci fidassimo di più. Se imparassimo a selezionare le idee e le persone con maggiore cura. Se sfruttassimo la prossima tornata elettorale anche per ragionare su un nuovo modello di Paese. Non servono SuperEroi o SuperMario ma solo tante persone normali e oneste.

mercoledì 26 settembre 2012

Fiorito, Lusi, Formigoni e l’esercito dei cloni


È interessante ascoltare il cardinal Bagnasco quando, rivolto alle volpi e alle faine che hanno svuotato i pollai, e lo ascoltano sorridenti in prima fila, li ammonisce “Che l’immoralità e il malaffare siano al centro come in periferia non è una consolazione, ma un motivo di rafforzata indignazione, che la classe politica continua a sottovalutare”. Intristisce quanto non vi sia un briciolo di senso del pudore in chi, come lui e i suoi colleghi, avrebbe potuto dire o fare qualcosa in questi ultimi anni – anche solo indignarsi davvero - ma si è limitato a incassare i dividenti dell’investimento in governi che ne hanno garantito i flussi finanziari e pochi ipocriti provvedimenti di facciata.
Del disastro culturale e valoriale in cui siamo caduti ciò che mi fa più male è la constatazione che ormai non vi è nessun moto di indignazione credibile, solo pochi proclami brontoloni, ingenui e ininfluenti su Facebook, il Pasquino del terzo millennio.
Molti sono convinti che quello che è accaduto, e continua a accadere, sia inevitabile e così, in fondo, si autoassolvono di un peccato che sanno che essi stessi avrebbero commesso se fossero stati messi nella posizione di Lusi, Fiorito e maialame vario clonato dall’unto. Perché è lì che siamo arrivati: alla fine della coscienza morale intesa come la capacità di distinguere il bene e il male e di agire di conseguenza.
Tutto è permesso fuorché uccidere, e la pervicacia con cui non si vuole una legge per dare dignità alla ‘fine della vita’ sembra quasi la foglia di fico per non dire che davvero tutto è permesso a chi è clone, o aspira a diventarlo.
L’opera di ricostruzione non in questo caso non può coincidere con l’equivalente sforzo necessario in un dopoguerra, in cui ‘la meglio gioventù’ si chiama a raccolta per riannodare i fili spezzati, dare speranza sviluppare opportunità per tutti, ma non può che essere una dichiarazione di guerra all’ignoranza, all’egoismo, alla partigianeria, all’arroganza, alla paura, al nepotismo, all’ipocrisia, fatta da singoli che si riconoscono reciprocamente autoimmuni dal virus che ha danneggiato il dna di milioni di persone, specialmente giovani. E si organizzano, e hanno pazienza, e coraggio, e idee e sogni. Per ricostruire fiducia e coesione sociale. Per liberare l’Italia dalle catene che gli italiani si sono lasciati mettere a patto che fosse in diretta tv.

sabato 22 settembre 2012

Disoccupati di tutto il mondo: fate sempre e solo "cheese"!


Li ammiro i pubblicitari, i creativi, gli sceneggiatori, non demordono e inseguono il cliente senza fermarsi davanti a nulla: mitizzano la sfiga se serve, trasformano il disagio (altrui) in (loro) opportunità, cambiano la semantica dei termini, sorridono a chi annega nel fango sperando così di portargli sollievo. In tempo di crisi i consumatori sono disoccupati e, certo, duro diventa il loro lavoro se il disoccupato gli si deprime, se non spende più per trastulli inutili, rinuncia al prodotto di marca, non aggiorna le app dello smartphone o l’auto, smette pure di farsi lo spritz e di scommettere sui goal dell’Albinoleffe.
Il fatto che un paio di generazioni non comprino come e cosa si è deciso per loro li mette in crisi.
Ecco allora che il genio si accanisce sul disoccupato per convincerlo che 'disoccupato è bello' e pure fascinoso, e evitare di diventarlo lui stesso.
UNEMPLOYED OF THE YEAR” è la nuova campagna di Benetton per vendere magliette e calzini. In Benetton, ovviamente, non si capacitano del fatto che i disoccupati stiano diventando consumatori imperfetti e preferiscano rattoppare la mutanda piuttosto che comprare l’underwear e considerino i jeans ereditati dal cugino un dono del cielo. Per questa pubblicità hanno preso attori a cui hanno assegnato la parte dei finti disoccupati in completino mistolana e camicetta noironing, e inneggiano alla fortuna di essere a spasso perché così si ha il tempo di partecipare tutti a un concorsino per vincere 5.000 euro, giusto quanto serve a cambiare il guardaroba.
Come il disoccupato sia incastonato nel cuore dei media e nel mirino degli inserzionisti è evidente anche in “THE APPRENTICE”, il nuovo reality in cui Flavio Briatore, improbabile leader senza macchia e senza paura, icona di coloro che hanno finora consumato il presente dei giovani per dare un futuro a se stessi,  taglia teste a baldi volontari lampadati che vorrebbero lavorare per lui (e già per questo andrebbero comunque puniti).
Si percepisce la necessità di aver un bel disoccupato tranquillo, pulito, integrato e pettinato, del cui benessere preoccuparsi, disposto a tutto per essere all’altezza di ciò che chi ha pianificato il suo futuro si aspetta da lui, voglioso di essere adottato ma non progettato per essere rispettato.
Sembra opportuna l’istituzione di un cavalierato anche per il non lavoro. Già ne posso immaginare la celebrazione, con Emanule Filiberto che consegna il titolo di Cavaliere del Non Lavoro a Pino da Perugia che si è comprato il Freelander coi soldi della pensione dei nonni e a Sara da Pordenone che ha raggiunto l’invidiabile primato di 30 stage non retribuiti.
Sì, del disoccupato ne propongo la nomina da parte dell’Unesco a Patrimonio della Pubblicità.

giovedì 13 settembre 2012

Il papà manager (assente): Complementi di educazione per genitori (caso 2).


Nel mio percorso di gavetta genitoriale, dopo l'incontro con la nonna sussidiaria di qualche tempo fa, trovo oggi rilevante questa discussione avuta col padre manager.
Lui è un dirigente di alto livello che ha da poco superato i 60 anni. Mentre mi parla gesticola continuamente. Con me si è sempre molto aperto, gliene sono grato perché mi dà spunti di riflessione e neanche so perché lo fa. E' sempre incuriosito dalla mia scelta di fare molto il papà, a volte credo quasi che mi studi, o attenda il mio ripensamento, o chissà cos’altro. Di colpo mi dice: “Sai, credo di essere stato un padre molto assente e che questo abbia provocato danni profondi nei miei figli, e nella mia famiglia in generale”. La figlia grande ha 30 anni, il maschio 25. “Li ho lasciati in carico a mia moglie, una donna dura, religiosissima. Li ha educati lei. Io intanto guadagnavo in giro per l'Italia. Tanto. Avevo in testa il dovere di assicurargli un benessere duraturo e ricco. Gli ho comprato una casa ciascuno, e una casa al mare. Gli ho pagato ogni cosa”. Mi ha guardato come se fossi stato uno di loro: “Non ho fatto bene. Ho sbagliato. E ora è tardi”.
Non avevo nulla da dire.
“Tutta l’educazione, le basi che determinano come sarai da adulto, si concentra nei primi 5 anni dei bambini. A 10 hai già finito il tuo lavoro vero. Quello che viene è il raccolto o invece una inutile rincorsa a tappare buchi…” e ha proseguito lungo la strada delle occasioni perse. “Mia figlia è diventata una fondamentalista religiosa come la madre e si scontrano continuamente senza ascoltarsi. Il maschio è ateo e disinteressato a noi. Mia moglie ha il pallino della medicina naturale e loro si curano anche il raffreddore cogli antibiotici. In casa c’è sempre una tensione che ti vien voglia di uscirne… ma non posso dare la colpa a mia moglie, la colpa è solo mia che sono uscito troppo quando ci dovevo essere”. Ho solo annuito, prendendo nota.

sabato 8 settembre 2012

Sto dalla parte dei lavoratori se qualcuno sta almeno un pochino anche dalla mia.


Qualche settimana fa una matrona veggente dell’INPS, guardando nel mio futuro ha affermato che potrei andare in pensione a 67 anni e 2 mesi. Ha anche estratto alcuni numeri corrispondenti all’ammontare in euro che percepirò quel giorno, una cifra spiritosa se non mi sbrigo a metterci sopra una ‘pensione integrativa’. Ha infarcito le sue frasi di “forse”, “probabilmente”, “se non cambia la legge”, “con le regole attuali”, che hanno reso del tutto aleatoria ogni altra sua affermazione e mi hanno sempre più convinto che lo schema “lavora, risparmia e alla fine goditi il meritato riposo” tende a avvicinarsi troppo all’eterno riposo.
Non è che non lo avessi sempre pensato. “Lavorano solo quelli che non sanno fare altro”, me lo ha detto a tavola Massimo Bucchi, l’autore geniale della vignetta quadrata al centro del quotidiano ‘La Repubblica’. Lui è un toscanaccio irriverente e buttata lì così l’affermazione sembra un’offesa a chi il lavoro non l’ha ma in realtà è un esorcismo per chi non vuole pensare che dovrà lavorare per tutta la vita e poi morire e dunque vuole illudersi che quello che sta facendo sia altro, magari un hobby evoluto, un passatempo totalizzante, un disturbo che poi passa.
Le cose stanno cambiando più velocemente del sistema che le deve prevedere e governare. Che l’Ilva di Taranto fosse una follia da ogni punto di vista era risaputo, così come lo è l’Alcoa e le miniere di carbone in Sardegna, ma lo è anche la Fiat da almeno 30 anni e molte altre realtà utili solo alla politica, sostenute dalle nostre tasse, pilotate spesso da incompetenti totali se non da ladri in doppiopetto, distruttrici di territorio. Così come una follia sono stati i baby pensionati, ma anche i pensionati a 50-55-60 anni.
Ora il banco è saltato, il modello scricchiola, Schettino che abbandona la nave diventa un furbo da imitare: la rabbia di molti scagliata contro la ‘casta’ serve anche a scaricarsi di responsabilità e a negare che il debito pubblico, il disastro morale e ambientale non siano prodotti anche dall’aver vissuto per decenni nell’ignavia.
È l’ignavia di chi non chiede la ricevuta fiscale, degli inquinatori che avvelenano i propri figli, dei sindacati che difendono privilegi e storture immorali, del lavoratori che non lavorano, dei manager che pensano 60 volte al minuto solo al proprio culo e alla propria sedia, delle banche che piegano la realtà ai propri dividenti, di chi con piccole e grandi mafie scende a patti ogni giorno.  
Ma gli ignavi vanno all’Inferno, di questo sono certo. Non sono molti, sono moltissimi, e il guaio è che ci trascinano anche molti che le responsabilità proprio non le hanno: tutti gli altri.
Ormai è chiaro come non si possano salvare certi posti di lavoro, servirebbe solo a prolungarne l’agonia spendendo un altro fiume di denaro. Come le logiche che governano il pubblico impiego andrebbero del tutto riviste. Servono coraggio, idee, cuore e, soprattutto, fiducia. Allora le soluzioni nascono e si sviluppano, i soldi si trovano, eccome.E anche molti ignavi possono aprire gli occhi, perché sono un ottimista e penso che se si costruisce un contesto di fiducia le persone cambino
D'altronde queste operazioni, senza la fiducia, le fanno solo i regimi totalitari, che molti gradirebbero, è evidente, ma che io spero si sia in grado di evitare.
Sto dalla parte dei lavoratori, dunque, se qualcuno sta almeno un pochino anche dalla mia.