Ho avuto il piacere di essere selezionato nel team di
esperti esterni del Primo Festival della
Resilienza a Macomer, organizzato dall’infaticabile Associazione Propositivo. Forse mi sono
per la prima volta avvicinato a comprendere lo specifico della Sardegna.
Il
Festival era realizzato in modalità “brainsurfing”
e dal nome in poi era tutta un’incognita. Mi è parsa subito una sfida da
cogliere, un po’ incosciente, un po’ per sognatori. Si è trattato di osservare
con occhi nuovi un territorio ricco di potenziale e di criticità, con molta gente
in gamba desiderosa di confrontarsi, innamorata di quei posti bellissimi e difficili.
Per una settimana a Luglio ho incontrato lo splendore della
Sardegna. Nel sudore dei pomeriggi a 40° e nelle serate ai nuraghi mi sono
confrontato, portando quello che sono. Ho goduto di un’ospitalità smisurata e
li ho sentiti ammettere di come invece siano restii nell’accoglienza, li ho
visti impegnati a creare ponti con la Cina e gli USA ma anche involuti nella
complessità di 8 inutili province (nonostante abbiano meno abitanti della sola
provincia di Torino), centinaia di micro e antifunzionali comuni seduti in ragioni antistoriche, affezionati una serie di regioni che non esistono amministrativamente
ma radicate nel dna (Macomer ad esempio è prima di tutto nel Marghine, che
confina con la Palargia, da qualche parte ti aspetti pure la Terra di Mezzo… in confronto pisani e fiorentini sembrano gemelli
siamesi.)
Ho verificato di come la Sardegna sia la regione meno
‘italiana’. In confronto, l’Alto Adige pare un quartiere di Roma popolato da
biondi con gli occhi chiari. Il tedesco parlato a Bolzano è lingua comunque in
grado di aprire a altri mondi; in Sardegna, il sardo è il muro invalicabile
alla comunicazione con l’esterno. Non è solo la lingua a segnare il distacco ma
ancor di più il riferimento la civiltà nuragica: un mondo
impermeabile a fenici, greci e romani, sconosciuto ai sardi stessi e dunque
mitizzabile oltre misura, come accade solo per i vichinghi e Atlantide.
Ho diretto per anni un’azienda leader nazionale nei servizi
alla pubblica amministrazione e non partecipavo mai a gare sarde perché “In
Sardegna lavorano solo i sardi” era l’imperativo condiviso da tutti nel settore.
Mi è parso dunque naturale che in Sardegna nascesse una moneta complementare perfetta come il Sardex, che rende una pippa il Bitcoin. (Il Sardex è una efficace moneta a interessi zero
usata da migliaia di imprese, ancorata all’economia del territorio, funziona
solo in Sardegna).
Anche in Sardegna, come è evidente in Calabria e Sicilia, il
sistema è drogato dalla logica frammentata e a corto respiro dei finanziamenti
europei, in difficoltà nel lavorare assieme per ottenere risultati nel lungo
periodo (che è poi la base della resilienza che uno sparuto gruppo di
coraggiosi si sforza di portare all’attenzione della politica e dei cittadini).
La pubblica amministrazione vede troppo spesso se stessa come erogatrice di
fondi a pioggia e non come facilitatrice di processi in grado di abilitare
comunità a farsi carico di se stesse. Tanti progettini, dunque, per un’esistenza
al presente che scorda le generazioni che verranno. E in troppi se ne vanno.
Qualcuno però non si arrende. Con me, a Macomer, c’erano
almeno sette o otto sardi che dopo anni all’estero o in giro per l’Italia, si
sono convinti nel segnare strade di ritorno e non solo vie per trovare futuri
altrove. Sono forse loro i primi a incunearsi con agilità nelle fessure che la
modernità riesce ad aprire anche lì. E risvegliano, e si saldano a energie non
spente: quelle della coraggiosa libraia di Macomer, dell’associazione che vuole
rimettere in funzione il fantastico trenino che taglia l’interno dell’isola, di
chi la Sardegna la canta e la suona con orgoglio, chi punta sul vino, chi sull’agricoltura
idroponica.
Ottimista? Realista, con una propensione a vedere più chi
interviene di chi si lamenta e nega la realtà. Compiaciuto che alcune delle più belle persone che ho incontrato vogliano occuparsi di politica. Stupefacente e controcorrente forse, ma in linea con una grande tradizione e segno che forse proprio da posti diversi come la Sardegna possano ripartire le idee e i progetti di chi vuole pensare in grande (e diversamente).
Molto bello, complimenti
RispondiEliminaSempre interessante leggerti...sai che è nata Tibex ? E funziona eh ma noi del continente siamo mooolto più diffidenti!!!
RispondiEliminaBravissimo Andrea