Pagine

sabato 16 febbraio 2013

Lo splendido potere eversivo del Festival di San Remo.

Per quanto se ne dica, è davvero difficile trovare tracce di vero antagonismo nell’arena politica, così come nelle piazze. La sensazione è sempre di terribile semplificazione partigiana e di svogliato qualunquismo.
Da diversi anni rimango stupefatto dal potere del Festival di San Remo che a mio avviso è diventato il luogo privilegiato per portare messaggi eversivi camuffati da falso buonismo, musica e caciara.

L’inizio lo identifico nel 2010 quando agli orchestrali fu fatto credere di contare per il 50% dei voti per designare i vincitori. Gli increduli suonatori si ritrovano vincenti tre muli pompati dai discografici e nessuno dei cantanti di qualità da loro invece massicciamente votati. Successe l’incredibile: loro si indignarono. Fischiarono, lanciarono i loro spartiti accartocciati al centro del palco, e la giuliva Clerici dovette chiamare una pubblicità non prevista per ottenere un minimo di ordine. Quella indignazione fu ai miei occhi come il germoglio imprevisto in Wall-e, e dimostrava che nel deserto valoriale del modello televisivo esisteva qualcuno non disposto a mettere in vendita la propria dignità. E già, l’indignazione viaggia assieme alla dignità, non esistono l'uno senza l'altro e fanno trio con la vergogna, sentimento accessibile solo a chi si sa ancora indignare; il fatto che nessuno o quasi si indigni vuol dire che in molti si sono venduti l’anima.

Poi venne il 2011, e Vecchioni trionfò con “Chiamami ancora amore” . E' stata la vera prima cannonata alle fondamenta del regime del vecchio bavoso. Una canzone che ha azzerato la salivazione della sinistra italiana e ridotto a balbettio di maniera ogni altro decrepito slogan, ha scosso la società civile, ha ricordato come sognare sia un imperativo necessario, ha chiarito a molti come il re era fosse nudo, piccolo, pelato e ce l’avesse pure piccolo.

Quest’anno 2013 altro grande colpo di scena: un festival con canzoni belle e rappresentative della scena musicale nazionale, per tutti i palati, con testi in un italiano vero da arrotare tra i denti e di cui essere orgogliosi, e poi tanto altro. Ci sono due canzoni intelligenti che parlano di morte, una dolcissima su un amore omo, una decisamente rivoluzionaria, strumentisti e session man che fanno venire la pelle d’oca. 
La Littizzetto ha fatto un monologo contro la violenza sulle donne che andrebbe ripetutamente proiettato nelle scuole ma anche negli uffici e negli stadi. Il tema del matrimonio negato agli omosessuali è tracimato dalle strade fin sul palco con la sua urgenza e delicatezza assieme. Si è fin parlato di liberalizzazione delle droghe leggere.
La società reale insomma, con le sue contraddizioni, trash, bellezze e desideri. 
C'è stato un impatto così forte sull'opinione pubblica che la campagna elettorale si è ingrigita più dei capelli di tutti i candidati premier. E, ne sono certo, la maggioranza degli italiani non sarebbe contraria a altri 5 giorni di festival per poter arrivare al voto davvero più sereni, informati e consapevoli del mondo in cui viviamo.    

1 commento:

  1. In Italia è così: l'informazione e la politica le fanno i cittadini, non chi è delegato (e da noi pagato). . . Luca

    RispondiElimina