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giovedì 8 marzo 2018

Donne e Uomini, Vittime e Carnefici, Passato e Futuro.


L’ultimo a finire sui giornali è stato un italiano, un carabiniere che ha preso la pistola, ha sparato alla moglie, ucciso le figlie e si è suicidato. Un omicidio premeditato fin nei più piccoli particolari.
Nei prossimi giorni ci sarà la sentenza per l’omicidio ugualmente premeditato di Michela, una nostra amica, da parte del suo partner, un manager bancario. Michela era una donna radiosa, un’insegnante molto impegnata nell’educare studenti e studentesse al rispetto e alla giustizia tra i sessi.
La stragrande maggioranza di questi reati avviene per mano delle persone più vicine e fidate. Quasi sempre uomini incapaci di affrontare la realtà e la vita. Inermi di fronte alle difficoltà proprie e a quelle della coppia. Alcuni in cerca di una madre nella partner, tutti inabili alla costruzione del futuro assieme. Uomini convinti del possesso,non abituati alla sconfitta, così come all’uso della ragione.
Come ben si sa, non sono né il reddito né il livello scolastico a inquadrare il fenomeno, né a darci spunti per combatterlo.
Gli uomini coinvolti in atti di violenza ragionano male, vivono male, pensano male. Qualcosa dentro di loro non funziona, o ha smesso di funzionare negli anni o non si è mai acceso. Parliamo di adulti, e  dunque la colpa è loro. Trattano le donne come oggetti di proprietà, o nel mito incatramato della coppia perfetta hanno annegato proprie imperfezioni con cui non hanno mai fatto i conti.

In questi fatti, i rotocalchi cercano la causa scatenante, l’alibi, i fantasmi del passato, gli amanti misteriosi. I media fanno il possibile per razionalizzare i ‘fatti’ o scaricano tutto sul ‘raptus’ e la ‘follia’. Non puntano mai il dito alla Colpa. Vi è un chiaro rifiuto a portare la riflessione su milioni di persone, perlopiù uomini, che dovrebbero fare i conti col proprio essere adulti per darsi un modo diverso di vivere le relazioni affettive.
Sul tema, nella nostra cultura è diffusa una superficialità giustificabile col non voler porre mai le domande che contano. Perché succede? Ci si arrende davanti a risposte troppo complesse e – soprattutto - scomode.

Per quel poco che ho vissuto e conosciuto, ho contezza che per quanto il panorama delle relazioni appaia a volte desolante le donne di oggi stiano in Italia molto meglio delle nostre nonne, ed è da questo che vorrei partire per smantellare la tesi del raptus.

È il caso di ricordare come le nostre nonne (se avete 50 anni) o bisnonne (se ne avere 20-30) hanno in genere avuto delle vite di coppia di merda. Sia lette con i nostri parametri che con i loro: zero affetto, zero complicità, tante legnate e tante corna. Non amano parlarne, non vogliono; siccome era inevitabile, le hanno educate a non parlarne mai: occhi bassi e mente a Dio.
Se vi capita, fate loro domande perché spesso la loro intelligenza aspetta solo di dimostrare quanto non fossero fesse ma piuttosto tenute al giogo.
Dall’alba dei tempi fino al dopoguerra – pochi anni fa - gran parte dei matrimoni erano combinati dalla famiglia, un’altra bella fetta erano riparatori, altri ancora casuali nati grazie al parroco, alle inserzioni sui giornali e simili. Qualcuno d’amore, lo concedo, vere perle rare. Anche quelli d’amore avevano quasi sempre uno schema chiaro nei ruoli di forza e nelle regole che segnavano la distanza del maschile dal femminile. Le nostre nonne erano considerate donne degne dallo Stato e dalla Chiesa solo se si riproducevano parecchio. Questi parti numerosi rispondevano a necessità socio-economiche e ottenevano anche il risultato di tenerle impegnate e con la testa bassa, lontano da libri e civiltà. Oltre a quello dovevano gestire casa, cucinare, educare i figli, etc.
Gli uomini dovevano lavorare e portare a casa soldi, fecondare le mogli e quando ‘serviva’ sfogarsi con le prostitute. Questi criteri li rendevano bravi padri di famiglia.

Era così, punto. Un ordine millenario sancito da necessità ed equilibri di forza. Poco da dire e recriminare. Chi ci provava finiva all’indice se non schiacciata dagli schiaffoni. Era la regola in tutti i matrimoni. Non bello da raccontare. Un po’ come il fatto che in quegli anni quasi tutti erano fascisti e antisemiti, parlo sempre dei nostri nonni e nonne, e oggi che riabbiamo i fascismo alle porte si ritiene ancora indecoroso parlarne, per rispettare la memoria posticcia fissata nelle foto in bianco e nero in bugiardi album di famiglia. 

Le cose cambiano. Credo che dopo l’invenzione della ruota, nulla abbia trasformato il mondo come la pillola anticoncezionale. L’appropriazione da parte delle donne del controllo delle loro funzioni riproduttive è il grande punto di svolta, il primo passo per porsi in una relazione nuova con se stesse, l’economia, la famiglia, la coppia.
L’altro elemento centrale è stata la Pace. Le donne sono il motore e la forza maggiore di un periodo di pace, quale quello che per fortuna stiamo vivendo in Europa da almeno 60 anni. Se non occorre prendersi a mazzate la donna sa bene come manifestare la propria intelligenza, ricchezza e il proprio ruolo. L’uomo del '900 non era programmato per la pace.
L’accelerazione fu forte e la miccia del ’68 servì a contarsi, a scoprirsi una forza, a uscire dalla solitudine a rivendicare quello che è dovuto non solo come donne ma come esseri viventi.

Gli uomini? Eccoci.
Per uscire dalla cultura della clava e del conflitto, dopo millenni dobbiamo cambiare i modelli di riferimento. Di certo abbandonare quello dei nonni e in larga parte dei padri. Possiamo funzionare anche disarmati solo se gli uomini che ci hanno cresciuto riusciamo a amarli e rispettarli, consapevoli che ci sono aspetti per i quali non possono essere dei modelli, e che la nostra felicità passa anche nell’essere diversi da loro. Non può essere altrimenti anche perché le donne che incontriamo sono contemporanee e in tutto diverse dalle nostre madri (meno male, aggiungo).
Il mondo che voglio è un altro, la pace è troppo importante, le donne sono immensamente interessanti per non coglierne il valore.

Dobbiamo anche imparare a litigare con loro. Perché è umano, serve, capita. Ce ne sono pure di stronze, prevaricatrici, crudeli. ‘Come un uomo’ verrebbe da dire. A questi conflitti va applicata la ragione e la giustizia e, se ci vedono perdenti, devono essere un insegnamento, come ogni altro fallimento nella vita.
Chi non ci riesce, chi questo non l’ha capito, si ammala di rancori e rabbia. Diventa vittima di sé stesso e genera vittime attorno a sé.

Dunque. Non parlate più di follia, raptus, pazzia, non ci credo. Basta scuse! La violenza è l’arma dei perdenti. Come faceva ogni giorno Michela, insegniamo alle donne e agli uomini – fin da ragazzi e ragazze – a cogliere la forza negli altri, a valorizzarne la differenza e a identificare i comportamenti deviati rifiutando anche le piccole violenze che, se accettate, autorizzano implicitamente questi criminali a atti sempre più distruttivi e umilianti.

lunedì 21 marzo 2016

In memoria delle studentesse Erasmus morte in Spagna.

13 studentesse sono morte, di cui 7 italiane, molte quelle ferite.
La tragedia del bus affollato di partecipanti all'Erasmus schiantatosi sull’autostrada spagnola mi strazia come exuniversitario, come europeista convinto, come padre.
13 i sogni e percorsi interrotti per sempre. Una perdita per tutti noi. Più grave e definitiva per chi le ha amate personalmente, profonda anche in chi - come noi - sul loro futuro appoggiva parte del proprio.  
I sorrisi delle ragazze, presi da qualche loro profilo social pensato per entrare in contatto e fare rete, dilagano sui media e ti tolgono il respiro interrompendo qualsiasi logica che avrebbe previsto un semestre di studio all’estero per arricchirne il bagaglio di conoscenze e iniziare a costruire quel tesoro di relazioni internazionali che è oggi la chiave di volta per ogni percorso professionale di qualità.

Ho appreso dell’esistenza dell’Erasmus nel 1989 quando nella mia università arrivarono alcuni studenti spagnoli organizzati in un progetto europeo ancora sconosciuto. A nessuno della mia facoltà era stato invece prospettato di parteciparvi perché era considerato “Una perdita di tempo utile solo a ritardare la laurea”. Me ne è dunque rimasto il rimpianto suffragato dalle decine di persone conosciute a cui l’Erasmus ha cambiato la vita, aperto la mente, dato opportunità, consentito di emanciparsi, di capire come in molti ambiti l’Italia sia poco più di un’isoletta e neppure delle più interessanti se non messa in relazione col resto del mondo.

L’Erasmus è di gran lunga l’iniziativa europea di maggior successo e con impatti maggiori sulla popolazione. Sono i soldi più ben spesi. Creano da decenni assieme uno spazio immenso di sviluppo e circolazione della conoscenza, abbattono pregiudizi nazionalisti, mettono a confronto idee e vite, danno senso allo spesso vuoto slogan “Europa dei popoli”. Gettano le basi per le future generazioni di europei.

Colpisce poi come tutte le vittime siano donne. Colpisce di meno se penso a come le donne rappresentino la maggioranza degli studenti universitari, specia tra quelli non fuori corso, e come spesso siano dotate di una maggiore capacità di comprensione della complessità, e di adattamento al cambiamento inteso anche come dimensione geopolitica e scientifica di rilievo. Economia, Medicina, Farmacia erano alcuni dei loro ambiti di studio, tutte scienze in piena trasformazione, in cui riesci se sei onnivoro di sapere e determinato negli obiettivi che ti poni, e se ami la vita nelle sue sfaccettature più serie e più ludiche.

Come padre non riesco a commentare: osservo mia figlia e trovo in me zero parole disponibili a riempire il vuoto.    


martedì 12 gennaio 2016

Leggere senza genere né generi.

Il caso monta poco prima di natale dopo l’incauta affermazione del direttore della libreria La Feltrinelli di Bologna riassumibile in “Non leggo libri scritti da donne”.
Era comunque già da tempo che anche come autore mi confrontavo con le questioni di genere legate all’editoria.

Il mio romanzo tratta di un uomo lasciato da una donna all’improvviso. Di lei sappiamo poco. Forse si è stufata, dei due è la più coraggiosa, non ha un amante, e di lei non vi racconto molto altro perché mi interessa seguire la storia di lui, che è il protagonista.

Il manoscritto ha ricevuto per oltre due anni molti apprezzamenti dagli editor e simmetrici lapidari commenti dagli uffici marketing. 
Una sintesi delle risposte ricevute è:
  • Trovati un editore piccolo stavolta, perchè la narrativa è letta al 70% da donne, gli uomini rappresentano il 70% dei lettori di saggi e biografie. Sappilo. (per inciso, il libro va verso la seconda edizione, con soddisfazione mia e dell'editore che ha investito)
  • Tutti cercano in quello che leggono conferme e evasione, non si vuole essere messi in discussione. La storia di un uomo lasciato all’improvviso dalla moglie ‘solo’ perché lei è cambiata e lui no spaventa le lettrici che difficilmente accettano la sfida perchè hanno difficoltà nell'empatizzare sia con con lui che con lei. Passerebbe forse se l’autore fosse donna ma non uomo come te.
  • Questo vale anche al cinema: pensaci, sono pochi i film in cui lui rimane solo (tipicamente vedovo perché nessuna lascia Raul Bova o Alessandro Gassman) e poi comunque si rifà una vita con un’altra donna e non immaginando la vita in montagna con venti vacche  

Ero già dunque turbato da queste schematizzazioni quando il direttore di Feltrinelli Bologna ha detto la sua. Stufo marcio di semplificazioni, come immagino altri, ho fatto mente locale alla mia libreria e al mio passato da lettore.

Leggere, così come frequentare, le donne mi è sempre sembrato il modo migliore per avere un punto di vista non scontato né accondiscendente sulle mie azioni e sugli interrogativi che mi pongo.
Nell’adolescenza mi ha illuminato la narrativa giornalistica di Oriana Fallaci, il suo sguardo al mondo. Ciò è culminato con la scelta di portare “Un Uomo” alla maturità contro il volere della prof che si era illusa che i miei apprezzamenti per Svevo me lo facessero scegliere. Alice Sebold e il suo “Amabili resti” ha avuto un ruolo di forte ispirazione, direi di insegnamento, per il mio “Il Donatore”. Le “Memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar è dentro di me quando devo dare il senso a termini come ‘amore’, ‘bellezza’, ‘potenza’, o materializzare i rapporti tra generazioni.
Nel 1999 viaggiando da solo in Nuova Zelanda ho comprato un libro che pareva di discreto successo nelle librerie locali, mai visto in Italia. Mi fulminò per intelligenza, bellezza e gusto per la lingua. Tornato in Italia lo suggerii agli occhi più attenti e curiosi. Si trattava di “Harry Potter and the Philosopher’s Stone” di tale J.R.Rowling il cui sesso a quel tempo mi era sconosciuto.
In me c’è poi Amelie Nothomb e la sua “Metafisica dei tubi”, Jhumpa Lahiri e il suo “L’Omonimo”, e la Allende. In Italia adoro l’intelligenza di Valeria Parrella e la modernità di Michela Murgia.
E' poco, lo so. So di avere lacune infinite. 
Alcuni anni fa mi sono imposto di leggere i classici del ‘900 e ne ho provato soddisfazioni infinite. In questi giorni mi sono convinto che il 2016 diventerà l’anno in cui molte nuove autrici entreranno nei miei pensieri.   

Sono tra quelli che ancora i libri li compra, nuovi e di carta (perché è giusto, perché l’editoria deve vivere, perché sono feticista e altro). Visti i prezzi, sono dunque un po’ spiazzato davanti a un’offerta drogata dal marketing e dall’effetto Che Tempo Che Fa. Non ho dubbi nell’avvicinarmi alla Morrison o alla Munro, parecchi con altri autori e autrici.

Dopo questo impegno pubblico, accetto suggerimenti e opinioni in merito. Ne faccio tesoro e magari poi li giro al direttore della Feltrinelli di Bologna  

sabato 20 giugno 2015

Family Day 2015: c'ero e ve lo racconto.

Torno ora da Piazza San Giovanni dove si è tenuta la manifestazione Family Day 2015, contro le unioni civili, le adozioni gay, e tutto quello non sancito nell’Antico Testamento.
Ho visto abbastanza concerti del Primo Maggio per stimare i partecipanti al massimo 100.000; la questura dice 400.000 e glielo ricorderemo alle prossime manifestazioni. Nello specifico: la piazza era piena, nessuno però nei vialoni adiacenti.

La prima cosa che colpiva erano i bambini: tantissimi, ovunque, sfatti, stravolti dai lunghi viaggi, dal rimbombo di parole incomprensibili, dall’assenza di spazi per il gioco, dal disinteresse e nervosismo da parte degli adulti tutti impegnati a seguire i relatori. Molti neonati e pupetti ancora in carrozzina. Perché erano lì? Per far numero? Per punizione? L’impressione era che fossero strumentalizzati come feticci da mostrare ai media, da difendere dal mostro del GENDER (ne parliamo dopo).

La seconda cosa che ho notato è stata la falange di Forza Nuova
con le sue magliette stirate, i manifesti ordinati su più file, il brivido di poter stare in Piazza San Giovanni così vicina a Piazza Venezia, che già si pregusta nell’eco di quei discorsi sulla famiglia ‘tradizionale’, sui valori del passato, sull’insegnamento dei nonni e genitori. Poco più in là c’era il neonato Fronte Nazionale,  lepeniano, con tricolori e facce ugualmente littorie.

La terza cosa era vedere come tutti tirassero per la giacchetta Papa Francesco, tutti a dire e urlare “Il Papa è con noi”, impegnati a cogliere in qualche oscura parola dei suoi discorsi una benedizione alla crociata contro il GENDER e a smentire le smentite del Vaticano in materia. Nessun citava il cristallino e famoso “Chi sono io per giudicare i gay”.
Era evidente l’imbarazzo davanti a un Papa che non se li fila proprio, che legge la complessità senza paura, .

E poi il clou: tante famiglie. Moltissimi giovani, anche nell’età della ragione. Parecchi preti e suore.  Tanti registravano coi i telefonini gli interventi. Una folla attenta e desiderosa di riconoscersi. Ben organizzata da parrocchie, circoli e associazioni. Nessuna curiosità o libertà, piuttosto un esercito silenzioso che si vive lo scontro come inevitabile, anche perché neppure conosce il nemico. Ne ho apprezzato la compostezza, pacatezza quasi. Mi hanno colpito davvero.
I manifesti erano concordati, tutti uguali, privi di fantasia nelle parole. Tutti a indicare il GENDER, questa fantomatica filosofia, come nemico canceroso per la società, che le darà morte se non fermato e estirpato quanti prima. Qua e là, gentili signore volantinavano preghiere contenenti maledizioni a Hollande e rimandi francescani, altre diffondevano un indirizzo mail a cui denunciare i progetti GENDER nella tua scuola.

Gli interventi erano tra il bizzarro e il fondamentalista. La maggioranza senza coerenza tra premesse, svolgimento e conclusioni. Spesso sigillati da opportuni passi delle scritture che da soli dovevano spiegare tautologicamente tutto.
Spiccavano l’intervento del padre della famiglia con 11 figli che accusava il sistema scolastico di non meglio precisati condizionamenti ideologici che io avrei definito “presentazione di punti di vista diversi da quello di tuo padre che ha schiavizzato l''utero di tua madre". Notevole l’intervento di repertorio standard dell’ex PD Adinolfi, professionista del poker, acidamente invidioso di Scalfarotto e sconclusionato opinionista del quotidiano La Croce, che ha raccontato di come Elton John ha affittato un utero e fatto soffrire le madri a cui così ha sottratto i figli. Poi è venuto un altro professore convinto che il matrimonio omosessuale avrebbe svuotato asili e parchi giochi. Tutti lì a pompare sui pedali per un posto in parlamento appena si rivoterà.

Il fondo lo ha toccato “Colui che tutti attendete!”, tale Kiko Arguello, spagnolo iniziatore del cammino neocatecumenale che ha catechizzato a lungo la piazza con brani dell’Apocalisse, musicati da lui stesso.
Ha esordito chiedendo “Cosa significa essere cristiani adulti?” Bella domanda. Ha risposto che vuol dire “Amare il prossimo anche se è un nemico”, bell’inizio di risposta. Ha poi aggiunto solo “La moglie è un nemico, il figlio è un nemico e bisogna amarli” e ha chiuso con una canzonetta che mettesse una pezza al vuoto sul perché solo gli etero abbiano diritto a una unione benedetta da Dio. Poi ha aggiunto che l’educazione al rispetto tra i generi non serve a diminuire i femminicidi; “Perché?”, si è chiesto il mio povero neurone. Kiko per spiegarlo in modo semplice ha citato salmi e antico testamento, tarallucci e vino, ha urlato che Cristo è morto per noi e che la Madonna è piena di Luce, e trallalero trallalà come spiegazione sui femminicidi.

Insomma, un sano fact checking proprio del XXI secolo avrebbe sbugiardato due terzi delle tesi presentate inclusa la credibilità dei relatori. Le cose più serie erano quelle fondate sull’Apocalisse, la Genesi, san Paolo che – si sa – sono fonti attendibili e riconosciute anche dal CERN.

E il GENDER? Bho? Volevo capire qualcosa in materia ma niente. Tutti a impregnarsi le fauci in un
diffuso “E' ‘na brutta cosa che rovina la famiglia”. Molti travolti da catene di messaggi su Whatsup che asseriscono come in Germania e Francia alle elementari venga insegnata la masturbazione e alle medie la copulazione in luogo pubbligo.

Quello che ho visto a San Giovanni, e mi preoccupa, è cristallina paura per i propri figli, preoccupazione per l'incapacità di capire il mondo e dunque educare alle sfide, tanto bisogno di risposte semplici e diffusa solitudine. Poi ho visto schiere i falchi in tonaca e in politica che di tutto questo si faranno un bel boccone.

Sono contento di esserci andato. Volevo uscire dalle battute su Facebook e dai talk show sul tema.
Si tratta di temi che mi riguardano personalmente perché oggi tocca ai gay, domani a chi legge Pasolini, dopodomani a chi pubblica Baumann o Harry Potter, e poi chi non vuole mettere la divisa, chi la domenica non va in chiesa, chi usa il preservativo, chi non saluta la bandiera, poi a me.

lunedì 25 novembre 2013

Ad Ada, una donna di quattro anni.

Nasci donna.
Una fortuna, dico io. Una sfortuna, dirai tu almeno 1000 volte nella vita; spero credendoci di meno ogni volta che lo ripeti.
Vi trovo sempre più interessanti degli uomini. Non è perchè mi piacciono le donne, no, è perché in un uomo cerco conferme e in una donna trovo la ricchezza del confronto.
Avete la determinazione, l’intelligenza, la curiosità che vi rendono capaci di guardare al Presente con senso di realtà e al Futuro con speranza, come se fosse uno scrigno di opportunità da scoprire.
Vi ho sempre considerato superiori anche quando voi per prime non ci credete. Se avessi visto tua madre serrare le mascelle per darti lo slancio per venire alla luce, mi capiresti meglio. I sacrifici fatti da tua nonna e dalla tua bisnonna per far quadrare il bilancio familiare, educare i figli, tenere assieme la famiglia, valgono dieci quelli di un uomo amministratore delegato di una multinazionale.
Siete superiori nelle professioni perché la vostra intelligenza si alimenta di soggettività e non solo di fatti. Per voi l’evoluzione è un’opportunità, per noi un ostacolo. Non avete paura dei sentimenti. Sarete sempre indispensabili; noi uomini molto meno. 
Nell’immaginare la ragnatela dei possibili percorsi nel tuo futuro non posso fare a meno di pensare alle donne che conosco, al loro presente e ai loro passati. Tua madre, mia sorella, zie, nonne, amiche, professoresse, colleghe, educatrici, ex fidanzate. Frequentandole ho ammirato il loro slancio nell’affrontare la vita, la sensibilità che le rende partecipi ai drammi come alle gioie, la sicurezza che hanno quando serve davvero, e la loro guerra quotidiana contro gli ostacoli che una società governata dagli uomini gli impone.
Sai, siamo nel 2013 ma capita ancora che su di voi vengano calati a forza ruoli umilianti. Non parlo dei fondamentalismi religiosi in qualche angolo di terzo mondo ma del qui e ora. C’è chi prova a imporvi se, come e quando vestire, lavorare, educare, riprodurvi, pensare, persino amare. C’è a chi fa comodo che l’uomo comandi e la donna obbedisca. È un gioco di ruolo datato, superato dalla Storia, che ha fatto danni epocali provocandolo dolore e infelicità sia tra le donne che tra gli uomini. È che alcuni fanno finta di non averlo capito.
Sai, l’uomo, abituato da sempre a occupare tutti gli spazi che contavano e a amministrare i diritti della donna (con bizzose concessioni soggette a regole e umori da lui solo definiti), ha visto sgretolarsi le proprie possibilità di controllo e ha reagito con violenza. Certo, per alcuni è stato difficile essere degradati da monarca assoluto a membro di un consesso democratico il ché, se non si capisce il valore della democrazia, può sembrare un’umiliazione.
Ciò ha dato vita a scontri cruenti. Sono stati covati in quei piccoli reami che erano le famiglie, isolate nei condomini poi, fuori dalle cucine e dai letti coniugali, sono sfociati nelle piazze in lotte per consentire a tutte di godere di diritti naturali politici e civili.
Oggi di quella netta contrapposizione tra mondi rimane poco. Almeno sulla carta, sono stati fatti molti passi avanti resta però aperta la guerra tra i singoli individui e la società. I diritti “delle donne” sono diventati quelli “della donna”, al singolare. A poche interessa il destino delle altre e la competizione tra persone vince sulla solidarietà tra simili (intesi come donne ma anche come esseri umani) con ogni difficoltà affrontata in inevitabile solitudine.
La stessa solitudine è compagna del genere maschile. 
L’uomo della mia generazione non  ha nessun modello di riferimento che lo guidi nel vivere con donne che non assomigliano (fortunatamente) alla propria madre e con le quali non funziona nessuna eredità biologica importata dai padri.
Chi vuole dunque provarci davvero deve prima riporre tra i cimeli di famiglia l’immagine del padre che ha specchiata dentro di sé e inventare il proprio essere uomo, amico, amante, marito. Io devo perciò essere diverso da mio papà anche perchè tua mamma e tua nonna hanno in comune solo il fatto di essere entrambe mammiferi.
Questa mancanza di riferimenti non è però un alibi e neanche una colpa. Credo che l’ascolto e la tolleranza rimangano gli elementi chiave per avvicinarsi, capirsi, amarsi e costruire assieme. Non sempre ci sono. Vedo donne costrette a tenere un incongruo basso profilo sempre e comunque, con un timore esasperato per le conseguenze delle proprie azioni e delle proprie intenzioni, con sogni e desideri costretti ai minimi termini.
Sono tutti fardelli che faremo il possibile tu riconosca e tenga lontano. So che tua madre sarà fondamentale in questo. Lei, austriaca, piuttosto estranea a schemi che prevedono subalternità e dipendenza, libera e a testa alta. È un modello anche per me, per te sarà di certo un faro.
Che uomini incontrerai? E che donne?
(In effetti qui potresti mettere un bel: “Ma papà, cosa ti interessa?”)
Molti tuoi incontri avverranno con persone insicure e in cerca di continue conferme, di una guida, di un’idea, bisognose di spalle su cui piangere o un braccio a cui reggersi ma restie allergiche alle lacrime altrui. Oggi non è che la sicurezza di sé, dei propri limiti, delle proprie capacità, siano merci diffuse. E non vedo segnali di possibili inversioni di tendenza.
Io e tua mamma ci siamo riconosciuti come diversi e poi ci siamo scelti. Avremmo probabilmente avuto vite complete e degne anche non cogliendo l’opportunità che il caso ci ha dato e su cui con volontà abbiamo costruito. Ma quale spreco sarebbe stato! Invece ecco che ci scegliamo ogni giorno, trovando sempre il modo di confermare le ragioni del nostro amore. La nostra è una famiglia fondata sulla scelta e non sul bisogno: c’è una tensione positiva che porta i passi verso un futuro in cui occorre continuare a meritarsi la scelta dell’altro.
Preparati, più cresci e più proveranno a sottometterti, non in quanto donna ma come essere pensante. La tua femminilità costituirà al più un'aggravante al reato di Libertà di Coscienza. Molti dei tuoi aguzzini saranno uomini, altri saranno donne, avrai a che fare con professori esasperati dalla solitudine, preti impauriti dalla modernità, falsi amici, falsi adulti, veri dittatori. Ti faranno male. Per quanto ottusi nel ragionare saranno esperti nel colpirti perché sarà una delle poche cose che nella vita darà loro soddisfazione. Col tempo imparerai a prevederne i colpi. Nel dolore e nella rabbia troverai gli anticorpi per reagire. La necessità di sopravvivere ti insegnerà a scovarne i punti deboli.
Il non dargliela vinta sarà l’unica via d’uscita per conservare la tua dignità. Nell’amore per te stessa e per gli altri troverai la motivazione per farlo.
Fa che “Essere te stessa” non suoni come una formula buona per i consigli tra amiche germogliati nella retorica alcolica di uno Spritz. Sia piuttosto quella che si potrebbe chiamare una Scelta dalla quale non prescindere ogni volta che sono in gioco il tuo futuro e la tua dignità.
Per riuscire devi crederci, devi sviluppare una qualità rara che noi proveremo a seminare in te col nostro esempio, ma che solo tu potrai far crescere e irrobustire: l’Autostima.
Vuol dire sapersi capaci di volare in alto e cadere sempre in piedi, e credere anche di meritarselo. Non è amica della superbia ma si fonda al contrario nell’umiltà e nella fiducia illimitata in un futuro migliore. Costa fatica costruirla ma una volta sperimentata viene naturale e la si protegge come il gioiello più raro. È nemica della furbizia e amica della giustizia.
Io l’ho imparata da tuo nonno, ne ho vista un po’ nella sua generazione, per la quale costituiva il requisito essenziale per uscire dalla povertà, anche intellettuale. L’ho frequentata molto all’estero e poco in Italia, l’ho sposata in tua mamma. Per il resto, in giro ne vedo proprio poca.
La mia generazione ne ha rimosso l’urgenza, direi quasi l’esistenza. Arrivando al paradosso che quando c’è in qualcuno, agli occhi dagli altri è vissuta come un difetto. Per chi non ne ha (la maggioranza) diventa subito “eccesso di autostima”, eccesso per coloro che non sopportano l’esistenza di chi affronta la vita a testa alta perché questo gli dimostra quanto sia comunque possibile essere se stessi.
Per riuscirci, occorre mantenere una consapevole coerenza tra ciò che si è e come si appare, sapere che nessuno ha il diritto o la facoltà di comprarci, conoscere allo stesso tempo il proprio valore, esigere rispetto e sempre riconoscerlo agli altri senza esserne invidiosi.
Facile? No, affatto, anche se mi auguro tu sia già sulla buona strada.

venerdì 8 marzo 2013

Cartoline da Perugia: pensieri per l’8 marzo dedicati a donne speciali.

L’altro ieri ero a Perugia per lavoro. Tenevo un modulo di formazione sui social media a un simpatico gruppo di professioniste che per ascoltarmi rinunciavano pure alla pausa pranzo. Avevamo già riso del mio status di unico uomo nella stanza e delle pizzette esibite a centro tavola che avrebbero avuto solo dopo la formazione. Di colpo molti telefoni hanno cominciato a squillare. Uno, due, tre, e la prassi di non rispondere quando sei in aula è stata travolta da un’ondata di preoccupazione che ha mutato d’improvviso i loro sguardi, fino a quel momento coinvolti, interessati e a tratti divertiti.
Lo stupore per quelle telefonate si è trasformato presto in agghiacciante silenzio e poi in urla, lacrime, abbracci, parole e parolacce, crolli sulle sedie e brividi di paura: due donne, due lavoratrici, ben conosciute e amiche di molte delle presenti, dipendenti della Regione Umbria, erano appena state uccise a sangue freddo da uno squilibrato entrato nei loro uffici con una pistola carica e la voglia di uccidere e uccidersi.