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domenica 23 agosto 2015

La discussione più surreale della mia estate

Con Piero ho diviso un letto matrimoniale in un piccolo B&B in un bel paesello sulla costa occidentale della Sardegna. (… del perché eravamo nello stesso letto vi racconto magari un’altra volta J)
Del proprietario sapevamo solo che era di origine veneta e che la sera prima era andato a ascoltare la guru ambientalista indiana Vandana Shiva che teneva una conferenza in un paesino poco lontano dal nostro.  Di per sé la cosa era interessante, anti Expo quanto basta, e non vedevamo l’ora di farne argomento di conversazione davanti a un caffè sulla sua splendida terrazza. Per colazione era vestito come il tipico Guru: pantaloni in seta cotta blu e una maglia rosa antico con una scritta verticale in qualche lingua orientale il cui significato era accessibile a pochi. Capello lungo e aria vissuta.
“Come è stato l’incontro di ieri sera con Vandana Shiva?” Fu la nostra prima domanda, buona per rompere il ghiaccio.
“Non male,” sentenziò. “Lei è certo un po’ una star. C’era gente che mentre l’ascoltava piangeva, degli svitati. Quello che dice però è identico a quello che le senti raccontare su Youtube. Secondo me non sapeva neppure di essere in Sardegna.”
“Di certo è una specie di testimone e fa del racconto un modo per rompere l’indifferenza di molti. Comunque è una coraggiosa,” dissi io.
“Tanti dei suoi amici sono morti o spariti per difendere le loro terre dalle speculazioni e dagli OGM,” aggiunge Piero assertivamente.
“Già, quella è l’India,” era l’opinione del Guru.
“Fosse stata in Russia, neanche lei sarebbe più qui a girare la Sardegna,” ammiccò ancora Piero.
“No, questo no!” si inalberò il Guru. “Non credeteci! Non è mica come ci dicono: Putin è un grande e i russi non hanno mai amato tanto un loro capo. Anche sull’Ucraina ci raccontano un sacco di palle. Io mi informo e so per certo che c’è un complotto internazionale nei suoi confronti, tutto quello di buono che fa viene boicottato.”

Ci prese in contropiede. Come poteva un veneto affittacamere trapiantato nell’isola essere così filorusso e avere una passione così spassionata per Putin?
Accanto a me, Piero, mister resilienza in persona, boccheggiava in difficoltà a incassare il colpo. Io deglutivo Lavazza bollente. Il totale silenzio ci sembrò la migliore forma di blando rispetto verso il padrone di casa.
Che sproloquiava ancora la gloria di Putin quando, d’improvviso, apparve La Risposta alle nostre domande.
Dalla stanza accanto, con le unghie laccate e gli occhi blu ghiaccio, si manifestò una figa spaziale degna del ruolo di gnocca cattiva nei migliori film di 007. Curve mozzafiato, lunghi capelli biondi, sorriso perfetto e origine moldava russa.
Avevamo davanti l’altra metà del Guru, colei che ne possedeva pensieri e opinioni e elargiva in cambio di abbastanza sostanza da tirare ben più di un’intera mandria di buoi.
Annuiva a quello che lui affermava; non aveva bisogno di parlare. A favore di Putin avrebbe potuto parlare per ore ma il suo linguaggio non verbale diceva tutto.
Ci trovammo insaccati peggio che un sottomarino americano prigioniero in Crimea. Nessun argomento razionale poteva batterla. Anche dimostrare come i russi mangiassero i bambini, i giornalisti e gli attivisti sarebbe stato fiato perso nel vento della steppa.
Piero tentò un approccio morbido: “Certo che a Sochi per organizzare le Olimpiadi non hanno certo rispettato l’ambiente…” che suonava come l’accusa di evasione fiscale a Al Capone.
“Voi italiani non rispettate certo l’ambiente quando vi fa comodo,” sentenziò lei, “chi lo fa poi?”
“Forse nei paesi nordici, sia i diritti delle persone che dell’ambiente sono più tutelati, rispettati, per esempio,” osai dire io.
“Quelli ammazzano e mangiano le balene!!” urlò il Guru come se quella balena di sua cugina fosse tra gli esemplari minacciati. “Sono popoli incivili! Gente come i norvegesi rovina il mondo,” era livido di rabbia.
Di nuovo la discussione pattinava sul ghiaccio e applicare la logica diventava del tutto inutile.
“Però sono posti fantastici. Io andrò in vacanza con la famiglia alle Lofoten quest’anno. Proprio dove si fa lo stoccafisso, sapete?” dissi a mio rischio e pericolo, ed era pure vero.
Piero lì, aggiunse un carpiato fenomenale e affondò sull’unico altro argomento capace di unire i popoli oltre alla gnocca: “Però il baccalà come lo fate voi in Veneto… una vera goduria.”
Anche La Risposta convenne: “Eccezionale anche sulla polenta!”
Fu come aver fumato assieme il calumet della pace.

Uscendo dalla porticina che dava sul vicolo diretto verso il centro storico avevamo solo il desiderio di allontanarci abbastanza per ridere sguaiatamente e raccontarci infinite volte ogni dettaglio. 

martedì 18 agosto 2015

Quando la televisione è vuota.

La nomina di sette consiglieri over 60 nel CdA della RAI spinge a una riflessione sulla tv pubblica, sul suo senso e utilità.
Non c’è nulla in televisione” lo sento dire sempre più spesso. Dapprima viene da chi ha solo i programmi in chiaro. Ecco allora l’investimento nei canali a pagamento. “Non c’è nulla in televisione” sbuca dopo poco. Ecco allora l’aggiunta di qualche pay per view, la prossima sarà Netflix. Non ci sarà nulla da vedere neanche lì perché è chiaro come la tv da noi conosciuta negli ultimi 40 anni sia finita.
La sterminata ricchezza di contenuti di Internet è a disposizione di tutti e in particolare di una generazione che li sa trovare, selezionare e apprezzare, avesse anche i soldi per comprarsi la tv non sarebbe poi così interessata a farlo. Le vendite sono infatti in picchiata. Le Smart tv sono l’anteprima di quanto il mercato può offrire ma non bastano neppure a togliersi l’appetito. La loro usabilità è nulla. Il fascino del 50 pollici è però inimitabile e dunque non credo che verrà soppiantato dal computer o dallo smartphone. Piuttosto serve una tv che si comandi come un tablet, che faccia le stesse cose comandata a gesti e parole.
I palinsesti saranno di libera composizione da parte dell’utenza. Per godere appieno il mare magnum dei contenuti si affermeranno degli opinion leader che, come accade su Twitter, segnaleranno le cose che vale la pena vedere e perché. In fondo, già oggi questo avviene per decidere che serie scaricarsi o vedersi su qualche sito pirata. Vi saranno poi gli “eventi”, trasmissioni d’eccezione che varrà la pena vedere in modo sincrono, tutti assieme, attorno al focolare al plasma. Si tratta di Sport ma anche di concerti pop, festival, qualche reality, anteprime e rarità.
L’utenza si segmenterà sui filoni che corrispondono ai desideri,  alle necessità e agli istinti, tra loro anche in parte sovrapposti:
  • Chi vuole capire e informarsi, seguirà programmi e contenuti di approfondimento su un palinsesto infinito
  • Chi vuole divertirsi/svagarsi, avrà a disposizione format e servizi allo scopo, film, serie, …
  • Chi vuole imparare, potrà accedere a tutorial e contenuti di autoformazione, formazione collaborativa, elearning
  • Chi vuole scommettere, accederà a programmi e piattaforme interattive r potrà farlo anche sovrapponendosi ai format precedenti (scommettere in tempo reale sul vincitore del Festival, la squadra di calcio, etc…)
  • Chi vuole socializzare/rimorchiare, avrà ogni modo per farlo (inclusa la telecamera in dotazione a ogni apparecchio).
  • Chi vuole seguire un movimento/religione/partito avrà l’ambiente per farlo attivamente senza alzarsi dal divano  

Tutto questo avrà  senso se funziona, se affascina, se batte la concorrenza di altri device (quella con la realtà è battuta in partenza). La principale scommessa sarà quella sull’usabilità di questi servizi. È lì che bisogna sperimentare e investire qualche trilionata.
Piccoli esempi: guardando un programma sulle vie medievali di Dolceacqua in Liguria posso poter prenotare direttamente un hotel o un ristorante in loco senza interrompere la visione. Dall’ennesimo programma della Clerici in cui si cuociono asparagi alla birra potrò comprare vegetali o prenotarmi per un corso da mastro birraio. Con la stessa facilità si potranno immaginare contenuti su cui costruire sondaggi, sistemi di votazione, quiz, vendite, anche decidere le trame delle fiction a maggioranza.

Quanto ci vorrà? Non credo sia questione di tecnologia quanto piuttosto di cultura del pubblico. Se consideriamo nativo digitale chi è nato dal ’90 in poi, diciamo che la massa arriverà al potere di acquisto di una tv nei prossimi 5 anni. E se la tv non sarà così, le stesse cose si faranno sui pc, smartphone o – peggio ancora – le persone riprenderanno a uscire e a vedersi di persona, pratica, si sa, poco smart e scomoda in generale.

Ecco allora come la RAI e i sui ultrasessantenni al potere fanno quasi tenerezza: soprammobili fuori moda nella stanza di comando.
Se poi, addirittura, qualcuno si ricorda che parliamo di un servizio pubblico, ecco come questo agghiacciante post debba trovare nella società degli anticorpi  che ne sciolgano i poteri eversivi, blocchino i rischi di censura e monopolio delle idee, liberino lo spirito critico nella costruzione di opportunità. Forse allora chi volesse occuparsi di televisione e bene comune potrebbe ripartire dall’educazione alla curiosità, al rispetto per il diverso, all’insegnare a usare il mezzo per arrivare a un fine che si basi su contenuti fatti con/per e i parte da l’utenza e non dagli inserzionisti o dal governo. 

martedì 4 agosto 2015

Strade pulite, persone pulite.

A volte ospito post importanti, che mi paiono utili a molti, in grado di segnare una strada.
Ecco perchè questo ragionamento sul senso civico e sul futuro del Paese, pubblicato da Elena su FB, va amplificato, fatto girare, ripreso e condiviso. 
Elena è un'amica che ha deciso di fare piuttosto che stare a guardare. Da lei c'è davvero molto da imparare. 
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Mettiamo in chiaro qualche concetto, che mi pare ci sia una certa confusione.
Dico due parole ad una piccola assemblea pubblica, un amico mi dice di metterle nero su bianco, sulle prime esito poi capisco che è il momento giusto. Mi ci metto, i pensieri si allargano, i collegamenti si moltiplicano e quindi parto da lontano.
Chiacchieravo camminando con una mia insegnante, la classica ragazzona americana, allegra, che parla sempre tanto e a voce alta, un metro e ottantacinque di Heather Parisi. Incidentalmente, viene fuori che ho frequentato il liceo Cavour, vicino a Colle Oppio a Roma. Appena lo dico, si ferma, lei sa esattamente dove si trova la scuola, mi fissa con uno sguardo improvvisamente serio e mi dice, in italiano “quindi, tu hai visto il Colosseo tutti i giorni per cinque anni. Tu lo sai che significa questo, vero?” La risposta “yes, I know. It’s a great privilege” la sussurro, quasi mi sento in imbarazzo. Dentro di me l’ho sempre saputo, ma per la prima volta questa pensiero diventa materia, come se lo potessi toccare, della stessa materia del Colosseo.
Semisdraiata sul divano, in pieno zapping nevrotico, mi imbatto in un fotogramma di una corsa ciclistica. Meno di un secondo e passo oltre, giusto il tempo tecnico minimo per decodificare sederi-di-uomini-curvi-che-faticano-inutilmente-fasciati-da-ridicole-tutine-lucide (è la mia considerazione del ciclismo, lo ammetto). Altri due, tre canali e non so bene da dove, dal profondo del cervello, dell’anima, un altro pensiero inaspettato mi dice che sullo sfondo della corsa, quel profilo che separava il cielo dalle montagne sembra proprio quello che si vede dalla casa di nonna in Toscana. Torno indietro, anche se mi sembra impossibile averle riconosciute, sono un pezzo qualunque Appennino; mi costringo a seguire qualche minuto la gara e il telecronista, mi conferma, sembra parlare proprio con me, che sì, oggi il Giro d’Italia passa in Mugello. Resto di stucco, quello che ho riconosciuto in un attimo, senza nemmeno essere consapevole di cosa stessi guardando, è stata la linea d’orizzonte di quasi tutte le mie estati, la corona di monti che abbraccia questa valle, la mia Heimat.
Così ho capito perché mi piace tanto andare in giro per musei, mi piace tutto, ma chi mi incanta sono sempre i soliti Cimabue, Giotto, Andrea del Castagno, Beato Angelico: abbiamo visto la stessa linea d’orizzonte; non li conosco, li riconosco. E ho capito che siamo quello che mangiamo, ma siamo anche quello che vediamo, magari distrattamente, per il solo fatto che fa parte dell’ambiente, che sta all’orizzonte, che passa davanti ai nostri occhi, e giorno dopo giorno, queste visioni modellano il nostro cervello, i nostri sentimenti, i nostri valori, diventano norma, cioè ci suggeriscono cosa considerare normale, accettabile. E cosa no.
Il mio impegno nel movimento di ‪#‎RetakeRoma‬, trova fondamento in quello che ho visto. Ho fatto scorpacciate pantagrueliche di cose belle e adesso che so anche guardarle non posso sopportare che si sciupino solo per approssimazione, distrazione, lassismo. È il contrario del culto ossessivo dell’estetica consumistica.
Inizio quasi un anno fa, da sola e poi in compagnia, incontro persone interessanti, simpatiche, intelligenti, piano piano si impara a conoscersi, si parla sempre di più. All’inizio di acquaragia e strofinacci, poi di una visione della città, degli spazi per la socialità, di uso consapevole delle risorse e si condivide lo sgomento per il pantano corruttivo in cui la città sembra putrefarsi. Sulla strada, nei parchi, nelle scuole tocchiamo con mano le conseguenze di questa barbarie silente: erba che cresce ovunque, altalene sfasciate, cestini dei rifiuti svuotati solo dalle cornacchie, scuole rabberciate alla bell’e meglio devastate da scorribande impunite di vandali, marciapiedi impercorribili occupati da stracciaroli abusivi, monumenti imbrattati, sporcizia, sciatteria e inciviltà che dilagano di pari passo, istituzioni quasi sempre latitanti, forze dell’ordine in affanno. E appalti bloccati, da rifare per ovvi motivi. L’Europa è lontana.
Continuiamo, gli interventi si fanno sempre più complessi, costosi anche, ma il giro si allarga, persone veramente speciali infoltiscono le fila o semplicemente si affiancano, c’è chi ci grida “siete grandi!” dal finestrino della macchina. Ci mettiamo alla prova, organizziamo una mega colletta, un successo inimmaginato.
Arriva giugno, fine dell’anno scolastico e chiusura del nostro primo anno di attività. Ci vuole una pausa di riflessione, magari anche un po’ in solitudine per mettere a sistema tanto lavoro, tante conoscenze, tante emozioni.
La realtà chiama, però. Alcuni giorni fa, durante una riunione di Retake qualcuno racconta che un importante concessionario di pubblicità che lavora all’estero e in Italia, anche a Roma, vorrebbe investire di più ma “i problemi che abbiamo a Roma non li abbiamo da nessun’altra parte. Per questo non investiamo anche nel bike sharing, subiamo già troppi danni agli impianti”. Sono arrivati al punto di rinunciare a cospicui introiti pubblicitari per promuovere una campagna contro gli atti di vandalismo. Mi si gela il sangue: secondo questa impresa Roma non garantisce le condizioni ambientali minime per investimenti che fanno tranquillamente altrove. E parliamo di bike sharing, cioè la versione appena evoluta dell’affittasi biciclette, né vale la scusa della burocrazia assurda perché questi a Roma ci lavorano già, il loro problema è il vandalismo.
Contemporaneamente, l’ennesima emergenza. Migliaia di persone approdano straniere in questa città dopo viaggi irraccontabili, persone in fila per un bagno, del cibo, un paio di ciabatte, come in tempo di guerra. Montano orgoglio e sgomento: romani in fila per portare vestiti, cibo, medicine, offrire un po’ di tempo, sezioni di partito come centri di raccolta, finalmente servono a qualcosa, la rabbia al pensiero che con i soldi che ci siamo fatti rubare avremmo potuto accoglierli più dignitosamente. E ancora istituzioni disorientate, appalti bloccati, cittadini di buona volontà che si sostituiscono ai servizi pubblici. Mi presento ad un centro di accoglienza e piombo in un film del neorealismo: in un vicolo che è un manuale di abusivismo edilizio di necessità, con tetti in ondulato e ballatoi con cascate di petunie come neanche a Versailles, incontro facce consumate, occhi che hanno visto l’orrore, ragazzi stravolti che sembrano vecchi, bambini che giocano a spade con i palloncini e ridono scalzi.
A meno di due chilometri, un’armata brancaleone di bigotti fanatici e estremisti non trova niente di meglio da fare che scendere in piazza contro quelli diversi da loro. Vogliono difendere i lori figli e non si accorgono che li stanno consegnando a dei mostri.
L’Europa è sempre più lontana.
Sembrano solo coincidenze, ma il cerchio si chiude e fa impressione. La delinquenza di stampo mafioso ha inghiottito i servizi basilari di questa città, quello che serve per la vita delle persone comuni, i piccoli, gli indifesi, i bisognosi. Per pigrizia, per ignavia, per faciloneria, per distrazione, per non aver visto quanto tutto stesse diventando brutto e cacofonico, abbiamo rinunciato a strade praticabili, scuole sicure, trasporti pubblici efficienti, servizi sociali all'altezza di un paese civile, manutenzione del patrimonio artistico e culturale, piste ciclabili, riduzione dell’inquinamento, servizi turistici, meno soldi per carburante e più in libri, cinema, viaggi. Tutte cose che si traducono in posti di lavoro, in dignità, in opportunità di crescita culturale e spirituale per i ragazzi, per la società intera. Una gigantesca mancanza di visione.
Ma sottotraccia qualcosa si muove e testimonia l’esistenza di un enorme giacimento di attenzione, cura, competenze, serietà, tenacia, intelligenza, disponibilità, generosità ancora sottoutilizzato, di una domanda forte di partecipazione sociale inespressa che non si riconosce nelle forme tradizionali. Cominciano ad essere molti quelli che si ricordano di avere visto un orizzonte, l’avanguardia della società civile crea nuove comunità e organizza festival sul cambiamento e sull'innovazione, scova eccellenze, racconta storie esemplari, progetta il futuro: boccate d’aria fresca, non tutto è perduto, anche se molti restano ancora esclusi.
Con oltre il 40% di disoccupazione giovanile, con il più basso tasso di natalità mai registrato in Italia dai tempi della Grande Guerra, un Mezzogiorno appena certificato come "destinato al sottosviluppo strutturale", con un astensionismo elettorale impensabile solo dieci anni fa, ce lo possiamo ancora permettere? Secondo me, no.