Scrivevo su blog, mi divertiva, mi intrigava interagire con migliaia di persone che non conoscevo ma nel cui confronto potevo scoprire aspetti di me stesso che non conoscevo perchè loro li conoscevano meglio di me, perchè me li chiedevano. E poi potevo tirare fuori gli argomenti che mi interessavano ma con non avevano spazio nella vita quotidiana. Poteva essere la politica, come il futuro, la morte, l'educazione, il denaro, la speranza. Lo facevo con la mia faccia (e la mia firma) così come con nickname o avatar, la sostanza era la stessa.
Poi è arrivato Facebook, un bel giochino, l'idea di vivere in un grande bar affollato di amici, conoscenti e semplici passanti, dove bastasse essere o fare lo strano per avere l'attenzione ma, attenzione!, ogni cosa diventava marketing (di me stesso, del mio ultimo libro, del mio spettacolo teatrale, delle mie idee. Troppo è affollato quel bar per articolare un ragionamento, per ascoltare una risposta, per sussurrare o anche per inalberarsi davvero.
Non parliamo poi di Twitter, Pinterest, Instagram e le altre accelerazioni schematiche verso il vuoto del messaggio e l'obbligo di presenza. Le ho studiate e provate e ho deciso che il mio tempo, e anche il mio cazzeggio, hanno bisogno di qualcosa di più degno d'attenzione.
Sono troppo snob? Forse, ma siccome ho tempo da perdere, voglio perderlo come piace a me e non per piacere a qualcuno.
Bentornato blog, allora, mi dico da solo.
E se i miei scritti continueranno a essere riflessioni solitarie lo accetterò come necessario, se ci saranno lettori li accoglierò nei miei pensieri attendendo i loro, se ci saranno post e interventi scalderanno i miei neuroni più attenti.
Alla fine il blog resta lo spazio virtuale più bello, completo e vero.
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