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martedì 30 giugno 2015

La tirannia del weekend sempre impegnato

Permettetemi uno sfogo: è un numero imprecisato di weekend che lavoro.
È vero, non sputare mai nel piatto in cui mangi e ringrazia, però non posso esimermi dal notare come da tempo molte delle cose più interessanti avvengano nel  fine settimana.

Possono essere festival, docenze a master, workshop sull’innovazione, sessioni di coprogettazione, o altre diavolerie interessantissime che ti spingono ogni volta pensare “Voglio esserci, per imparare, per scambiare, per partecipare, per dare maggiore spessore ai miei progetti, per ascoltare X che da tempo vorrei incontrare di persona”. 
A volte mi pagano per partecipare, per tenere una relazione o animare un incontro; a volte è pari e patta con una branda e una cena; altre volte pago e sono pure contento di farlo.
E i weekend passano così… come se fosse sano, normale, così da sempre. Non è vero, una volta c'erano le grigliate, l'abbronzante, la gitarella senza post-it né visual map. 
È un segno dei tempi? Devo forse imparare a staccare da tutto il martedì mattina per spiaggiarmi a Capocotta senza sensi di colpa? Le risposte arrivano lente, intanto io arranco per sfiancarmi nei brainstorm del weekend dopo una settimana già a testa bassa.

E poi le Summer School, dove le mettiamo? Una organizzazione che si rispetti deve sempre avere la sua Summer School per non sembrare un dopolavoro o un cenacolo di allegri burloni. Sono tante, attraenti e pure tutte interessanti. Però la School  sta alla violazione delle vacanze estive proprio come i finesettimana sempre pieni lo sono per il riposo.  

Allora ti assale il dubbio…
Che dietro il design thinking ci sia soprattutto voglia di contarsi, riconoscersi, misurare la quantità di speranza che possiamo permetterci di nutrire.
Che le alchimie della misteriosa blockchain non vadano davvero capite ma servano a dirsi: per guadagnarci la birretta al tramonto proviamo a sudare assieme riflettendo sul futuro. Che la Social Innovation sia un'assunzione di responsabilità a tempo pieno e - detto ciò - se ti perdi un TED per svaccarti in agriturismo ci guadagni sia in salute che in conoscenza. 
Che in fondo tutto questo incontrarsi e per affrontare i problemi sia uno speed date della conoscenza, una specie di piattaforma antiedonistica e laica che trasforma il capitale intellettuale in strumento di seduzione e sedizione.

Ora che l'ho scritta non è che la cosa mi spiaccia, mi sono un po' pacificato.
Però per chi ha famiglia e pupi, come il sottoscritto, rimane sempre acrobatico spiegare come l’ennesimo weekend a zonzo sia proprio necessario e importante (perché nessuno ti chiede mai di giustificare l'urgenza e l'importanza di cosa fai il martedì mattina.)

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Dedicato con affetto a tutti gli amichetti che si sbattono per organizzare tutto questo ben di dio. Incluso me stesso e coloro con cui sto progettando con entusiasmo 2 Summer School, domeniche di docenza già in agenda, attività di co-living e varie e eventuali che danno gusto e senso anche a quello che faccio in settimana.


sabato 20 giugno 2015

Family Day 2015: c'ero e ve lo racconto.

Torno ora da Piazza San Giovanni dove si è tenuta la manifestazione Family Day 2015, contro le unioni civili, le adozioni gay, e tutto quello non sancito nell’Antico Testamento.
Ho visto abbastanza concerti del Primo Maggio per stimare i partecipanti al massimo 100.000; la questura dice 400.000 e glielo ricorderemo alle prossime manifestazioni. Nello specifico: la piazza era piena, nessuno però nei vialoni adiacenti.

La prima cosa che colpiva erano i bambini: tantissimi, ovunque, sfatti, stravolti dai lunghi viaggi, dal rimbombo di parole incomprensibili, dall’assenza di spazi per il gioco, dal disinteresse e nervosismo da parte degli adulti tutti impegnati a seguire i relatori. Molti neonati e pupetti ancora in carrozzina. Perché erano lì? Per far numero? Per punizione? L’impressione era che fossero strumentalizzati come feticci da mostrare ai media, da difendere dal mostro del GENDER (ne parliamo dopo).

La seconda cosa che ho notato è stata la falange di Forza Nuova
con le sue magliette stirate, i manifesti ordinati su più file, il brivido di poter stare in Piazza San Giovanni così vicina a Piazza Venezia, che già si pregusta nell’eco di quei discorsi sulla famiglia ‘tradizionale’, sui valori del passato, sull’insegnamento dei nonni e genitori. Poco più in là c’era il neonato Fronte Nazionale,  lepeniano, con tricolori e facce ugualmente littorie.

La terza cosa era vedere come tutti tirassero per la giacchetta Papa Francesco, tutti a dire e urlare “Il Papa è con noi”, impegnati a cogliere in qualche oscura parola dei suoi discorsi una benedizione alla crociata contro il GENDER e a smentire le smentite del Vaticano in materia. Nessun citava il cristallino e famoso “Chi sono io per giudicare i gay”.
Era evidente l’imbarazzo davanti a un Papa che non se li fila proprio, che legge la complessità senza paura, .

E poi il clou: tante famiglie. Moltissimi giovani, anche nell’età della ragione. Parecchi preti e suore.  Tanti registravano coi i telefonini gli interventi. Una folla attenta e desiderosa di riconoscersi. Ben organizzata da parrocchie, circoli e associazioni. Nessuna curiosità o libertà, piuttosto un esercito silenzioso che si vive lo scontro come inevitabile, anche perché neppure conosce il nemico. Ne ho apprezzato la compostezza, pacatezza quasi. Mi hanno colpito davvero.
I manifesti erano concordati, tutti uguali, privi di fantasia nelle parole. Tutti a indicare il GENDER, questa fantomatica filosofia, come nemico canceroso per la società, che le darà morte se non fermato e estirpato quanti prima. Qua e là, gentili signore volantinavano preghiere contenenti maledizioni a Hollande e rimandi francescani, altre diffondevano un indirizzo mail a cui denunciare i progetti GENDER nella tua scuola.

Gli interventi erano tra il bizzarro e il fondamentalista. La maggioranza senza coerenza tra premesse, svolgimento e conclusioni. Spesso sigillati da opportuni passi delle scritture che da soli dovevano spiegare tautologicamente tutto.
Spiccavano l’intervento del padre della famiglia con 11 figli che accusava il sistema scolastico di non meglio precisati condizionamenti ideologici che io avrei definito “presentazione di punti di vista diversi da quello di tuo padre che ha schiavizzato l''utero di tua madre". Notevole l’intervento di repertorio standard dell’ex PD Adinolfi, professionista del poker, acidamente invidioso di Scalfarotto e sconclusionato opinionista del quotidiano La Croce, che ha raccontato di come Elton John ha affittato un utero e fatto soffrire le madri a cui così ha sottratto i figli. Poi è venuto un altro professore convinto che il matrimonio omosessuale avrebbe svuotato asili e parchi giochi. Tutti lì a pompare sui pedali per un posto in parlamento appena si rivoterà.

Il fondo lo ha toccato “Colui che tutti attendete!”, tale Kiko Arguello, spagnolo iniziatore del cammino neocatecumenale che ha catechizzato a lungo la piazza con brani dell’Apocalisse, musicati da lui stesso.
Ha esordito chiedendo “Cosa significa essere cristiani adulti?” Bella domanda. Ha risposto che vuol dire “Amare il prossimo anche se è un nemico”, bell’inizio di risposta. Ha poi aggiunto solo “La moglie è un nemico, il figlio è un nemico e bisogna amarli” e ha chiuso con una canzonetta che mettesse una pezza al vuoto sul perché solo gli etero abbiano diritto a una unione benedetta da Dio. Poi ha aggiunto che l’educazione al rispetto tra i generi non serve a diminuire i femminicidi; “Perché?”, si è chiesto il mio povero neurone. Kiko per spiegarlo in modo semplice ha citato salmi e antico testamento, tarallucci e vino, ha urlato che Cristo è morto per noi e che la Madonna è piena di Luce, e trallalero trallalà come spiegazione sui femminicidi.

Insomma, un sano fact checking proprio del XXI secolo avrebbe sbugiardato due terzi delle tesi presentate inclusa la credibilità dei relatori. Le cose più serie erano quelle fondate sull’Apocalisse, la Genesi, san Paolo che – si sa – sono fonti attendibili e riconosciute anche dal CERN.

E il GENDER? Bho? Volevo capire qualcosa in materia ma niente. Tutti a impregnarsi le fauci in un
diffuso “E' ‘na brutta cosa che rovina la famiglia”. Molti travolti da catene di messaggi su Whatsup che asseriscono come in Germania e Francia alle elementari venga insegnata la masturbazione e alle medie la copulazione in luogo pubbligo.

Quello che ho visto a San Giovanni, e mi preoccupa, è cristallina paura per i propri figli, preoccupazione per l'incapacità di capire il mondo e dunque educare alle sfide, tanto bisogno di risposte semplici e diffusa solitudine. Poi ho visto schiere i falchi in tonaca e in politica che di tutto questo si faranno un bel boccone.

Sono contento di esserci andato. Volevo uscire dalle battute su Facebook e dai talk show sul tema.
Si tratta di temi che mi riguardano personalmente perché oggi tocca ai gay, domani a chi legge Pasolini, dopodomani a chi pubblica Baumann o Harry Potter, e poi chi non vuole mettere la divisa, chi la domenica non va in chiesa, chi usa il preservativo, chi non saluta la bandiera, poi a me.