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mercoledì 8 luglio 2015

Come trovare il lavoro anche se si ha la laurea.

Nei giorni scorsi il Governo ha fatto timido passo nel codificare come non tutte le università siano uguali. 
La proposta, in sintesi, era che nei concorsi pubblici si assegnino più punti a chi ha fatto una facoltà meno di manica larga con i voti. Immediata è stata la reazione dei rettori e, tra tarallucci e limoncello, l'ipotesi si è sciolta nella calura.
Sebbene ciò riguardi solo l’ammissione a un piccolo gruppo in via di estinzione (i dipendenti pubblici assunti per concorso), secondo me l’argomento è tutt’altro che di importanza residuale per un paese. Si incunea con forza nei tentativi di valutare e essere valutati, di rendere conto del proprio lavoro o ritenersi sopra le leggi della logica e del mercato, di rispondere a chi con le tasse ti paga lo stipendio.
La proposta del Governo forse era zoppicante ma chi si è già premurato di affossarla non ha certo intenzione di presentarne una migliore.
Sì, perchè come ogni famiglia e azienda sanno per esperienza diretta, l'Università italiana è più che adeguata al XXI secolo trasmesso su Rai 1.
Però ci sono molti posti al mondo (es. Inghilterra) dove non vige il valore legale del titolo di studio.
È dunque utile fermarsi e inquadrare la questione.
Parlando poi di mondo reale, anche in Italia l valore legale del titolo riguarda ben pochi e il settore privato ha da decenni introdotto forme di ranking spietato (e non scritto) verso le università.

Nel mio piccolo ricordo bene quando, dopo il terzo candidato con 110 e lode che non sapeva leggere un istogramma, diedi indicazione di cestinare preventivamente tutti i curriculum provenienti dalla Lumsa di Roma, pur sapendo che così mi sarei forse perso qualche perla rara. Ho però valutato che il tempo della mia organizzazione valesse di più. Ci sono poi facoltà risapute come  ‘facili’, atenei ‘chiusi alle novità’ che ripropongono da decenni le stesse visioni del mondo, i diplomifici on line e off line costruiti per accedere ai concorsi pubblici o poter scrivere “Dott.” sul biglietto da visita e acquisire punti agli occhi della mamma o di un cliente sprovveduto.
   
In generale da un laureato ci si aspetta che sia sveglio, capace di dare letture trasversali, abbia delle passioni, una vita e non abbia solo studiato. Di certo deve saper scrivere e far di conto.
Spesso non ci si aspetta molto in termini di competenze specifiche, non perché i giovani non studino ma perché le università hanno poca chiarezza sul cosa serva insegnare loro.
Meglio se qualcosa di concreto abbia comunque imparato a farlo, magari nel tempo libero.

Sempre più spesso mi accorgo che i selezionatori desiderano sentirsi dire dai candidati cosa potrebbero fare nell’azienda. Non perché siano pigri o distratti ma perché per loro la selezione del personale diventa  un canale per portare in azienda innovazione: nuove persone sono nuove e inaspettate competenze per nuovi prodotti, processi, mercati, soluzioni…

Per capire il concetto, consiglio di leggere i requisiti di questa selezione lanciata da Casa Netural a Matera, uno dei santuari dell’innovazione sociale in Italia: “Non ci interessa ricevere curricula, i candidati devono possedere pochi requisiti: curiosità, voglia di lavorare in team, passione per il proprio lavoro e una voglia irrefrenabile di sperimentare nuove soluzioni!
Senza dubbio sono più molto interessanti i candidati che abbiano fatto l’Erasmus e ragionato su tesi con impatti sul mondo reale. Se hanno già lavorato, meglio; se non sanno solo l’inglese, meglio; se non si spaventano davanti alle responsabilità, più che meglio.

Con buona pace della Conferenza dei Rettori, nel mondo reale il valore legale del titolo di studio è ormai nei fatti prossimo argomento per tesi di Storia del Diritto. 

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