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giovedì 23 aprile 2015

Idee innovative, azioni, approcci differenti per favorire l’occupazione dei giovani.

Percepisco molte novità nell’aria.
Qua e là c’è aria di ripresa. Non riguarda tutto e tutti, la senti in nicchie di mercato che guardano all’innovazione, all’internazionalizzazione, che riescono selezionare e motivare talenti in gradi idi fare la differenza per capacità, apertura alla contaminazione, padronanza del loro tempo.
C’è nell’aria poi una deriva anarchica legata alla perdita di rappresentatività e di senso in molto sistema pubblico che per missione, progetti e azioni pare indietro di vent’anni e impaurito dalla sua stessa ombra.
C’è anche aria di nuovo. Ne vedo molto in materia di mercato del lavoro e di sevizi per l’occupazione. Le persone, i cervelli migliori, si incontrano e immaginano in base alle necessità dei giovani e delle aziende.
  • Alla base di questi ragionamenti vedo ad esempio con grande favore la mobilitazione creativa per l’occupazione giovanile  PreOCCUPIAMOCI di RENA, McKinsey e TraiLab per mappare iniziative, progetti e azioni in atto per rispondere in modo efficace e innovativo alla richiesta di occupazione da parte dei giovani (indagine aperta ancora fino a fine Aprile). In tanti si occupano di incrocio tra domanda e offerta e molti con metodo e efficacia. Conoscerli serve a tutti, magari con l’idea di imparare e rendere sistemici gli interventi. Indagini del genere oscurano nella loro inutilità centinaia di volumi prodotti da ISFOL o Osservatori vari centrati spesso sui servizi, sui processi burocratici e per niente su necessità e impatti reali. E vista la lunga lista degli Enti partner di questa indagine credo di non essere il solo a pensarla così.
  • Vedo di nuovo con grande favore da punto di vista dell’utenza la nascita di piattaforme tematiche per l’incrocio domanda-offerta di lavoro come quella davvero ben fatta appena lanciata da Art Tribune relativa ai profili dell’arte, creatività, design e dintorni.
  • Sono incuriosito oltre misura da un progetto ambizioso come quello di Whatchado che tra poche settimane esce in Italia dopo l’enorme successo avuto nei paesi di lingua tedesca con la logica di raccontare alle persone migliaia di professioni ‘mettendoci la faccia’ e aiutando i giovani a capire la complessità del sistema fuori dalle poche professioni telegeniche. Tra le migliaia di professioni raccontate ci sono anche quelle di cui le aziende hanno bisogno ora, rendendo così più logico e naturale l’incrocio. Lì ad esempio ho appreso che le banche e le assicurazioni non ricevono i cv degli esperti in comunicazione digitale – che desiderano per ammodernarsi - perché viste come posti di lavoro ‘vecchi e noiosi’. Gli infaticabili raccoglitori di storie professionali di Whatchado sono arrivati anche a un profilo indefinito come il mio e lo hanno messo nella loro banca dati.
  • Infine vi lascio con questo splendido video francese in cui si mostra ancora un altro modo bizzarro e efficace di favorire l’incrocio tra domanda e offerta


Insomma, molto di nuovo e di interessante si muove sotto il sole.

domenica 12 aprile 2015

Garanzia Giovani e Servizi per l'Impiego: cosa servirebbe e cosa invece non serve ai lavoratori.

Sono circa 1,5 i miliardi di Euro che si stanno bruciando in questi mesi in una inutile iniziativa denominata Garanzia Giovani. È un intervento di sostegno ai giovani senza lavoro deciso nel 2013, su cui Istituzioni, Enti di Formazione e Agenzie varie si sono accapigliate per oltre un anno a definire i criteri con cui dividere il bottino e l’alibi con cui farlo. A due anni dalle decisioni europee molte regioni stanno ancora definendo le regole del gioco (qui qualche dato).
Le azioni proposte seguono percorsi che si chiamano Orientamento, Tirocinio, Apprendistato, Formazione, Autoimprenditoria (che associata alla parola Giovane NEET suona come un ossimoro). Tutte  parole create nella forma e nella sostanza negli anni ’90, quando il ministro di riferimento era Treu, il tempo indeterminato era per molti ancora un obiettivo realistico  e Internet lo usava solo la NASA. In breve, un piano destinato al fallimento in culla e i suoi progettisti destinati al girone degli ignavi.
Inoltre, la Garanzia Giovani e il Job Act stesso si calano in un contesto in cui i Servizi per l’Impiego pubblici sono evirati di testa e braccia con l’abolizione delle Provincie e revisione della conseguente delega in materia, e la fantomatica costituzione di una Agenzia Nazionale per l’Impiego da edificare in 2-3 anni sulle carcasse di ISFOL, ItaliaLavoro e (buon senso direbbe) la parte di INPS che eroga gli ammortizzatori sociali.

In generale, credo che il mercato del lavoro possa vivere solo se è funzionale a una strategia di sviluppo e investimento sui settori economici ai quali l’Italia è vocata e, in parallelo, rendendo più facile la vita di chi tenta di creare lavoro in termini burocratici, di accesso al credito, di legalità, di giustizia fiscale.

Ho più volte scritto su questo blog come a mancare non siano i soldi ma le idee e il rimpallo tra le istituzioni e le parti sociali sia il segno della diffusa incapacità a confrontarsi col presente.
Per lavoro e come cittadino, assisto allo sviluppo di molti servizi per l’impiego che, nell’assenza istituzionale, portano risposte e efficacia. Vedo anche il pericoloso distacco crescente tra pubblico e privato e la progressiva inutilità del pubblico rispetto a un privato che si auto aiuta senza considerarlo e neppure chiedendogli più soldi.
Nei servizi attuali non si vedono azioni di senso in relazione alle nuove forme di lavoro, allo sviluppo delle competenze legate lavoro autonomo che riguarda almeno il 70% dei nuovi assunti. La cosa più innovativa è forse il Contratto di Collocazione in troppo timida sperimentazione, che riprende prassi che in UK hanno ormai 15 anni e che già vengono ripensate perché superate dai tempi.
Quello che invece vedo è:
  • il nascere di veri e propri pezzi di servizi attivi del lavoro fuori dal sistema, in luoghi come i fab lab, gli spazi di coworking, gli spazi per makers, non nella logica modaiola delle start up (chimere sopravvalutate per pochissimi) ma come luoghi dove avviene l’apprendistato alla libera professione, non sancito da alcuna legge ma destino che riguarda la stragrande maggioranza dei giovani.
  • la fine sul campo della retorica delle relazioni intergenerazionale di molti progetti-fuffa in cui “gli anziani passano competenze e relazioni ai giovani” o del "salviamo i mestieri che non ci sono più". Gli over 50 sono spesso espulsi perché a disagio nelle richieste del mercato del lavoro e sono loro le fasce deboli che i giovani possono sostenere e attualizzare. I mestieri non ci sono più quasi sempre perchè non hanno più senso. Gli stessi over 50 si sforzano di adattarsi a un mondo dove le relazioni (come tutte le informazioni) non sono potere se tenute strette ma solo se scambiate.
  • Grazie alle piattaforme online, è possibile la disintermediazione di ogni servizio e la nuova centralità di concetti come la reputation del candidato e il branding dell’azienda. Se parliamo di lavoro, è già la fine dei modelli on line dell’incrocio domanda offerta pubblici e privati (peraltro in Italia irrilevanti dal punto di vista statistico) per un modello su cui trionfano modelli di selezione in cui l’evidenza pubblica della vacancy c’è se genera anche branding all’azienda, altrimenti i canali di ricerca rimangono ‘informali’.
  • La necessità del bastone e della carota. Nessun servizio può essere standardizzato se non risponde alla regola per cui gli ammortizzatori sociali vengono erogati solo se il lavoratore si attiva davvero per cercare lavoro. La retorica del reddito di cittadinanza è dunque spazzata via dalla logica del reddito minimo garantito, garantito solo “se”. Oggi questo non succede, mai, neppure quando la legge in qualche modo lo imporrebbe come nella CIGS e nella Mobilità.  (Voi lo immaginate in Italia un impiegato del centro per l'impiego che ‘tiene famiglia’ e rifiuta l’assegno a un utente perché non si è attivato, magari lavorando in nero? Io no)
  • La lettura intelligente dei dati. La progettazione dei servizi è scalata di modello con l'uso dei dati. Anche in Italia sono in atto hackaton interessantissime sul come mettere in relazione la grande mole di dati sul tema per comprende il mercato del lavoro e sviluppare servizi che rispondano a esigenze reali e non alle lobby.  Non pensate perà di trovarvi funzionari o accademici, queste nuove piste di lavoro le sviluppano gruppi di cittadini che poi riporteranno alle comunità e ai territori la conoscenza messa a punto.
Lo avrete capito, quello che mi tormenta di più oggi è la mancanza di dialogo tra mondi che si sono voltati le spalle per comodità, autodifesa, paura, interesse e nell'allontanarsi uno dall'altro sfaldano il terreno su cui poter costruire un futuro solido per chi c'è e chi verrà. Bisogna lavorare per ricucire. 


lunedì 6 aprile 2015

Lo Yemen è in guerra. Ci sono stato e lo ricordo così...

Le prime pagine dei giornali, le aperture dei tg, vanno ovunque tranne che in Yemen. Da settimane lì è in atto una guerra sanguinaria e devastante in cui gli aerei dell’Arabia Saudita bombardano Sana’a, la capitale occupata da settembre da i sostenitori dell’ex presidente Saleh, sospettato di appoggiare i ribelli sciiti filoiraniani Houthi. Il Parlamento è stato sciolto e il paese è in preda alla totale anarchia per bande. Il presidente in carica è scappato a Ryad. Una situazione drammatica per gli abitanti e che interessa alla dilomazia internazionale meno della Siria. Ci sono pochi cristiani coinvolti e zero bianchi e dunque nessuna notizia da raccontare.
Ci sono stato in uno dei più bei viaggi della mia vita, sicuramente il più magico. Ero lì nella finestra temporale tra la guerra che unificò il nord al sud del paese e l’11 settembre 2001.
È (era?) un posto unico al mondo. Per molti aspetti andarci era anche un viaggio nel tempo. Un luogo dove la natura, gli uomini, le armi davano a me, bipede occidentale, la sensazione di un ‘altrove’ dominato dalla forza e votato al sacrificio.
In quel viaggio il Paese era in pace, una pace dura e spigolosa con pochi sorrisi e tensioni serpeggianti in ogni angolo. Per ricordarlo e accendere una piccola luce su quel posto, provo lasciare qui qualche briciola di quel viaggio:
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L’unicità di Sana’a è confrontabile solo con quella di Venezia. Pur non avendo avuto un Canaletto a raccontarne lo splendore, i palazzi altissimi ne hanno la bellezza e la raffinatezza. Solo che al posto dell’acqua le fondamenta sono piantate nella sabbia del deserti.
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Sono palazzi in argilla e mattoni, labirintici all’interno e costruiti per ingannare il caldo. Fuori si ergono superbi con le loro decorazioni bianche in calce che hanno la finezza e la bellezza dei ricami più preziosi
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Gli uomini indossano tutti l’abito tradizionale lungo e a nessuno che abbia più di 14 anni manca il coltello ricurvo, la jambia. La portano come noi faremmo con la cravatta. Molti non disdegnano anche girare con la pistola, il fucile, il kalashnikov.
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Durante un lungo trasferimento in pulmino dal nord al sud del paese, l’autista si fermò in mezzo al nulla, dispose delle bottiglie a trenta metri da noi e, per un dollaro a colpo, fece provare il mitra ai viaggiatori che lo desideravano
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Gli stessi kalashnikov venivano scaricati verso il cielo ogni sera allo scoccare dell’ora in cui si poteva rompere il digiuno legato al ramadan. Le prime sere trattenevo il respiro fino alla fine di quegli sbotti di gioia, poi mi limitai a rimanere al chiuso.
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Le donne, tutte imprigionate nei loro burka si muovevano silenziose nelle città e zappavano la terra nei campi. Nei mercati la biancheria intima coloratissima e traforata ammonticchiata nei banchetti, completava una sudditanza culturale che a noi turisti appariva parte di una tragica schiavitù.
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A parte pochi hotel a 5 stelle per ricchi americani, blindati e senza senso, nessuna infrastruttura turistica. Abbiamo dormito e mangiato nei funduk, luoghi di sosta carovanieri dove dividevamo cibo semplice sullo stesso pavimento coperto di tappeti dove avremmo poi dormito.
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Il ghat, una pianta alcaloide parente della coca, masticata da tutti, che inebetisce e rende automi e senza volontà, e che distrugge i denti e brucia quasi il 50% del PIL del paese.
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Le carcasse di carri armati di fabbricazione russa abbandonati lungo le strade e furi dalle città, coperti di sabbia o usati come parco giochi da mille bambini sorridenti.
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Le spiagge, magnifiche e deserte, sull’Oceano Indiano dove all’improvviso tre donne in chador con visi solari e modi gentili dispongono su foulard colorati decine di conchiglie, forse rare, di certo magnifiche. Ancora oggi, quandole rigiro tra le mani, sento il mare senza neppure il bisogno di portarle all’orecchio.
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Il cappotto di fustagno con bottoni dorati, residuo dell’alta uniforme di un ufficiale inglese delgi anni '30, che ho comprato al mercato dopo una interminabile contrattazione.
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Shihara, il paese a 3000 metri d’altitudine, palazzi di argilla, aquile, dove è anche l'abitazione di Franzisca, giovane yemenita innamorata in qualche modo ricambiata di un viaggiatore italiano arrivato lì un paio d’anni prima.