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giovedì 13 aprile 2017

‘Give Peace a Chance’, anche nel 2017.

Da un po’ di tempo Papa Francesco riporta all’attenzione di tutti questioni che più che alla religione afferiscono al buon senso e a un etica che può essere cattolica, ma anche laica, buddista e quello che volete. In particolare punta il dito contro le armi. Di certo ne condanna l’uso, tuttavia lui si spinge con forza a condannarne la costruzione e più o meno direttamente anche il lavoro di chi le costruisce.

È una questione che mi sta a cuore e pochissimo dibattuta, sia sul piano economico che su quello etico.
Negli anni ’80 “Give peace a chance” era più di una canzone, era per molti un obiettivo concreto. La leva obbligatoria ti portava a prendere posizione. Come molti amici, ho scelto l’obiezione di coscienza per rifiutare la logica del conflitto e anche per non impugnarle. Ricordo bene il sergente alla visita di leva che mi disse “Attento. Se fai l’obiettore, non potrai avere il porto d’armi per tutta la vita.” Il sorriso che feci allora lo rifarei oggi.
Dopo la laurea rifiutai almeno un paio di lavori perché le aziende che me li proponevano erano produttrici di armi pesanti, sistemi di puntamento missilistico o di telecomunicazione e simili. Erano gli anni in cui ferveva un diffuso dibattito sul tema, piuttosto fuori dagli schemi della politica e della religione. In migliaia manifestammo unendo in una catena umana la base dei Tornado a San Damiano alla Centrale di Caorso, e così via. Quello del disarmo come prerequisito alla Pace era un movimento trasversale che aveva forti oppositori a sinistra, a destra come nella Chiesa.  
Il crollo del Muro di Berlino è il simbolo e il maggior successo di quella stagione. E un po' la fine dello slancio legato all'urgenza di cambiare la logica della violenza.  

Ascoltare oggi il Papa condannare chi col proprio lavoro fabbrica le armi mi torna allora come una voce dal passato da attualizzare. 
Oggi fare armi vuol dire raramente fondere acciai speciali per costruire bombe o mitragliette (vuol dire anche quello comunque), ma sempre di più è scrivere linee di software, progettare scafi o motori, immaginare satelliti, sviluppare realtà virtuale, droni e simili. 
Intendo dire che la distanza del pensiero e del lavoro dalla morte di qualcuno si è fatta abissale e i sensi di colpa si sfumano nell’indefinita destinazione d’uso di quello che si fa. Eppure non ci sono scuse: le armi si fanno per venderle e usarle, e si fanno prevalentemente nei paesi che sono in apparente pace dentro i loro confini, come il nostro, l’Europa, USA, Russia, Giappone, Cina e pochi altri. L'ipocrisia di questo mercato è colossale e silenziosa e ogni rifessione viene messa a tacere deresponsabilizzandosi col "Se non lo facciamo noi lo fa qualcun altro".


Ecco che il Papa  dunque diventa eversivo. Perchè non lavorare per chi fa armi, è una scelta prima di tutto politica, etica e poi educativa.
L'ultimo papa eversivo fu Papa Luciani che disse "Dio è madre" e dopo tre settimane morì in circostanze poco chiare. Far passare l'idea che lavorare per chi fa armi non è cosa buona e giusta potrebbe schiacciare calli ancora più grossi.