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lunedì 14 settembre 2015

Tutti in Sardegna, la Sardegna non per tutti.

Ho avuto il piacere di essere selezionato nel team di esperti esterni del Primo Festival della Resilienza a Macomer, organizzato dall’infaticabile Associazione Propositivo. Forse mi sono per la prima volta avvicinato a comprendere lo specifico della Sardegna. 
Il Festival era realizzato in modalità “brainsurfing” e dal nome in poi era tutta un’incognita. Mi è parsa subito una sfida da cogliere, un po’ incosciente, un po’ per sognatori. Si è trattato di osservare con occhi nuovi un territorio ricco di potenziale e di criticità, con molta gente in gamba desiderosa di confrontarsi, innamorata di quei posti bellissimi e difficili.
Per una settimana a Luglio ho incontrato lo splendore della Sardegna. Nel sudore dei pomeriggi a 40° e nelle serate ai nuraghi mi sono confrontato, portando quello che sono. Ho goduto di un’ospitalità smisurata e li ho sentiti ammettere di come invece siano restii nell’accoglienza, li ho visti impegnati a creare ponti con la Cina e gli USA ma anche involuti nella complessità di 8 inutili province (nonostante abbiano meno abitanti della sola provincia di Torino), centinaia di micro e antifunzionali comuni seduti in ragioni antistoriche, affezionati una serie di regioni che non esistono amministrativamente ma radicate nel dna (Macomer ad esempio è prima di tutto nel Marghine, che confina con la Palargia, da qualche parte ti aspetti pure la Terra di Mezzo… in confronto pisani e fiorentini sembrano gemelli siamesi.)
Ho verificato di come la Sardegna sia la regione meno ‘italiana’. In confronto, l’Alto Adige pare un quartiere di Roma popolato da biondi con gli occhi chiari. Il tedesco parlato a Bolzano è lingua comunque in grado di aprire a altri mondi; in Sardegna, il sardo è il muro invalicabile alla comunicazione con l’esterno. Non è solo la lingua a segnare il distacco ma ancor di più il riferimento la civiltà nuragica: un mondo impermeabile a fenici, greci e romani, sconosciuto ai sardi stessi e dunque mitizzabile oltre misura, come accade solo per i vichinghi e Atlantide.

Ho diretto per anni un’azienda leader nazionale nei servizi alla pubblica amministrazione e non partecipavo mai a gare sarde perché “In Sardegna lavorano solo i sardi” era l’imperativo condiviso da tutti nel settore. Mi è parso dunque naturale che in Sardegna nascesse una moneta complementare perfetta come il Sardex, che rende una pippa il Bitcoin. (Il Sardex è una efficace moneta a interessi zero usata da migliaia di imprese, ancorata all’economia del territorio, funziona solo in Sardegna). 
Anche in Sardegna, come è evidente in Calabria e Sicilia, il sistema è drogato dalla logica frammentata e a corto respiro dei finanziamenti europei, in difficoltà nel lavorare assieme per ottenere risultati nel lungo periodo (che è poi la base della resilienza che uno sparuto gruppo di coraggiosi si sforza di portare all’attenzione della politica e dei cittadini). La pubblica amministrazione vede troppo spesso se stessa come erogatrice di fondi a pioggia e non come facilitatrice di processi in grado di abilitare comunità a farsi carico di se stesse. Tanti progettini, dunque, per un’esistenza al presente che scorda le generazioni che verranno. E in troppi se ne vanno.

Qualcuno però non si arrende. Con me, a Macomer, c’erano almeno sette o otto sardi che dopo anni all’estero o in giro per l’Italia, si sono convinti nel segnare strade di ritorno e non solo vie per trovare futuri altrove. Sono forse loro i primi a incunearsi con agilità nelle fessure che la modernità riesce ad aprire anche lì. E risvegliano, e si saldano a energie non spente: quelle della coraggiosa libraia di Macomer, dell’associazione che vuole rimettere in funzione il fantastico trenino che taglia l’interno dell’isola, di chi la Sardegna la canta e la suona con orgoglio, chi punta sul vino, chi sull’agricoltura idroponica. 

Ottimista? Realista, con una propensione a vedere più chi interviene di chi si lamenta e nega la realtà. Compiaciuto che alcune delle più belle persone che ho incontrato vogliano occuparsi di politica. Stupefacente e controcorrente forse, ma in linea con una grande tradizione e segno che forse proprio da posti diversi come la Sardegna possano ripartire le idee e i progetti di chi vuole pensare in grande (e diversamente).