Pagine

lunedì 2 aprile 2018

Ho assistito al Giudizio Universale, ve lo racconto.

Una decina di giorni fa sono stato a vedere Giudizio Universale: Michelangelo and the Secrets of the Sistine Chapel” all’Auditorium della Conciliazione a Roma, il nuovo grande show teatrale e multimediale sugli affreschi della Sistina. Dura 60’, è stato concepito da Marco Balich & Co. per coinvolgere vecchi e giovani attraverso un format innovativo ed immersivo senza precedenti. Lo spettacolo è realizzato con la consulenza scientifica dei Musei Vaticani.
Per lo scopo l’Auditorium di Via della Conciliazione è stato completamente rifasciato alle pareti e soffitto con pannelli su cui decine di proiettori ad alta definizione disegnano la Cappella Sistina, e poi scene di conclave, effetti atmosferici, acqua e fuoco. Ho letto di molti milioni investiti. Si narra che rimarrà in scena per oltre un anno con due show al giorno.

La trama è quasi nulla: Michelangelo fa lo scultore di David a Firenze. Il papa Giulio II lo chiama a Roma per dipingere la volta della Sistina. Lui risponde “No, io sono uno scultore” e dopo un secondo comincia a dipingere. Trent’anni dopo, Clemente VII lo chiama per dipingere il Giudizio Universale, lui dice “No, io sono vecchio” e un secondo dopo inizia a dipingere.
Nei fatti, lo spettacolo è una specie di Bignami degli affreschi della Cappella Sistina: ogni scena dell’Antico Testamento presente sulla volta è descritta con i suoi riferimenti biblici, così come accade per il Giudizio Universale. La spiegazione delle voci narranti è scolastica, totalmente appiattita sui versetti delle scritture.
Nulla c’è di Michelangelo, che rimane del tutto bidimensionale. Non ci viene detto né come, né perché dipinge. Non sappiamo nulla delle sue idee, dei suoi soggetti e modelli. Niente neanche sulla storia degli affreschi, sui mutandoni dipinti per coprirli, eccetera.
Gli attori recitano (sarebbe meglio dire ‘si muovono lentamente’) tutti parlando in playback, sia per agevolare la realizzazione di spettacoli in lingua inglese (e poi magari altre lingue) che per dare qualche chance in più al marketing e poter dire ‘La voce di Michelangelo è di Favino’, cosa vera ma di poco conto, viste le trenta parole che dice in tutto lo show. Il famoso tema musicale di Sting si riduce solo alla canzone finale dal minuto '59 in poi, pure bella ma davvero miserella.
Nello spettacolo c’è qualche risibile balletto, con un paio di volteggi in stile 'Amici', fumo e vento come ho visto al saggio di danza di mia figlia. Simpatico è l’uso dell’incenso diffuso in sala nella scena del conclave.

Siamo però tutti lì perché nello spettacolo la tecnologia comanda, perchè essa è lo spettacolo, e Michelangelo solo il pretesto. Questo è il vero messaggio che trasmette quel guscio trasformato in affresco. L’intento dello spettacolo è di essere sostitutivo alla visita reale implicitamente tacciata di essere superata e noiosa (anche perché dopo aver speso qui almeno 20 euro difficilmente se ne trovano altrettanti per andare ai Musei Vaticani). Quello che si raccoglie di senso e sostanza è molto molto meno di una replica di Alberto Angela. Si sintetizza in “Dammi venti euro, stai comodo e ti risparmi la coda e il consumo delle suole ai Musei Vaticani per correre dritto alla Sistina e uscirne in meno di un paio d’ore,” questo è il sottomessaggio. E' talmente vero che già le recensioni dello spettacolo su Google sono confuse con quelle della Cappella Sistina vera. L'unica differenza lamentata è che all'Auditorium non si possono fare i selfie.

È come se il dio della tecnologia  ricreasse per gli spettatori del XXI secolo quello che un Dio forse vero, l'ispirazione, l'estro, e la vocazione hanno creato per pochi in Vaticano.

È davvero strepitoso l’effetto di decine di proiettori per ricreare ambienti, zoomare su dettagli, aggiungere e togliere figure possenti. L'iconico contatto tra Dio e l'Uomo in punta di dita sembra dedicato alla creazione di Photoshop. Talvolta si accendono così tante luci che tutto sconfina in un effetto-discoteca che sarebbe facilmente evitabile. Sparare su sei metri quadri il dettaglio perfetto di un coscione michelangiolesco ricorda più la pornografia che l’arte: avrà anche un pubblico ma non mi scalda né i neuroni né l'anima. 

Passati i primi venti minuti di pura curiosità, mi sono reso conto di come lo spettacolo sia uno spartiacque nelle scenografie digitali. Come capita a molte innovazioni basate sulla tecnologia, sia al servizio di sé stesso e della voglia di scatenare “Wow!” negli spettatori. Un’ora di wow però non si regge e alla fine ci sono pochi applausi e molta distrazione, specie da parte dei più giovani.  

Lo consiglio solo agli operatori del settore. Che settore? Qui mi sento d'essere molto trasversale. A chi fa teatro (registi, tecnici, sceneggiatori), a chi organizza eventi, allestisce musei e centri commerciali, a chi è stuzzicato dalle potenzialità della tecnologia applicata alle narrazioni. Mentre il trionfo del decibel e del lumen proseguiva io mi chiedevo “Cosa farei io conquesto carnevale di luci e videomapping?” e se questi pensieri vengono a me che sono solo un piccolo praticante, immagino quanto possano esaltare chi ha stoffa e talento.

Ho speso bene i miei soldi perché ho imparato qualcosa, non di certo però sulla Cappella Sistina.

Nessun commento:

Posta un commento