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martedì 17 luglio 2012

Una settimana a Parigi, da romano: confronti tra due città crudelmente diverse.


Se vivi a Roma, passare una settimana a Parigi (ai primi di giugno) porta inevitabilmente a fare dei confronti.
  • La capitale francese è sporca, direi più sporca di Roma, si vede agli occhi e si sente al naso. Però è molto più ordinata e gode della scelta illuminata di aver quasi bandito le auto dal centro. D’altronde la metropolitana è un reticolo fittissimo che arriva ovunque e, in superficie, decine di migliaia di biciclette solo a disposizione a uso pubblico e semigratuito.
  • A Roma se dici la parola ‘cultura’ ti aspetti in risposta il pernacchione di Sordi al lavoratori. A Parigi l’offerta culturale è stupefacente e straripante, cosi come il numero di librerie, biblioteche, cinema, musei. I grandi attrattori culturale lasciano attoniti per organizzazione e contenuto: ho visto la mostra su Tim Burton, una su Degas, un po’ di arte moderna, la gente in fila per i Maya,… Molti cinema iniziano la programmazione alle 10 del mattino e diversi offrono tessere d’ingresso illimitato per 25 euro al mese (che è meno di un polveroso abbonamento a  Sky). Le gallerie fanno tutte i vernissage lo stesso giorno (di giovedì) e diventano vere serate di festa del quartiere.
  • Sono molto nervosi, questo sì. Loro non sono abituati all’incertezza politica e economica. Hanno patito Sarkò come il passaggio di una malattia contagiosa e nulla si aspettano da Hollande. Sono disillusi dalla politica e credono molto di più in una  Francia che riparta per merito dei francesi.
  • Difendono le loro conquiste di civiltà con i denti: le 35 ore, la laicità dello stato, i servizi alle famiglie e si inventano delle cose utili a spezzare la solitudine. In quei giorni tutti erano coinvolti nella “Festa dei vicini di casa” e nei cortili e sulle terrazze migliaia di persone superavano la consuetudine del freddo cenno in ascensore per ritrovarsi a chiacchierare con un calice in mano.
  • Poi ho scoperto che fino alle medie vanno a scuola 4 giorni la settimana col mercoledì a casa e relativo caos organizzativo nelle famiglie e nelle aziende dove è difficile organizzare riunioni. Questa mi pare una emerita sciocchezza di cui mi sfugge il perchè.
  • Amano l’Italia mentre noi neanche ci filiamo la Francia. Moda, musica e film sono ben conosciuti e il cibo idolatrato. Mi è capitato ben 3 volte ascoltare parigini doc osannare la gelateria Grom che ha appena aperto in Rue de la Seine come fosse un tempio dello spirito. Imparano addirittura a conoscere i nostri vini (mi ha stupito sentirli parlare di Nebiolo e Bonarda. Solo rossi, per carità: per loro quello bianco non è vino, Champagne a parte).
  • Sono vere lucertole, specialmente le ragazze, e vedono così poco il vero sole che appena sbuca rimangono con un niente addosso che ti chiedi se il tessuto sia tassato. Tutti quei nulla svolazzanti in bicicletta godono della fortuna che il traffico sia davvero poco altrimenti gli incidenti trasformerebbero la città in un unico ingorgo.
  • Infine, parlando con molti giovani mi sono reso conto che la frattura generazionale da loro è molto più profonda e responsabile. Intendo dire che nulla si aspettano dai padri, né consigli, né raccomandazioni. Prendono atto che il mondo è del tutto cambiato e, serenamente, cercano nuove vie. 

3 commenti:

  1. La festa dei vicini era stata istituita anche a Roma. Mio cognato - che ora vive a Parigi - è l'unico che conosco ad averla organizzata nel suo cortile a Garbatella.

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  2. Effettivamente i francesi hanno nel complesso un'ottima disposizione verso l'Italia (c'est génial, dicono) e gli italiani (siamo sympa, dicono) e sentono in modo positivo il nostro rapporto di cuginato (l'Italia e la Francia sono sorelle per cui i loro figli sono cugini). Mi è sempre sfuggito dunque il motivo dell'ottuso pregiudizio che anima così tanti italiani nei confronti dei francesi sempre dipinti come antipatici e quant'altro quando non è assolutamente così.

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