Ieri mi sono goduto gran parte del concertone del Primo Maggio.
Mi piace andarci di persona, amo aggirarmi in quella bolgia riconoscendo anche come mie le ragioni che spingono mezzo milioni di giovani a concentarsi lì, conscio pure del fatto che giovane non lo sono più. Quest'ultimo particolare sposta spesso la mia osservazione sul versante antropologico della situazione e posso studiare 'dall'esterno' comportamenti, codici, riti di quella marea umana.
Lì ci trovi energia, speranze sogni, sorrisi, complicità poi, subito evidente come una nuvola nera a ferragosto, anche tanta voglia di dimenticare. Per molti c'è da dimenticare la condizione in cui si trovano, la disoccupazione (o la sottocupazione), l'incertezza, il nepotismo subito, il nepotismo agito che non lascia comunque in pace con se stessi, la difficoltà a mettere punti fermi su cui fare leva e raggiungere altri obiettivi. E dimenticare assieme, riconoscendo la propria bellezza e la propria rabbia in quella degli altri, aiuta assai.
I giovanissimi a San Giovanni sono tantissimi e nei fiumi di alcol e droghe che circolano di mano in mano misuri la distanza che cercano di prendere dalla realtà. Forse si tratta della realtà familiare, forse quella culturale o sociale, di certo la quantità non modica di schifezze che assorbono misura bene quella che percepiscono come la propria inadeguatezza ai tempi (troppo facile dire specchio dell'inadeguatezza della mia generazione a essere di esempio?).
E' interessante stare lì in mezzo anche se sono così distante da loro. Non è un posto per quarantenni, mi verrebbe da dire (anche se nessuno ti caccia :-).
Una cosa però quest'anno mi ha legato più del solito a quel posto: le parole. Ti avvolgevano con la loro forza, per scuoterti e farti ragionare. La piazza quest'anno era quasi più un posto per scrittori che per musicisti.
Attaccati alle inferriate e agli alberi c'erano decine di striscioni che raccontavano lo strazio e la rabbia di crisi aziendali, chiusure di stabilimenti, licenziamenti. Le parole delle t-shirt vendute nei loro mille colori, tutte orfane dei facili lazzi antiberlusconiani, erano concentrate sul sognio di un mondo più pulito e giusto. Tante ragioni e informazioni erano volantinate e raccontate dai loro protagonisti. E poi c'erano le parole delle canzoni dal palco a sfondare con la loro forza la scenografia di cartavelina televisiva fatta di un eterno San Remo o XFactor o Amici.
Davvero belli molti testi, un passo in più rispetto al passato, spremute di intelligenza non credo segno di una improvvisa alfabetizzazione dei protagonisti ma legata al fatto che in Italia è passata la sbronza e c'è qualcosa da dire perchè molti si sono posti nella condizione di voler ascoltare. Fantastici Nobraino, Sud Sound System, Subsonica.
Su tutti loro, imperioso e definitivo, si è eretto Caparezza la cui intelligente presenza scenica ha pochi paragoni in Italia e che nei testi raggiunge vette degne di un'antologia della lingua italiana.
Caparezza e le sue parole per dirlo
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