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lunedì 25 novembre 2013

Ad Ada, una donna di quattro anni.

Nasci donna.
Una fortuna, dico io. Una sfortuna, dirai tu almeno 1000 volte nella vita; spero credendoci di meno ogni volta che lo ripeti.
Vi trovo sempre più interessanti degli uomini. Non è perchè mi piacciono le donne, no, è perché in un uomo cerco conferme e in una donna trovo la ricchezza del confronto.
Avete la determinazione, l’intelligenza, la curiosità che vi rendono capaci di guardare al Presente con senso di realtà e al Futuro con speranza, come se fosse uno scrigno di opportunità da scoprire.
Vi ho sempre considerato superiori anche quando voi per prime non ci credete. Se avessi visto tua madre serrare le mascelle per darti lo slancio per venire alla luce, mi capiresti meglio. I sacrifici fatti da tua nonna e dalla tua bisnonna per far quadrare il bilancio familiare, educare i figli, tenere assieme la famiglia, valgono dieci quelli di un uomo amministratore delegato di una multinazionale.
Siete superiori nelle professioni perché la vostra intelligenza si alimenta di soggettività e non solo di fatti. Per voi l’evoluzione è un’opportunità, per noi un ostacolo. Non avete paura dei sentimenti. Sarete sempre indispensabili; noi uomini molto meno. 
Nell’immaginare la ragnatela dei possibili percorsi nel tuo futuro non posso fare a meno di pensare alle donne che conosco, al loro presente e ai loro passati. Tua madre, mia sorella, zie, nonne, amiche, professoresse, colleghe, educatrici, ex fidanzate. Frequentandole ho ammirato il loro slancio nell’affrontare la vita, la sensibilità che le rende partecipi ai drammi come alle gioie, la sicurezza che hanno quando serve davvero, e la loro guerra quotidiana contro gli ostacoli che una società governata dagli uomini gli impone.
Sai, siamo nel 2013 ma capita ancora che su di voi vengano calati a forza ruoli umilianti. Non parlo dei fondamentalismi religiosi in qualche angolo di terzo mondo ma del qui e ora. C’è chi prova a imporvi se, come e quando vestire, lavorare, educare, riprodurvi, pensare, persino amare. C’è a chi fa comodo che l’uomo comandi e la donna obbedisca. È un gioco di ruolo datato, superato dalla Storia, che ha fatto danni epocali provocandolo dolore e infelicità sia tra le donne che tra gli uomini. È che alcuni fanno finta di non averlo capito.
Sai, l’uomo, abituato da sempre a occupare tutti gli spazi che contavano e a amministrare i diritti della donna (con bizzose concessioni soggette a regole e umori da lui solo definiti), ha visto sgretolarsi le proprie possibilità di controllo e ha reagito con violenza. Certo, per alcuni è stato difficile essere degradati da monarca assoluto a membro di un consesso democratico il ché, se non si capisce il valore della democrazia, può sembrare un’umiliazione.
Ciò ha dato vita a scontri cruenti. Sono stati covati in quei piccoli reami che erano le famiglie, isolate nei condomini poi, fuori dalle cucine e dai letti coniugali, sono sfociati nelle piazze in lotte per consentire a tutte di godere di diritti naturali politici e civili.
Oggi di quella netta contrapposizione tra mondi rimane poco. Almeno sulla carta, sono stati fatti molti passi avanti resta però aperta la guerra tra i singoli individui e la società. I diritti “delle donne” sono diventati quelli “della donna”, al singolare. A poche interessa il destino delle altre e la competizione tra persone vince sulla solidarietà tra simili (intesi come donne ma anche come esseri umani) con ogni difficoltà affrontata in inevitabile solitudine.
La stessa solitudine è compagna del genere maschile. 
L’uomo della mia generazione non  ha nessun modello di riferimento che lo guidi nel vivere con donne che non assomigliano (fortunatamente) alla propria madre e con le quali non funziona nessuna eredità biologica importata dai padri.
Chi vuole dunque provarci davvero deve prima riporre tra i cimeli di famiglia l’immagine del padre che ha specchiata dentro di sé e inventare il proprio essere uomo, amico, amante, marito. Io devo perciò essere diverso da mio papà anche perchè tua mamma e tua nonna hanno in comune solo il fatto di essere entrambe mammiferi.
Questa mancanza di riferimenti non è però un alibi e neanche una colpa. Credo che l’ascolto e la tolleranza rimangano gli elementi chiave per avvicinarsi, capirsi, amarsi e costruire assieme. Non sempre ci sono. Vedo donne costrette a tenere un incongruo basso profilo sempre e comunque, con un timore esasperato per le conseguenze delle proprie azioni e delle proprie intenzioni, con sogni e desideri costretti ai minimi termini.
Sono tutti fardelli che faremo il possibile tu riconosca e tenga lontano. So che tua madre sarà fondamentale in questo. Lei, austriaca, piuttosto estranea a schemi che prevedono subalternità e dipendenza, libera e a testa alta. È un modello anche per me, per te sarà di certo un faro.
Che uomini incontrerai? E che donne?
(In effetti qui potresti mettere un bel: “Ma papà, cosa ti interessa?”)
Molti tuoi incontri avverranno con persone insicure e in cerca di continue conferme, di una guida, di un’idea, bisognose di spalle su cui piangere o un braccio a cui reggersi ma restie allergiche alle lacrime altrui. Oggi non è che la sicurezza di sé, dei propri limiti, delle proprie capacità, siano merci diffuse. E non vedo segnali di possibili inversioni di tendenza.
Io e tua mamma ci siamo riconosciuti come diversi e poi ci siamo scelti. Avremmo probabilmente avuto vite complete e degne anche non cogliendo l’opportunità che il caso ci ha dato e su cui con volontà abbiamo costruito. Ma quale spreco sarebbe stato! Invece ecco che ci scegliamo ogni giorno, trovando sempre il modo di confermare le ragioni del nostro amore. La nostra è una famiglia fondata sulla scelta e non sul bisogno: c’è una tensione positiva che porta i passi verso un futuro in cui occorre continuare a meritarsi la scelta dell’altro.
Preparati, più cresci e più proveranno a sottometterti, non in quanto donna ma come essere pensante. La tua femminilità costituirà al più un'aggravante al reato di Libertà di Coscienza. Molti dei tuoi aguzzini saranno uomini, altri saranno donne, avrai a che fare con professori esasperati dalla solitudine, preti impauriti dalla modernità, falsi amici, falsi adulti, veri dittatori. Ti faranno male. Per quanto ottusi nel ragionare saranno esperti nel colpirti perché sarà una delle poche cose che nella vita darà loro soddisfazione. Col tempo imparerai a prevederne i colpi. Nel dolore e nella rabbia troverai gli anticorpi per reagire. La necessità di sopravvivere ti insegnerà a scovarne i punti deboli.
Il non dargliela vinta sarà l’unica via d’uscita per conservare la tua dignità. Nell’amore per te stessa e per gli altri troverai la motivazione per farlo.
Fa che “Essere te stessa” non suoni come una formula buona per i consigli tra amiche germogliati nella retorica alcolica di uno Spritz. Sia piuttosto quella che si potrebbe chiamare una Scelta dalla quale non prescindere ogni volta che sono in gioco il tuo futuro e la tua dignità.
Per riuscire devi crederci, devi sviluppare una qualità rara che noi proveremo a seminare in te col nostro esempio, ma che solo tu potrai far crescere e irrobustire: l’Autostima.
Vuol dire sapersi capaci di volare in alto e cadere sempre in piedi, e credere anche di meritarselo. Non è amica della superbia ma si fonda al contrario nell’umiltà e nella fiducia illimitata in un futuro migliore. Costa fatica costruirla ma una volta sperimentata viene naturale e la si protegge come il gioiello più raro. È nemica della furbizia e amica della giustizia.
Io l’ho imparata da tuo nonno, ne ho vista un po’ nella sua generazione, per la quale costituiva il requisito essenziale per uscire dalla povertà, anche intellettuale. L’ho frequentata molto all’estero e poco in Italia, l’ho sposata in tua mamma. Per il resto, in giro ne vedo proprio poca.
La mia generazione ne ha rimosso l’urgenza, direi quasi l’esistenza. Arrivando al paradosso che quando c’è in qualcuno, agli occhi dagli altri è vissuta come un difetto. Per chi non ne ha (la maggioranza) diventa subito “eccesso di autostima”, eccesso per coloro che non sopportano l’esistenza di chi affronta la vita a testa alta perché questo gli dimostra quanto sia comunque possibile essere se stessi.
Per riuscirci, occorre mantenere una consapevole coerenza tra ciò che si è e come si appare, sapere che nessuno ha il diritto o la facoltà di comprarci, conoscere allo stesso tempo il proprio valore, esigere rispetto e sempre riconoscerlo agli altri senza esserne invidiosi.
Facile? No, affatto, anche se mi auguro tu sia già sulla buona strada.

sabato 16 novembre 2013

Classifica e somme dopo il Festival del Cinema di Roma

Il Festival del Cinema di Roma è terminato e comincio a digerire l’usuale indigestione di immagini, idee, punti di vista, provocazioni. È stata una bella festa con un livello medo dei film decisamente superiore all’anno scorso (per dire: non ho abbandonato nessuna proiezione a metà come invece mi è spesso capitato negli ultimi anni)
Persiste l’orribile sigletta iniziale con l’insulsa donnina nuda che si inginocchia e tende l’arco: roba per guardoni cinefili o cinefili guardoni. A seguire però hanno messo uno spot del Governo contro le barriere architettoniche, ma forse era per promuovere l’ospitalità, o per il turismo: talmente pasticciato che tutti lo deridevano
Ricordo il primo festival, otto anni fa, in cui ero in giuria e faticammo per trovare una donna a cui assegnare il premio per la miglior attrice. Chi aveva selezionato allora di certo non sopportava le donne. Quest’anno al contrario impazzavano bellissimi ruoli femminili, ben scritti e pensati. I film erano però affollati di uomini insulsi, disorientati, fatti, sbronzi, spenti che in più di un film non volevano fare figli con donne invece dichiaravano che li avrebbero fatti pure con passanti sconosciuti.

Ecco la mia personale classifica dei film visti:
  1. HER (di S. Jonze). Grandissima prova d'autore sugli incubi della digitalizzazione dei sentimenti. Lui si innamora del nuovo sistema operativo – e fin qui nulla di nuovo – ma le cose diventano interessanti quando il sistema operativo ricambia l’amore. Recitazione, dialoghi e fotografia memorabili. Da far circolare nelle scuole perché si capisca il pericolo insito nella riduzione che separa il diaframma tra la realtà e la proiezione dei propri desideri nel virtuale. 10 minuti di meno e piacerebbe a tutti, ma un po' di lentezza serve a fermarsi e pensare.
  2. CAPO E CROCE - LE RAGIONI DEI PASTORI (di P. Carbini e M. Pani). Meraviglioso documento sulla attuale lotta dei pastori sardi contro politici ottusi, mafie commerciali, disinteresse del mondo alla al loro mestiere e al valore culturale, ambientale e economico che ha per la collettività. Emozionante l'incontro finale con i protagonisti del film presenti in sala. Lo vorrei in prima serata su Rai1. Tornato a casa ho addentato con più gusto quel tocco di grana di pecora di Anglona in agguato nel mio frigo.
  3. QUOD ERAT DEMONSTRANDUM (di A. Gruzsniczki) la Romania del 1985 ci racconta con gelida chiarezza come la libertà di pensiero sia alla base della dignità e il maggior pericolo per la dittature. Tutti hanno un prezzo? Tutti possono essere vittime e delatori? Fidatevi, vi stupirà.
  4. JE FAIS LE MORT (di J. Salomè) spassosa, originale e attuale detective story ambientata sulle alpi francesi. L’attore disoccupato viene mandato dai servizi per l’impiego a impersonificare il morto nelle ricostruzioni della polizia. Una bella spremuta di bel cinema che ha il coraggio di osare una lettura non banale della crisi.
  5. SONG'S E NAPULE (by Manetti Bros) scoppiettante magnifico melodramma pop napoletano. Il poliziotto imboscato appassionato di pianoforte viene infiltrato in un gruppo neomelodico che suonerà al matrimonio del grande camorrista ricercato. Ben recitato, scritto e cantato. C'è più spremuta di Italia lì dentro che in 10 serate di Santoro. Io lovvo Manetti Bros. e Giampaolo Morelli.
  6. L'AMMINISTRATORE (di V. Marra). Sincero e umanissimo spaccato del lavoro meno invidiato del mondo urbanizzato. Intelligente documentario in cui la macchina da presa segue le liti, le furbizie, le lacrimucce e i trucchi di una Napoli struggente.
  7. IL VENDITORE DI MEDICINE (di A. Morabito) la mafia delle industrie farmaceutiche che lucrano sulle nostre malattie. Bravo Santamaria. Film davvero scomodo a rischio insabbiamento prima di arrivare in sala.
  8. UVANGA (di M. Cousineau) la casa è dove è la famiglia, anche al Polo Nord. Suggestivo film canadese di poche parole, grandi paesaggi, timidi sorrisi e sinceri sentimenti.
  9. TAKE FIVE (di G. Lombardi) colorito furto in banca con buco attraverso le fogne in terra napoletana. IL colo riesce ma niente va per verso giusto. Personaggi scombinati e varia umanità in giro per una città che arranca nel riveder le stelle.
  10. THE HUNGER GAMES (di. F. Lawrence). Tachicardico action movie per il quale mi sono alzato alle 6.45. Ti prende le viscere e te le porta avanti nella storia per 2 ore e mezza. Poi, sul più bello ti da appuntamento al terzo capitolo della saga.
  11. PATEMA INVERTED (by ) cartoon giapponese sulla difficoltà di accettare il diverso e l'inverso. Il film stesso è stranamente diverso e piacevole con mezza umanità che viene respinta dalla forza di gravità a cadere verso il cielo. Visto in una sala piena di adolescenti orfani di Zalone, ululanti e timorosi del buio.
  12. HARD TO BE GOD (di A. German) Russo, in bianco e nero, iconoclasta, attesissimo, scatologico, disassato, forse necessario, ispirato, piove tutto il film e io trattenevo la pipì, dura tre ore. Ci hanno messo tredici anni per farlo ma non si capisce perché. Inquadrature e movimenti di macchina stupefacenti. Sputano più che in un derby all’Olimpico.
  13. JULIETTE (P. Godeau) film parigino affollato di giovani confusi e confondenti. Lavoro? Può attendere. Responsabiiltà? Dopo. Futuro? Eterno presente. Ma in un modo o nell'altro cresceranno. Malinconico.
  14. SNOWPIERCER (di J. Bong). Action movie post apocalittico pieno di poveracci che se menano su un treno che pare un fulmine e attraversa una terra ghiacciata. Raggelante e scontato ma denso di feromoni.
  15. L'ULTIMA RUOTA DEL CARRO (di G. Veronesi). Storia sgangherata di un tipo dickensiano che vive a Borgo Pio. Vivacchia e ammicca, come il film. Presuntuosa panoramica tentennante degli ultimi trenta anni in questo paese che sta disimparando a raccontarsi, così come a ascoltarsi.
  16. ENTRE NOS (P. Morelli) il Grande Freddo do Brasil. Gli amici di un tempo si ritrovano dopo 10 anni a leggere delle lettere che si erano autoindirizzare poco prima che uno di loro morisse in un incidente. C’è letteratura, giungla, sopravvivenza a ogni costo e un’amicizia ritenuta sempiterna che non regge la prova del tempo.

lunedì 11 novembre 2013

L'Energia più pulita è generata dalla Cultura.

Mentre qui lanciano un film di Zalone in 1200 sale, in Scandinavia, UK, Repubbliche Baltiche lanciano azioni di largo impatto in cui centinaia di artisti entrano in migliaia di scuole (Creative partnership, Cultural Rucksack), in altri Paesi tutti i ragazzi imparano a suonare uno strumento (sull’esempio de El Sistema di Abreu che sta cambiando il volto del Venezuela, ma anche in Olanda o Germania).

Marco Magnifico il vice presente del FAI in un seminario ci raccontava: “Volevamo misurare la distanza tra il FAI e il National Trust inglese. Migliorarci, capire. Ero in visita in un magnifico parco pubblico gestito dal NT e mi sono fermato a guardare delle peonie particolari. Lì accanto c’era un giardiniere che faceva il suo lavoro con la zappetta. Ha notato la mia sosta su quel fiore e si è avvicinato. Abbiamo dialogato per cinque minuti e mi ha spiegato quello che sapeva della pianta, ha risposto alle mie domande si è stupito per le varietà che nascono da noi. L’ho salutato e, uscendo, ho detto alla direttrice del posto ‘Un giardiniere è stato gentile a dedicarmi il suo tempo per spiegarmi tutto di un fiore che non conoscevo’. Lei ha risposto: ‘Non è stato gentile, è pagato per farlo. I giardinieri, come i custodi dei musei, sono pagati per dedicare l’80% del loro tempo alle mansioni specialistiche e il 20% per far sentire il visitatore accolto, fidelizzarlo, appassionarlo’. Lì ho capito che in Italia non ce l’avremmo mai fatta”.
In effetti l’abituale immagine fantozziana del custode di un museo scolpito sulla sua seggiolina fa già apparire ipercinetico il casellante autostradale. Di certo la colpa non è sua, ma non è neanche innocente. Come non lo sono i manager e la politica. Oggi poi, con la crisi e le spending review, la domanda “Ha senso investire nella crescita, nella valorizzazione e nella partecipazione culturale?” assume un’urgenza vitale.

Per alcuni è facile dire “No”, e lo fanno osservando i costi e i miseri incassi di Teatri, Musei, Biblioteche, Centri Culturali.
Io la penso al contrario ma sono convinto che occorra lavorare duro per far percepire il valore che hanno l’arte e il patrimonio culturale per la vita e la democrazia altrimenti i fiori di Van Gogh valgono le erbacce di uno spartitraffico e i Caravaggio le pennellate di un imbianchino.

Non bastano qui le spiegazioni romantiche, le pretese ovvietà, né le evidenze intellettuali sempre confutabili da chi ha altri interessi e sensibilità. Servono  Indicatori di impatto Culturale che come quelli di Impatto Ambientale o Economico possano quantificare cosa significhi aprire o chiudere un museo, ma anche costruire una ferrovia su un parco o preservare le botteghe storiche di una zona. 
Forse non si può misurare la bellezza ma, ad esempio, la solitudine sì, e con essa il suo 'costo' per i singoli e la collettività
Indicatori ragionevoli di Impatto Culturale possono zittire chi ha interessi anticulturali e vuole vendere le spiagge e quello che esse rappresentano per far cassa.
Si può fare: si possono misurare i suicidi, gli alcolisti, le violenze. Posso misurare la partecipazione alla vita della comunità, la penetrazione e l’uso della banda larga, le propensioni xenofobe e omofobe, la diffusione delle droghe e degli strumenti musicali tra gli adolescenti.
E gli antidoti all’isolamento e alla solitudine sono la cultura e il lavoro, entrambe coniugate col rispetto e la passione.
Si può cominciare allora a ragionare su qual è l’impatto concreto dell'aprire un teatro in un quartiere periferico, quanto valga far partecipare gli abitanti della zona alle attività di un Centro Culturale, quale sia l’impatto culturale di un Bingo o di un centro commerciale; e anche il valore di laboratori artistici in una scuola o in un centro anziani. E quanti sollevi l'opera a Caracalla, un concerto dei Negramaro, o l'estasi davanti a un Kiefer, un Rothko, un Bernini.

Si potrebbe meglio programmare il futuro, zittire quelli che “con la cultura non si mangia” e dimostrare come quella generata dalla Cultura sia la vera energia pulita