C’è una petroliera italiana, la Enrica Lexie, che naviga al largo della costa indiana, una barchetta da pesca gli si avvicina, per qualche ragione ancora sconosciuta due pescatori rimangono perforati da colpi di arma da guerra provenienti da bordo della nave. Sulla nave sono imbarcati 6 militari italiani, lì per scortare la stessa nelle tratte pericolose battute dai pirati, spesso somali, che prendono in ostaggio le navi. Con uno stratagemma, gli indiani fanno fare alla nave il percorso fino a un loro porto, la trattengono e lì incriminano due marò di omicidio.
Nel tempo succede che, per sommi capi:
- l’Italia nega tutto, dice che i marò hanno sparato alcuni colpi in aria a scopo dissuasivo e che anche un’altra nave greca in zona ha denunciato un attacco di pirati, lasciando intendere che se qualcuno ha sparato sono stati altri (della nave greca si perderanno le tracce: depistaggio fallito);
- molti giornali italiani insorgono per l’incriminazione ai due soldati ritenuta illegittima e un vero affronto nei confronti del nostro Paese (qualcuno li chiama ‘eroi’ nello slancio patriottico tipico che usa la lingia con maggiore velocità del cervello denunciando una seria carenza di competenze semantiche)
- l’Italia chiede subito il rispetto di una serie di convenzioni internazionali che prevedono in sintesi che se mai i marò si fossero macchiati di omicidio dovrebbero essere processati in Italia; continua però anche a sostenere la loro innocenza;
- le autorità indiane non mollano anche perché di lì a pochi giorni in India ci sono le elezioni e l’idea di resistere alle pressioni internazionali per il rilascio dei due presunti colpevoli fa salire i punti di ogni schieramento politico (cosiccome difendere i due ‘eroi’ aiuta parecchi partiti italiani a far dimenticare la loro inettitudine su ogni tema non retorico); inoltre Sonia Gandhi, la leader politica nazionale, è italiana e qualsiasi apertura governativa al dialogo verrebbe da molti media letta come un favoritismo.
- la situazione appare in stallo per molti giorni: si muovono assieme avvocati, ambasciatori, mediatori e chissà chi altro non sapremo mai
- il test balistico evidenzia chiaramente che a sparare sulla barchetta piena di pescatori disarmati sono stati proprio i nostri marò.
- Da questo momento in poi le notizie dall'India sui giornali italiani rimpiccioliscono; si sà, la colpevolezza dei nostri eroi non aiuta le vendite e non sostanzia di petti in fuori le dichiarazioni dei politici che, infatti, si eclissano.
- le notizie diventano ancora più piccole e ritracciabili a stento tra i reportage dal salone del mobile di Milano e la recensione del nuovo libro della Tamaro quando occorre dire a denti stretti che alle due famiglie dei pescatori morti sono state dati 150.000 euro ciascuna sottolineando ipocritamente che ciò non si deve intendere come ammissione di colpevolezza e che la cifra corrisponde a "oltre 250 anni di stipendio dei morti". Il patto ovvioè che venga ritirata ogni accusa di parte verso i militari.
- La Corte Suprema indiana ha a questo punto accettato anche il ricorso italiano e tutto fa presagire che prima o poi i soldati torneranno in Italia accolti da eroi con articoloni tronfi e ormonali. Poi gli faremo un bel processino finalizzato a sostenere la tesi di qualche eccesso di autodifesa con contorno di cavilli giuridici e tanti saluti.
L'insieme dei fatti rientra nella logica delle cose e dei rapporti tra Paesi poveri e ricchi, nelle ragioni di Stano e non mi soprende, conosco le regole, magari mi indigna un pochino (un grosso pochino). Ho messo tutto in fila però per darmi il tempo di entrare nella parte di un indiano qualsiasi, e poi di nuovo nelle vesti delle famiglie delle decine di vittime italiane del Cermis quando un esaltato aviatore americano giocando a svolazzare sotto i cavo della funivia lì ha tranciati, è rientrato alla base e è tornato in America a fare i suoi giochetti di guerra lì e il nostro Paese per anni ha invocato di conoscere il volto e poterli processare. Stesso disagio fisico per l’impunità concessa a chi ha sparato a Nicola Calipari mentre liberava Giuliana Sgrena in Iraq, ma anche ai militari olandesi che hanno consentito la strage di Srebrenica in Bosnia. Le vesti di chi ha subito stanno strette, fanno male, umiliano, oltre ogni ragione di stato.
Ho pensato anche a cosa sarebbe successo sulla stessa stampa partigiana che spalma di eroismo due uomini che hanno sbagliato nel loro difficile lavoro se una nave da carico indiana avesse sparato su due pescatori di Posillipo. Poi mi sono figurato tutti assieme i danni che i nazionalismi fanno alla credibilità delle istituzioni, all’ideale di verità che provo a trasmettere ai miei figli.
Mi duole poi constatare ogni giorno il totale distacco che le forze armate italiane hanno dalla popolazione che le esprime (e le finanzia). Una deriva aumentata con la fine del servizio obbligatorio di leva, evidente dal disinteresse conclamato per le nostre truppe all’estero, per le ragioni che ce le tengono, per gli effetti che comportano.
E se ogni tanto ne muore qualcuno la reazione cinica della massa a digiuno di verità come di semplici informazioni è: “tanto è il loro mestiere”. Tale disinteresse diffuso è, a mio avviso, perfettamente pianificato dalle stesse gerarchie militari, già, perché è impossibile per noi familiarizzare con dei fantasmi che non appaiono mai, di cui non si sa niente, di cui i giornali non parlano mai, e dunque non sono evidentemente interessati a trasmettere la loro ‘utilità’ perché preferiscono non essere amati per non essere giudicati: per quello che fanno, per quello che spendono, per gli effetti collaterali delle loro armi, per le scelte, le alleanze.
Vorrebbero magari essere amati per fenomeni da baraccone costosissimi e inutili come le Frecce Tricolori, la parata del 2 giugno o l’Amerigo Vespucci, lustrini dal fascino limitato e non certo sufficienti a dare ragione e motivo della macchina che li mette in campo.
Credo nell’utilità degli eserciti ma ho paura della loro autoreferenzialità; diffido degli eroi e delle santificazioni emotive; temo più di tutto la deriva antidemocratica che contraddistingue chi si permette di non rendere conto a nessuno di quello che fa.
Sai cosa Andrea? E'che siamo un popolo di irresponsabili nel senso primo della parola: non ci vogliamo prendere la responsabilita'.
RispondiEliminaE' difficile ammettere di aver sbagliato, ma bisogna impararlo, fin da bambini. I maro' sarebbero degli eroi se dicessero " E' vero, abbiamo sparato, ci siamo cagati addosso, mors tua vita mea, avrei voluto vedervici a voi..."
Beato l'uomo(o la donna)che ammette le sue colpe.