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giovedì 1 agosto 2019

Formarsi per trasformarsi. Riflessioni di un docente alla vigilia delle ferie.


Nell’ultimo anno ho fatto almeno 80 giornate di formazione (sono un’enormità e prometto a me stesso che non lo farò mai più). La bellezza della formazione è che consente di entrare in relazione con le persone in un momento cruciale della vita: quello dello sviluppo professionale.
Sono tutti corsi per adulti. Possono essere partecipanti a master, occupati e disoccupati di ogni età in corsi finanziati dalla UE, manager privati, direttori di musei o biblioteche.

Quello che accomuna gran parte di loro è il disorientamento. Come se la velocità a cui si muove il contesto paralizzi la capacità di muoversi senza punti di riferimento; l’assenza di certezze impedisca di tracciare rotte; l’ansia che vedono negli occhi dei genitori o dei partner diventi il fantasma che li impantana se stanno per accelerare.

Incontro spesso talenti formidabili che non hanno mai potuto verificare nel concreto l’utilità di ciò che saprebbero fare. Da parte dei più giovani osservo una profonda critica ai programmi universitari ritenuti obsoleti se non proprio campati in aria.
Io non sono un accademico. Adoro l’aula ma ho bisogno di ‘fare cose’, impastarmi col reale, confrontarle con l’ottimo e i mediocre, elaborarne l’efficacia. Poi, se ho imparato qualcosa, trasformo tutto ciò in un’attività d’aula. Mi appassiona e diverte anche e spero che ciò mi renda un apprezzabile formatore.

Ogni tanto ecco quello/quella (più spesso è donna) che si incaponisce su un’idea e vuole fortemente realizzarla. Spunta il ‘progettino’ che sgomita per prendere forma e perdere il diminutivo. Quando ci riesce, lo sguardo di chi immagina il futuro è diverso: chiede e libera energie. Ci sono casi in cui questo miracolo avviene addirittura durante il corso e allora nasce una contaminazione positiva con gli altri partecipanti, i talentuosi e indecisi che scoprono come si possa osare. Il progetto allora diventa più di uno, alcuni si fondono, si scontrano, si arricchiscono a vicenda. Tutti imparano e si trasformano.

Sullo sfondo, gli enti di formazione: tolte brllanti eccezioni, soffrono la pesantezza burocratica, la difficoltà a interpretare il contesto, faticano a dare senso ai loro corsi, anche perchè quasi mai conoscono davvero i corsisti, raramente interagiscono con i docenti, tantomeno li coordinano. Fanno un lavoro per cui occorre una vocazione ma raramente riescono a vedersi come tali. Anche se formare gli enti formatori è un po' come spingere gli spingitori di guzzantiana memoria, dovrebbe essere fatto.

So che molti dei partecipanti alle mie aule leggeranno questo post e non mi spiacerebbe confrontarmi ancora con loro su questi temi.

mercoledì 1 maggio 2019

Il Lavoro e il Non Lavoro.


La prendo da lontano… non mi faccio mai consegnare cibo a casa quindi mi sfilo dal dibattito sulle mance ai fattorini di pizze-sushi-hamburger e simili. Non lo faccio perché quei ragazzi mi fanno pena quando li vedo pedalare, e perché in casa amo cucinare. Fanno un lavoro che non può essere sostenibile, gli toglie energia e svuota di senso il lavoro stesso: il valore della merce in ogni viaggio è troppo basso per giustificare il valore aggiunto dal costo della consegna. È una presa in giro, come i tirocini infiniti, i periodi di prova senza termine, il ricatto del ‘fai un lavoro che ti piace… vuoi pure essere pagato il giusto?’  

Conosco abbastanza quei ragazzi, il labirinto in cui si trovano, la disillusione e la rabbia di alcuni. Li incontro  in molti corsi dove insegno. Tra loro non mancano i talenti, parlano tre o più lingue, sono persone quadrate e motivate a cui non viene data la fiducia, l’occasione, la possibilità di sbagliare. In tanti, tantissimi, lavoricchiano spesso in nero, mixano passioni e necessità nel disorientamento complessivo. Molti rischiano di arrendersi ad un eterna attesa coltivata nel rancore, di macerarsi nell’irrilevanza, di rassegnarsi a pedalare come criceti nella ruota, a non strutturare le loro conoscenze in competenze reali e spendibili sul mercato.

Io vivo del mio lavoro – sempre da immaginare, trovare, svolgere, mese dopo mese, nell’incertezza del presente e nella visione di futuri utili e probabili – e gran parte del mio è sviluppare lavoro e opportunità per altri.
Nei miei progetti col pubblico e il privato vedo le potenzialità dei singoli e la disorganizzazione del sistema complessivo che non crea occasioni, benessere e occupabilità.

Mancano servizi adeguati, banche dati di riferimento, marketing territoriale, conoscenza dei bisogni e  visone generale. Mancano perchè non interessano. Nessuno è pagato e motivato a raggiungere obiettivi reali. I tempi degli interventi rispondono a tempi anni ’80 in cui il contesto consentiva piani quinquennali, incongrui con la velocità dell’oggi.  

Manca il coraggio di sperimentare soluzioni, valutare gli impatti delle politiche, misurare l’efficacia della Pubblica Amministrazione. 
Si crede che il lavoro nero sia inevitabile, che l’illegalità sia congenita e necessaria, che in fondo aiuti gli ultimi a metterci una pezza, quando invece non fa altro che irrobustire la gabbia in cui sono rinchiusi e annullare in partenza il percorso degli imprenditori che vorrebbero operare in regola, creare valore collettivo, assumere e formare.

Credo che l’Europa, come luogo politico e geografico, ci possa aiutare molto nel cammino necessario per dare forma e efficacia al nostro mercato del lavoro. Non parlo di Fondi, quelli già presenti abbondanti e spesso spesi male in molte regioni, ma nella forma mentis, nella creazione di opportunità, nel lavoro per obiettivi, nella dotazione tecnologica, nella riduzione del digital gap e dell'analfabetismo funzionale che sta rallentando ogni reale ipotesi di sviluppo. Anche questa è una ragione profonda per andare a votare a fine mese. 

mercoledì 8 luglio 2015

Come trovare il lavoro anche se si ha la laurea.

Nei giorni scorsi il Governo ha fatto timido passo nel codificare come non tutte le università siano uguali. 
La proposta, in sintesi, era che nei concorsi pubblici si assegnino più punti a chi ha fatto una facoltà meno di manica larga con i voti. Immediata è stata la reazione dei rettori e, tra tarallucci e limoncello, l'ipotesi si è sciolta nella calura.
Sebbene ciò riguardi solo l’ammissione a un piccolo gruppo in via di estinzione (i dipendenti pubblici assunti per concorso), secondo me l’argomento è tutt’altro che di importanza residuale per un paese. Si incunea con forza nei tentativi di valutare e essere valutati, di rendere conto del proprio lavoro o ritenersi sopra le leggi della logica e del mercato, di rispondere a chi con le tasse ti paga lo stipendio.
La proposta del Governo forse era zoppicante ma chi si è già premurato di affossarla non ha certo intenzione di presentarne una migliore.
Sì, perchè come ogni famiglia e azienda sanno per esperienza diretta, l'Università italiana è più che adeguata al XXI secolo trasmesso su Rai 1.
Però ci sono molti posti al mondo (es. Inghilterra) dove non vige il valore legale del titolo di studio.
È dunque utile fermarsi e inquadrare la questione.
Parlando poi di mondo reale, anche in Italia l valore legale del titolo riguarda ben pochi e il settore privato ha da decenni introdotto forme di ranking spietato (e non scritto) verso le università.

Nel mio piccolo ricordo bene quando, dopo il terzo candidato con 110 e lode che non sapeva leggere un istogramma, diedi indicazione di cestinare preventivamente tutti i curriculum provenienti dalla Lumsa di Roma, pur sapendo che così mi sarei forse perso qualche perla rara. Ho però valutato che il tempo della mia organizzazione valesse di più. Ci sono poi facoltà risapute come  ‘facili’, atenei ‘chiusi alle novità’ che ripropongono da decenni le stesse visioni del mondo, i diplomifici on line e off line costruiti per accedere ai concorsi pubblici o poter scrivere “Dott.” sul biglietto da visita e acquisire punti agli occhi della mamma o di un cliente sprovveduto.
   
In generale da un laureato ci si aspetta che sia sveglio, capace di dare letture trasversali, abbia delle passioni, una vita e non abbia solo studiato. Di certo deve saper scrivere e far di conto.
Spesso non ci si aspetta molto in termini di competenze specifiche, non perché i giovani non studino ma perché le università hanno poca chiarezza sul cosa serva insegnare loro.
Meglio se qualcosa di concreto abbia comunque imparato a farlo, magari nel tempo libero.

Sempre più spesso mi accorgo che i selezionatori desiderano sentirsi dire dai candidati cosa potrebbero fare nell’azienda. Non perché siano pigri o distratti ma perché per loro la selezione del personale diventa  un canale per portare in azienda innovazione: nuove persone sono nuove e inaspettate competenze per nuovi prodotti, processi, mercati, soluzioni…

Per capire il concetto, consiglio di leggere i requisiti di questa selezione lanciata da Casa Netural a Matera, uno dei santuari dell’innovazione sociale in Italia: “Non ci interessa ricevere curricula, i candidati devono possedere pochi requisiti: curiosità, voglia di lavorare in team, passione per il proprio lavoro e una voglia irrefrenabile di sperimentare nuove soluzioni!
Senza dubbio sono più molto interessanti i candidati che abbiano fatto l’Erasmus e ragionato su tesi con impatti sul mondo reale. Se hanno già lavorato, meglio; se non sanno solo l’inglese, meglio; se non si spaventano davanti alle responsabilità, più che meglio.

Con buona pace della Conferenza dei Rettori, nel mondo reale il valore legale del titolo di studio è ormai nei fatti prossimo argomento per tesi di Storia del Diritto. 

lunedì 22 settembre 2014

Chiude il Teatro dell'Opera e cambiamo canale.

Quello che colpisce di più in questa vicenda dei Teatri dell’Opera è che della loro sorte non frega niente a nessuno o quasi.

Roma, dove vivo, e Genova, la mia città natale, e Palermo, il Maggio Fiorentino, come molte altre in Italia hanno a che fare con buchi in bilancio spaventosi, vuoti tra gli abbonati e nessun serio programma di rilancio. 
A Roma i dipendenti a tempo indeterminato sono oltre 600, a Genova 280, tutti vorrebbero ridurli perchè i deficit si misurano in decine di milioni di euro. La politica “s’indigna, si impegna ma getta la spugna con gran dignità” perché il teatro che affonda non viene percepito come urgenza in cima all’agenda delle cose da affrontare.

La cosiddetta ‘società civile’ perlopiù tace e a spingere verso qualche soluzione non ci sono neppure i tweet o i post che di solito si sprecano per un povero platano a cui si è rotto un ramo o per un delfino spiaggiato.
La morte di questi teatri dal glorioso passato avviene nel sostanziale vuoto, e fin il sindacato mette poca convinzione nella difesa dei posti di lavoro dei professionisti che vi operano. E' infatti molto più facile spiegare ai giornali la difesa degli operai dell’Elettrolux, dei precari della Sanità, fin dei dipendenti al nero degli stabilimenti balneari, che di musicisti, balletto e maestranze di un luogo alieno alla realtà della maggior parte dei cittadini.

Tra i mille fattori che condizionano tale disinteresse collettivo è centrale, a mio avviso, la quasi totale ignoranza in materia di teatro, musica, balletto e opera. Il tutto è percepito da molti (spesso anche da me) come un retaggio del passato, di difficile comprensione, se non di rara noia. Per un non appassionato, vista una volta l’Aida, un Trovatore, una Boheme, magari una Madame Butterfly, l’argomento è evaso e  non si trovano ragioni per andare a rivederle, proprio come non si  torna al cinema per lo stesso film. L'operetta, la musica da camera e altre divagazioni sul tema proprio non sono classificate.

Lo so, la scintilla dell’amore per il teatro scocca andandoci. Non servono molte spiegazioni. La magia è nel teatro stesso e non in qualcuno che ti spieghi ‘come funziona’ o ‘cosa succede’. La musica si ama ascoltandola e facendola. Questo avviene in poche case e purtroppo già alle elementari i bambini non hanno neppure un’ora di educazione musicale (mentre 2 sono le utilissime ore di religione), le uscite scolastiche sono inoltre quasi azzerate e raramente considerano che un ragazzino possa godere – e molto - di un’ overture o di un’opera lirica. In altri Paesi, anche europei si inizia a studiare uno strumento già alle elementari.  
L'educazione è anche il fondamento per la creazione di nuovo pubblico.
Educazione dunque, e poi buon senso applicato al XXI° secolo.

Il buon senso implica che anche un Teatro dell’Opera debba ‘servire’ e ‘rendere conto’ al territorio e al mondo della Cultura e non possa considerarsi una torre di avorio dove le decine di milioni di deficit sono sempre respnsabilità di qualcun altro. 
In pochi hanno chiaro a cosa serva un Teatro dell'Opera e quale è il giusto prezzo da pagare.
So che i costi superereranno sempre i ricavi ma l’unico modo per sostenere che un Teatro abbia una funzione sociale come un Ospedale o una Metropolitana, e dunque se ne possa giustificare un ‘costo’, è renderne evidente il suo impatto sociale e culturale.

È giunto quindi il momento in cui queste strutture devono imparare a misurarsi.
Mi rendo conto come non sia facile ma senza questo sforzo di valutazione nessuno sarà in grado di argomentare perché a fronte della mancanza di asili, assenza di sussidi ai disoccupati, chiusura di reparti ospedalieri, il nostro bel teatro possa tritare milioni di euro di denaro pubblico per mettere in scena poche decine di spettacoli all’anno. 

lunedì 28 luglio 2014

Cerco, cambio, vendo, compro, offendo il lavoro.

Sono nato in una grande città operaia regolata dai ritmi dell’altoforno e dagli orari di arrivo delle navi da scaricare. “Ci sono i portuali in sciopero” o “L’Ansaldo è scesa in piazza” erano pronunciate un’ottava sotto, col rispetto dovuto alle celebrazioni in cattedrale. A cui assistere deferenti se non si era gli officianti.
Il lavoro e le sue forme di lotta erano celebrati come necessari e preziosi. Lo sciopero era parte del lavoro come gli attrezzi, la tuta, il sindacato, gli infortuni. Era il mondo di tutti noi e tutti guardavamo a un futuro per le nostre famiglie in cui crescesse la qualità del lavoro, i meritevoli fossero premiati e i deboli sostenuti.
Anche negli anni ’90, quando robotica e informatica hanno rivoluzionato le professioni e i mercati, provocando parecchi licenziamenti e prepensionamenti la reazione è stata composta e dignitosa, come davanti a una catastrofe naturale e un nuovo paesaggio sconosciuto da far colonizzare ai propri figli il cui dovere diventava ancor più studiare per interpretare il mondo.

Da qualche anno le cose sono cambiate. C’è stato un momento in cui il lavoro e il suo controvalore economico hanno perso ogni relazione, troppo per alcuni, briciole per altri; in cui gli imprenditori più bravi hanno maggiori difficoltà a creare ricchezza di una pletora di parassiti assistiti.
Forse c’entra il Crollo del Muro e la liberazione di forze che prima erano contenute dalle ideologie contrapposte di chi credeva di Dio o nella Comunità come fini ultimo del sacrificio di oggi per il bene di domani. Di certo non è facile realizzare di essere rimasti senza Dio ma ancora più difficile è essere senza lavoro. “'Io non credo nell'inferno, credo nella disoccupazione” afferma deciso Dustin Hoffman in ‘Tootsie’ quando per lavorare deve fingere di essere donna e riassume la lacerazione tra talento e opportunità che è propria ormai di un paio di generazioni.

È offensivo essere chiamati a fare sacrifici quando i privilegi di pochi sono sotto gli occhi di tutti. Infatti e sempre più evidente è l’assenza di vergogna, forse conseguenza dell’assenza di un Dio o di una Comunità a cui rendere conto dei peccati commessi così come delle buone azioni.
Li percepisci attorno a te i privilegiati, gli strapagati, i raccomandati, i cassintegrati professionisti, i riciclati, costruire muri, abbonarsi al ricorso al Tar e alla Corte di Strasburgo, sbracciarsi per dire che loro “non ci stiamo!”, che “vogliamo solo il rispetto delle regole e dei patti” anche quando sono arbitrari, iniqui, fonti di mercimonio.  Li immagini in difesa, con l’elmetto sulla testa e sul culo e l’avvocato carico nella fondina, nelle loro trincee scavate in Alitalia, alla Camera dei Deputati, al Teatro dell’Opera, in mille società miste municipalizzate speciali parapubbliche.

Assisto attonito alla fine del sindacato, ucciso per sua stessa mano e cecità; osservo disilluso i politici urlare annunci di riforme afoni di significato; mi irritano i cento dirigenti che danno la colpa dei propri errori e inerzia alla crisi o alla congiuntura strale; seguo col pensiero le avventure di chi se ne va all’estero a coltivare i sogni, di chi torna a quarant’anni a vivere coi genitori senza più sogni, di chi, sopraffatto, chiude sconfitto la propria battaglia terrena.
Se obietti a tanta supponenza, ti si rivoltano contro con frasi da fiction di basso costo come “Chi sei tu per parlare?” “Lo fanno tutti” “E’ sempre stato così”.


Io sono solo uno che paga tutte le tasse, si costruisce ogni giorno un curriculum meritato fatto di sbagli e di successi, pagandosi la propria formazione per stare sul mercato, e che non crede nella vita eterna e dunque preferisce che i peccati altrui che rovinano la vita mia, dei miei figli, dei miei amici, di mille sconosciuti respinti, vengano redenti qui, in contanti e subito.

lunedì 24 febbraio 2014

Perché la lotta alla disoccupazione è un "Tema Etico".

Sono molto preoccupato, sono stufo di fumo e annunci vuoti sul tema del lavoro: Job Act, Garanzia Giovani, Riforma dei Servizi per l’Impiego, Contratto Unico sono titoli vuoti, utili a far discutere nei talk show ma nessuno di loro va alla radice del problema.
Ascoltare l’Unto dal Nonno John Elkann dichiarare che “i giovani italiani sono poco determinati e sono svogliati perché troppo coccolati da mamma e papà”, peraltro arrivato buono ultimo dopo la ministra Fornero che li definì ugualmente “choosy/schizzinosi” e le sentenze del suo casuale viceministro Martone “Laurearsi dopo i 28 è da sfigati” fa preoccupare. Questi non sanno di cosa parlano e, soprattutto, come non si tratti di giudicare ma di capire e intervenire.
Vi assicuro, anche per uno come me che fa orientamento nelle scuole e nei corsi post universitari, decine di colloqui l'anno e che segue dinamiche e tendenze del mondo del lavoro da vent’anni, è complesso mettere a fuoco cosa stia succedendo a più di un’intera generazione.
Sì, studio i dati sconfortanti sulla disoccupazione, sulla crescita dei NEET (Not in Employment Education or Training), sulla disarmante fuga di cervelli e braccia all'estero ma soprattutto incontro molte persone splendide, preparate, acute, ambiziose che mi raccontano delle porte chiuse, dello sfruttamento intellettuale sistematico da parte delle imprese, del nepotismo dilagante nelle università, delle fette di culo più o meno metaforicamente richieste e talvolta elargite per portare a casa spiccioli e una prospettiva di pensione virtuale.
Ogni tanto incontro degli operatori demotivati che come in un Pronto Soccorso, sono sfiancati dalle richieste e consci dell'inadeguatezza della cura offerta.
Ma di questo non c’è, ripeto, non c’è nessuna vera consapevolezza del fenomeno in chi deve decidere, pianificare, progettare le soluzioni. Nessuna innovazione vera da più di 20 anni, soldi spesi senza misurarne gli effetti e gli impatti. Quasi tutti poi si affidano all’astratta guida dei numeri e a idee/ideologie spesso obsolete e fuori bersaglio. La colpa è dunque dei giovani, non adatti, non flessibili. Brutta bestia l'ideologia. Almeno dal ministro Sacconi in poi, lotta alla disoccupazione è diventato un vero tema etico.
E il nuovo governo con la sua “moratoria sui temi etici” annunciata da più parti per tenere assieme i cocci mi sconforta e mi fa temere che non si andrà oltre le dichiarazioni di rito.

Il come affrontare la lotta alla disoccupazione (e la fuga dei cervelli, e il digital divide, e le disuguaglianze di genere, e, e, e,…), come per tutti i temi eticamente sensibili non può prescindere dalla riflessione sull’esperienza e dalla conoscenza del mondo.  
Diffido da sempre da chi si esprime sull’aborto, il divorzio, le coppie omosessuali, la fecondazione eterologa, il fine vita, senza avere esperienze/conoscenze dirette proprie o di persone amate (figli, amici, …). Ho visto – spesso - cambiare idea ai più rigidi difensori della dottrina quando era la loro figlia a amare una donna, loro stessi a non poter concepire, il loro nonno a vegetare.

Siccome non è realistico far provare la disoccupazione e la precarietà sulla pelle a plotoni di direttori, studiosi, consulenti, (e indelicato augurare la disoccupazione della loro progenie e parentela) vorrei saperli tutti per un mese sul campo. Intendo agli sportelli, agli uffici di contatto col pubblico in un Centro per l’Impiego, in uno spazio di co-working pieno di partite IVA che fanno 4 lavori. Lì potrebbero forse capire cosa succede nel mondo, cosa non va, misurare la propria adeguatezza o prendere le misure della propria sconfitta e richiedere un trasferimento a altro incarico.

Il progetto potrebbe chiamarsi semplicemente “Guarda e Impara” e non avrebbe precedenti nella storia della nostra democrazia.

domenica 22 settembre 2013

Di cosa parliamo se parliamo di senza lavoro.

La crisi ci avvolge e le soluzioni latitano. Le comunità si sfilacciano, le famiglie scoppiano, le persone si abbruttiscono, si disperano, muoiono talvolta per mancanza di alternative.
Le risposte alla domanda di lavoro, di opportunità, di futuro, sono ostaggio di una politica disattenta e colpevole. Oggi però lascio a voi l’individuazione dei responsabili. Oggi i miei pensieri devono andare a chi in questo caos prova a dare un aiuto concreto.
Avete mai avuto a che fare con i Servizi per l’Impiego? Ci lavorano molte persone. È sempre più un vero Pronto Soccorso per anime perse.
Gli operatori che vi rispondono, che si impegnano a darvi nuovi indirizzi e opportunità sono sia dipendenti pubblici che specialisti privati. Forse alcuni si sono arresi alla montagna di richieste che ricevono ma, vi assicuro, in molti ci mettono l'anima. Contribuiscono come api operaie a portare grani di futuro a chi ormai non ne vede più. Molti sono supereroi del quotidiano con una vera vocazione all’ascolto, talento nel superare la burocrazia, abilità nel fare il possibile con gli strumenti disponibili. 
Hanno una grande  preparazione, ma senza compassione non riuscirebbero a fare nulla. Moltissime sono donne e ritengo che ciò non sia casuale.

Ne conosco parecchi, li ammiro, di alcuni ho la stima per aver fatto assieme  pezzi di strada. Ho l’onore di essere incluso nei loro pensieri, e in qualche mail.
Federica ha mandato quella che segue a me e ai suoi colleghi. Vorrei che la leggeste, e  che la faceste leggere, perché il loro è un lavoro oscuro, poco valorizzato. Spesso si prendono le colpe di un sistema che non dà alternative ai più deboli in realtà sono sentinelle di umanità al servizio dei cittadini:

“Sono sul treno per Novara e questi giorni sono stati un po’ faticosi.
Martedì abbiamo dovuto chiamare i Carabinieri per mandarli a casa di un nostro utente che non andava più al tirocinio da 3 giorni e aveva il cellulare staccato. Sfondando la porta lo hanno trovato senza vita.
Non ti dico la tristezza che stiamo accumulando: sono 6 mesi che gestiamo e situazioni al limite dell’umano...tendenti al disumano per certi aspetti... Sono tutti soli, solissimi. Tutti senza lavoro, a volte senza casa con figli a carico e spesso malati.
È tredici anni che faccio questo lavoro. Ricordi, all’inizio li assistevo al telefono e già pensavo di esser più un'assistente sociale che un’addetta alle informazioni sul lavoro. Ora, qui, nell’incontrarli di persona puoi immaginare...
Spesso siamo per loro l’unico appiglio, le uniche che li ascoltano veramente.
Ascoltando i loro problemi le loro storie pazzesche pensi a quanta fortuna hai... Ogni giorno in me cresce la consapevolezza di essere veramente fortunata.

Questo signore aveva 65 anni, nessun parente, credo nessun amico perché è triste pensare che siamo stati addirittura noi a dare l’allarme dopo tre giorni. A nessun altro è venuto in mente di andare a casa sua per vedere che fine avesse fatto... La scorsa settimana si lamentava ancora con me perché la Provincia (in realtà era la banca) gli tratteneva quasi 3 euro al mese su un bonifico di 530 al mese sulla sua tessera ricaricabile... una follia... mi ha spiegato che lui con 3 euro ci mangiava 2 volte. Gli ho chiesto cosa mangiasse e mi ha detto ‘una scatoletta di tonno e un pomodoro.’
Ti rendi conto???? Mi vengono i brividi ancora oggi a pensarci... la povertà e la solitudine messe assieme sono due cose tremende.

Il lavoro in questo momento è estremamente complicato, ci disarma la sofferenza che si portano dentro in così tanti. È emotivamente pesante.
Allo stesso tempo sto imparando molte cose. Mi sento davvero utile, sento che stiamo aiutando queste persone mettendoci tanta umanità, calandoci nelle situazioni di ciascuno. A volte penso che forse questa sia la mia vera vocazione... chissà...  ci sono però volte che mi porto a casa troppi pensieri legati a loro, forse dovrei essere più distaccata... ma è impossibile...

Che dire… se questo può far riflettere ancor più ciascuno di noi ben venga. A me ha fatto riflettere moltissimo. Banalmente, tutte le volte che sto per lamentarmi di qualcosa che non va nel verso che vorrei penso ai nostri utenti. A volte vorrei  portare con me i bambini per fargli ascoltare qualcuna delle storie che ascoltato io. Ma forse sono ancora troppo piccoli per capire, e da loro troppo non posso pretendere....ma a qualche adulto farebbe bene toccare con mano la realtà...
In questi 13 anni pensavo di avere affrontato molte situazioni disagiate e disperate ma, credimi, niente a che vedere con alcune di queste, con quello che sta succedendo ora ...
Pensa che questo signore aveva scritto delle poesie e un libro che parlava di bambini. Aveva provato anche a pubblicarlo ma gli avevano risposto che avrebbe dovuto comprarsi le prime 100 copie e lui, come puoi immaginare, non avrebbe mai potuto farlo. Mi dicono che queste poesie e il racconto siano ora nelle mani della segretaria della scuola presso cui lui prestava tirocinio. La signora era, insieme a noi, una delle poche persone che avevano un contatto con lui.... e lui giovedì, ultimo suo giorno in ufficio, gliele aveva portate.

Oggi dovrò gestire la chiusura del tirocinio di questo pover uomo... un persona veramente carina… Dovrò sentire il maresciallo dei carabinieri perché siamo state le ultime persone ad avere contatti con lui ecc ecc... sarà una mattinata molto pesante...!

Questo è stato il mio sfogo...

Buona giornata Fede”



(Post dedicato a tutta Conform e ai tanti amici nei Centri per l'Impiego in tutta Italia. Grazie.)