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sabato 28 aprile 2012

Beato il popolo che sa scegliere i propri eroi.

C’è una petroliera italiana, la Enrica Lexie, che naviga al largo della costa indiana, una barchetta da pesca gli si avvicina, per qualche ragione ancora sconosciuta due pescatori rimangono perforati da colpi di arma da guerra provenienti da bordo della nave. Sulla nave sono imbarcati 6 militari italiani, lì per scortare la stessa nelle tratte pericolose battute dai pirati, spesso somali, che prendono in ostaggio le navi. Con uno stratagemma, gli indiani fanno fare alla nave il percorso fino a un loro porto, la trattengono e lì incriminano due marò di omicidio.
Nel tempo succede che, per sommi capi:
  1. l’Italia nega tutto, dice che i marò hanno sparato alcuni colpi in aria a scopo dissuasivo e che anche un’altra nave greca in zona ha denunciato un attacco di pirati, lasciando intendere che se qualcuno ha sparato sono stati altri (della nave greca si perderanno le tracce: depistaggio fallito);
  2. molti giornali italiani insorgono per l’incriminazione ai due soldati ritenuta illegittima e un vero affronto nei confronti del nostro Paese (qualcuno li chiama ‘eroi’ nello slancio patriottico tipico che usa la lingia con maggiore velocità del cervello denunciando una seria carenza di competenze semantiche)
  3. l’Italia chiede subito il rispetto di una serie di convenzioni internazionali che prevedono in sintesi che se mai i marò si fossero macchiati di omicidio dovrebbero essere processati in Italia; continua però anche a sostenere la loro innocenza;
  4. le autorità indiane non mollano anche perché di lì a pochi giorni in India ci sono le elezioni e l’idea di resistere alle pressioni internazionali per il rilascio dei due presunti colpevoli fa salire i punti di ogni schieramento politico (cosiccome difendere i due ‘eroi’ aiuta parecchi partiti italiani a far dimenticare la loro inettitudine su ogni tema non retorico); inoltre Sonia Gandhi, la leader politica nazionale, è italiana e qualsiasi apertura governativa al dialogo verrebbe da molti media letta come un favoritismo.
  5. la situazione appare in stallo per molti giorni: si muovono assieme avvocati, ambasciatori, mediatori e chissà chi altro non sapremo mai
  6. il test balistico evidenzia chiaramente che a sparare sulla barchetta piena di pescatori disarmati sono stati proprio i nostri marò.
  7. Da questo momento in poi le notizie dall'India sui giornali italiani rimpiccioliscono; si sà, la colpevolezza dei nostri eroi non aiuta le vendite e non sostanzia di petti in fuori le dichiarazioni dei politici che, infatti, si eclissano.
  8. le notizie diventano ancora più piccole e ritracciabili a stento tra i reportage dal salone del mobile di Milano e la recensione del nuovo libro della Tamaro quando occorre dire a denti stretti che alle due famiglie dei pescatori morti sono state dati 150.000 euro ciascuna sottolineando ipocritamente che ciò non si deve intendere come ammissione di colpevolezza e che la cifra corrisponde a "oltre 250 anni di stipendio dei morti". Il patto ovvioè che venga ritirata ogni accusa di parte verso i militari.
  9. La Corte Suprema indiana ha a questo punto accettato anche il ricorso italiano e tutto fa presagire che prima o poi i soldati torneranno in Italia accolti da eroi con articoloni tronfi e ormonali. Poi gli faremo un bel processino finalizzato a sostenere la tesi di qualche eccesso di autodifesa con contorno di cavilli giuridici e tanti saluti.

L'insieme dei fatti rientra nella logica delle cose e dei rapporti tra Paesi poveri e ricchi, nelle ragioni di Stano e non mi soprende, conosco le regole, magari mi indigna un pochino (un grosso pochino). Ho messo tutto in fila però per darmi il tempo di entrare nella parte di un indiano qualsiasi, e poi di nuovo nelle vesti delle famiglie delle decine di vittime italiane del Cermis quando un esaltato aviatore americano giocando a svolazzare sotto i cavo della funivia lì ha tranciati, è rientrato alla base e è tornato in America a fare i suoi giochetti di guerra lì e il nostro Paese per anni ha invocato di conoscere il volto e poterli processare. Stesso disagio fisico per l’impunità concessa a chi ha sparato a Nicola Calipari mentre liberava Giuliana Sgrena in Iraq, ma anche ai militari olandesi che hanno consentito la strage di Srebrenica in Bosnia. Le vesti di chi ha subito stanno strette, fanno male, umiliano, oltre ogni ragione di stato.
Ho pensato anche a cosa sarebbe successo sulla stessa stampa partigiana che spalma di eroismo due uomini che hanno sbagliato nel loro difficile lavoro se una nave da carico indiana avesse sparato su due pescatori di Posillipo. Poi mi sono figurato tutti assieme i danni che i nazionalismi fanno alla credibilità delle istituzioni, all’ideale di verità che provo a trasmettere ai miei figli.
Mi duole poi constatare ogni giorno il totale distacco che le forze armate italiane hanno dalla popolazione che le esprime (e le finanzia). Una deriva aumentata con la fine del servizio obbligatorio di leva, evidente dal disinteresse conclamato per le nostre truppe all’estero, per le ragioni che ce le tengono, per gli effetti che comportano.
E se ogni tanto ne muore qualcuno la reazione cinica della massa a digiuno di verità come di semplici informazioni è: “tanto è il loro mestiere”. Tale disinteresse diffuso è, a mio avviso, perfettamente pianificato dalle stesse gerarchie militari, già, perché è impossibile per noi familiarizzare con dei fantasmi che non appaiono mai, di cui non si sa niente, di cui i giornali non parlano mai, e dunque non sono evidentemente interessati a trasmettere la loro ‘utilità’ perché preferiscono non essere amati per non essere giudicati: per quello che fanno, per quello che spendono, per gli effetti collaterali delle loro armi, per le scelte, le alleanze.
Vorrebbero magari essere amati per fenomeni da baraccone costosissimi e inutili come le Frecce Tricolori, la parata del 2 giugno o l’Amerigo Vespucci, lustrini dal fascino limitato e non certo sufficienti a dare ragione e motivo della macchina che li mette in campo.
Credo nell’utilità degli eserciti ma ho paura della loro autoreferenzialità; diffido degli eroi e delle santificazioni emotive; temo più di tutto la deriva antidemocratica che contraddistingue chi si permette di non rendere conto a nessuno di quello che fa.

martedì 24 aprile 2012

W il 25 Aprile

La crisi si vive, si tocca, ti avvolge, ti fa la festa.
Ho decine di amici cassintegrati e preoccupati, altri che il lavoro lo perderanno o lo hanno già perso, e c’è chi ancora ne ha uno che però non gli consente però di vivere in autonomia e a 40 anni torna a casa dei genitori. I clienti migliori mi chiedono di accettare una riduzione del compenso del 20-30%, scusandosi per la loro mancanza di risorse, con lo sguardo greve di chi sa che dopo aver tagliato a me dovranno autotagliarsi; un mio editore è fallito; un ente pubblico che mi doveva un botto di soldi è stato chiuso da Tremonti da un giorno all’altro.
Puoi però andare a teatro senza prenotazione pagando prezzi da cinema, al cinema invece ci si portano ormai solo i bambini per il loro compleanno, e per scaricare un video pirata con eMule ti devi mettere in fila come al botteghino.
Poi ci sono le auto… a Genova e a Milano tutti dicono stupiti che il traffico è dimezzato, che la mattina ci mettono 20 minuti in meno per andare al lavoro. A Roma poi la scusa principe di ogni ritardo “C’era traffico sul Raccordo Anulare” non regge più, e ciò manda nello sconforto una platea geneticamente ritardataria che negli effetti collaterali della crisi trova pure emendamenti ai propri vizi.
C’è tensione nell’aria perché le risposte e le proposte sono poche, confuse, in ritardo, vecchie già sul nascere, nate per semplificare e non risolvere. Un governo tecnico che perlomeno sa usare le tabelline ha bollato una classe politica, industriale e sindacale autoreferenziale e autistica, che per decenni ha rimestato l’aria per bersi tutta l’acqua e spegnere ogni fuoco. Adesso il Paese deve reimparare a pensare, a creare, a lottare, a indignarsi e anche a sorridere e godere. Sarà duro ma necessario.
La crisi non è un’opportunità, basta retorica, ma è una condizione drammatica che abbiamo in gran parte generato rinunciando a pensare, agire e a far di conto. Alcuni sono più responsabili di altri, sicuro, vanno messi all’angolo e gli va impedito di perseverare. Ne usciremo però solo se sapremo collettivamente esprimere l'idea di un diverso modello di vita, e lottare per ottenerlo. Un po' come partigiani.

domenica 22 aprile 2012

Palinsesto pubblicitario a delinquere.

Guardo poco la tv, davvero il minimo necessario per soddisfare qualche curiosità culturale, risciacquarmi il cervello con alcune fiction ben fatte e tenermi ben aggiornato su 'ciò che la gente guarda' per avere qualche elemento in più per capire cosa la gente pensa e di cosa ha paura.
E nel mio poco permanere davanti allo schermo riesco ancora a irritarmi per l'usanza becera, irrispettosa, mai discussa e mai condannata che ha il duopolio Rai/Mediaset di sincronizzare gli intervalli pubblicitari per scoraggiarti dal cambiare davvero canale.

Sei su Rai2, il tuo investigatore preferito sta per scoprire perchè il cinese defunto ha un microchip nello stomaco, e lo spot dell'auto coreana che sprizza allegria entra col jingle deficiente; tu reagisci spostandoti su Italia1 per una mesta occhiata alla triste allegria delle Iene ma prima di te un'auto francese si è sostituita alla carrozzeria della signora Totti per sottolineare come nel traffico le francesi sputacchino meno anidride carbonica; vai a pisciare, ti prendi un bicchiere d'acqua, torni e c'è una birra allegra come un'auto coreana; skippi allora sul Rai1 sperando che ci sia una pubblicità di biancheria femminile e invece ci trovi Bruno Vespa che gobbeggia intorno a un serial killer; allerta! è il segnale che ovunque gli spot sono finiti in quel momento esatto, torni su Rai2 e del microchip hanno però già parlato, hai perso il filo delal storia e l'investigatore sale su un taxi e dice "insegua quell'auto".

Ecco, l'auto che ci insegue su tutti i canali è l'obiettivo primo del mezzo televisivo. Corre, l'auto, su inesistenti strade nel verde, con inesistenti autisti sorridenti, felici di portare la propria gioia di possesso verso divani sconosciuti. E, nel frattempo, l'impossibilità di sbirciare cosa fa la concorrenza durante quella pausa spot diventa un grande disincentivo a cambiare canale; specularmente, la certezza che quando c'è la pubblicità essa sia ovunque ci tranquillizza sul fatto che ovunque ci sia anche la stessa triste programmazione afona. La tv ormai esiste perchè esiste lo spot e il palinsesto risponde solo alle esigenze di riempire gli spazi tra uno spot e l'altro.
Ci tornerò, c'è molto da dire su questo tema, non sulla televisione, non mi merita, ma sul dominio del mercato sulla realtà.

Pentimenti

Scrivevo su blog, mi divertiva, mi intrigava interagire con migliaia di persone che non conoscevo ma nel cui confronto potevo scoprire aspetti di me stesso che non conoscevo perchè loro li conoscevano meglio di me, perchè me li chiedevano. E poi potevo tirare fuori gli argomenti che mi interessavano ma con non avevano spazio nella vita quotidiana. Poteva essere la politica, come il futuro, la morte, l'educazione, il denaro, la speranza. Lo facevo con la mia faccia (e la mia firma) così come con nickname o avatar, la sostanza era la stessa.
Poi è arrivato Facebook, un bel giochino, l'idea di vivere in un grande bar affollato di amici, conoscenti e semplici passanti, dove bastasse essere o fare lo strano per avere l'attenzione ma, attenzione!, ogni cosa diventava marketing (di me stesso, del mio ultimo libro, del mio spettacolo teatrale, delle mie idee. Troppo è affollato quel bar per articolare un ragionamento, per ascoltare una risposta, per sussurrare o anche per inalberarsi davvero.
Non parliamo poi di Twitter, Pinterest, Instagram e le altre accelerazioni schematiche verso il vuoto del messaggio e l'obbligo di presenza. Le ho studiate e provate e ho deciso che il mio tempo, e anche il mio cazzeggio, hanno bisogno di qualcosa di più degno d'attenzione.
Sono troppo snob? Forse, ma siccome ho tempo da perdere, voglio perderlo come piace a me e non per piacere a qualcuno.

Bentornato blog, allora, mi dico da solo.
E se i miei scritti continueranno a essere riflessioni solitarie lo accetterò come necessario, se ci saranno lettori li accoglierò nei miei pensieri attendendo i loro, se ci saranno post e interventi scalderanno i miei neuroni più attenti.